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CowT 13, Week 4
M3: Mai più
Non appena Albert ebbe finito di presentare il caso, il Colonnello Sebastian Moran fu il primo a spezzare il silenzio. “Ma che cazzo…”
Il Conte gli lanciò un’occhiata storta. “È sempre bello ascoltare la vostra poesia, Colonnello.”
Si erano radunati tutti intorno al tavolo del seminterrato, dove prendevano forma i piani del Signore del Crimine.
Il padrone di casa aveva impiegato meno di mezz’ora a fare il punto della situazione, appendendo le foto delle vittime alla lavagna posta sul muro.
“Questo Patel non è un truffatore o uno stupratore o un assassino,” proseguì Moran, indicando le nove fotografie. “No, questo pezzo di merda è tutti e tre messi insieme.”
“Dove sono i corpi?” Domandò Louis. “So che esistono metodi per far sparire una persona dalla faccia della terra, ma nove su nove?”
Bond scrollò le spalle. “Magari ha trovato un metodo efficace per smaltire i cadaveri senza dare nell’occhio.”
“Esatto,” confermò Albert, aprendo sul tavolo la planimetria della tenuta dei Patel, teatro della prossima missione. “Vedere questo?” Indicò un punto tra le propietà esterne. “È un lago artificiale. Abbiamo informazioni molto precise a riguardo: George Patel lo ha voluto a tutti i costi per poter praticare pesca vicino casa. Ha chiamato degli esperti per creare un vero e proprio ecosistema con una specifica razza di pesci.”
“Che non conosciamo,” concluse Jack.
“No, ma Mycroft è persuaso a credere che siano i migliori complici di George Patel nello smaltimento dei cadaveri,” disse Albert.
Al nome Mycroft, Moran emise un verso di disappunto che tutti udirono senza problemi. Venne ignorato
“In breve: per incastrarlo dobbiamo arrivare al lago e setacciarlo,” concluse Louis.
Albert annuì. “È meno semplice di come suona, temo. Sarà buio e chi andrà avrà poco tempo e non disporrà di molti mezzi.”
Moran sbuffò. “Come facciamo a setacciare il fondale di un lago?” Domandò, irritato. “Vuoi che vada a nuoto e che tasti il terreno alla cieca finché non mi ritrovo un arto tra le mani?”
Louis borbottò qualcosa a bassa voce: “affogatevi, già che ci siete.”
“Ti ho sentito, moccioso!” Ringhiò il Colonnello, puntandogli l’indice contro.
Bond rise sotto i baffi. Fred lanciò al compagno di avventure un’occhiata un poco esasperata.
“Ed Evans?” William parlò per la prima volta dall’inizio della riunione strategica. Era l’unico seduto, vestito solo del pigiama e della vestaglia da camera. “Perché non lo consideri tra le prime otto vittime?”
“Tempistica,” rispose Albert. “Se analizziamo la distanza di tempo tra una sparizione e l’altra, notiamo che l’intervallo aumenta. George Patel vuole le sue vittime vive il più a lungo possibile.”
“Che schifo.” Moran diede voce al pensiero di tutti. “Stai cercando di dire che il moccioso nobile potrebbe essere segregato da qualche parte, ridotto come solo Dio sa come?”
“È una speranza,” rispose Albert. “Sempre se di speranza possiamo parlare in una simile circostanza. Dovremo dividerci strategicamente: io e Will saremo come sotto gli occhi di tutti, con meno spazio di manovra. Serve una squadra che vada al lago e un’altra che setacci la villa, alla ricerca del giovane Evans.”
“Io e Louis andiamo al lago,” disse Moran.
Il più giovane lo guardò storto. “Chi siete voi per deciderlo?”
Il Colonnello gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Vuoi vedermi affogare? Bene, allora vieni con me in mezzo alla melma e mi guardi affogare!”
“Ragazzi, mantenete il controllo,” disse il vecchio Jack, come se fosse ancora il Maestro di tutti e due. “Mi spiace, Louis, la proposta di Sebastian è buona: lui è il più adatto a buttarsi in quel lago e fare il lavoro sporco, tu sei il candidato migliore per gestirlo e tenerlo d’occhio.”
Moran annuì a braccia conserte, poi udì la seconda parte della frase e si bloccò. “Chi deve tenere d’occhio chi?”
“Fred, con la sua abilità nei travestimenti, sarà il nostro jolly all’interno della villa,” proseguì Albert. “È silenzioso ed è veloce. Può intrufolarsi con facilità dove nessuno di noi può arrivare.”
“Rimangono Bond e il vecchio come squadra di supporto,” notò Moran.
“Avviseremo Paterson, che avrà Scotland Yard pronta ad agire al nostro segnale,” proseguì Albert. “Von Herder sarà lì per il solito supporto tecnico e Moneypenny lo affiancherà.”
“Io ho una domanda!” Il Colonnello alzò la mano come un studente molesto, ma non aspettò il permesso del Conte per parlare. “Perché lui non sta dicendo una parola?” Indicò William.
Il giovane Professore lo guardò un po’ spaesato: anche un cieco si sarebbe accorto che stava morendo di sonno. “Ufficialmente, questo è un caso dell’MI6,” rispose. “L’intervento del Signore del Crimine è un nostro tocco personale, ma è giusto che sia Albert a gestire la missione.”
“E Mycroft,” aggiunse Moran, con un sorrisetto dispettoso. “Perché ci portiamo dietro anche Mister Government, non è cos- William!”
Louis fu svelto ad afferrare le spalle del fratello per evitare che cadesse dalla sedia. “C’era d’aspettarselo,” disse, mentre il Colonnello faceva il giro del tavolo per aiutarlo a sorreggere il fratello privo di sensi.
“Mi sorprende che abbia retto tanto,” commentò Jack.
Moran sollevò William come se non pesasse niente. “Albert, vieni a darmi una-“ Non appena gli occhi grigi incrociarono quelli verdi del Conte, il Colonnello decise che avrebbe tentato la sorte in altro modo. “Louis, vieni con me. Io lo porto di sopra ma non gli rimbocco coperte.”
Il più giovane assunse un’espressione visibilmente annoiata, non perché gli era stato chiesto di prendersi cura di William - era pronto a morire per suo fratello - ma perché l’idea di passare qualche minuto da solo col Colonnello non lo entusiasmava neanche un po’.
“Bene, dichiaro la prima riunione strategica conclusa,” disse Albert, raccogliendo tutti i documenti del caso. “Proporrò al Direttore la nostra strategia e vedremo se avrà qualcosa da dire a proposito.”
Moran si fermò sulla porta e lo guardò di traverso. “Non basta avere un Holmes che ci manda le rose a colazione, ora dobbiamo pure sopportare l’altro che mette bocca nelle nostre missioni?”
Bond si sporse all’indietro per guardarlo. “Sei consapevole che, tecnicamente, lavoriamo per lui?”
“Non io!”
“Sì, invece, proprio tu. Sei l’agente 006, te lo sei scordato?”
Moran ringhiò qualcosa a bassa voce e si decise a portare William fuori da quella stanza, Louis al seguito.
Jack prese un respiro profondo. “Quanti giorni mancano al ballo in maschera?”
“Quattro,” rispose Albert, già sapendo dove il vecchio maestro voleva andare a parare.
“Bene, ragazzo, fai appello a tutta la tua pazienza,” gli consigliò. “Saranno quattro giorni molto lunghi.”
***
Sherlock era di cattivo umore.
John non ne era sorpreso. Erano quasi passate quarantotto ore dall’ultima volta che aveva visto WIlliam James Moriarty e il telegramma promesso non era ancora arrivato. C’era da dire che il medico aveva notato un improvviso calo di entusiasmo già da prima. Per la precisione, Sherlock non era più stato lo stesso da quando era avvenuto quel piccolo incidente idraulico nel bagno.
John lo aveva lasciato al settimo cielo e lo aveva ritrovato non con i piedi per terra, ma col morale sepolto in una fossa.
La signorina Hudson aveva notato quella brusca inversione di rotta alla sua stessa velocità, ma per lei era facile darsi delle risposte: un ”tutta colpa di quella lì!” e la discussione era chiusa.
Suo malgrado, John era in grado di percepire qualche sfumatura in più ed era dell’idea che William non fosse d’accusare - in fin dei conti, aveva chiesto pazienza, oltre che fiducia. No, il medico aveva il dubbio che il suo coinquilino si fosse perso tanto nei propri pensieri da mettersi tristezza da solo. Era una cosa che Sherlock faceva ma che non ammetteva mai con se stesso.
Quanto grave fosse la situazione, John lo capì quel pomeriggio, poco prima dell’ora del tè. In mattinata, era arrivato un messaggio da parte di Sir Mycroft che li avvisava che sarebbe passato a fare una visita. Sherlock aveva deciso deliberatamente di far finta di niente e se ne andava in giro per casa con i capelli sciolti, la camicia fuori dai pantaloni e a piedi scalzi. Immagine più lontana dal tipico gentleman inglese non poteva esserci ma finché non si metteva a sparare contro il muro, John non aveva nulla da dire.
Poi gli capitò di entrare in salotto e di trovare Sherlock steso sul divano, i piedi incrociati sul bracciolo più vicino alla porta. Leggeva, nulla di strano. John aveva quasi deciso di lasciarlo in pace e di cedere a Mycroft l’ingrato compito di fare breccia in quel muro di silenzio, ma lo sguardo gli cadde sulla copertina del titolo che il partner stringeva tra le mani e per poco non gli prese un colpo.
“Shakespeare!” Esclamò con voce esageratamente alta, tanto che il Detective sobbalzò.
Quando il più giovane lo guardò malissimo, John seppe di essersi meritato tutta la sua irritazione.
“Ma che ti prende?” Domandò Sherlock, esagerato nei toni almeno quanto lo era stato l’altro.
John aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua. “È che… Insomma… Shakespeare?” Reclinò la testa per leggere il titolo sotto il nome dell’autore. “Romeo e Giulietta?!”
“Ma la smetti di urlare?”
Era già strano vedere Sherlock immerso in una lettura che nulla aveva a che fare col suo lavoro, ma addirittura la tragedia dei due amanti di Verona?
“Sherlock,” cominciò John, cercando di rimanere calmo. “Che vuoi fare? Prendere William e scappare da Londra?” Una risposta affermativa non lo avrebbe sorpreso.
“Gliel’ho già chiesto.”
“Ah…”
“Ha detto di no.”
“Meno male.”
Ora John era certo che almeno William James Moriarty fosse ragionevole.
Il suo sollievo gli fece guadagnare un’altra occhiataccia da quegli occhi blu. “John, toglimi una curiosità, tu da che parte stai?”
“Da quella in cui rimani sul lato sicuro della legge.”
Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Lo hai sempre saputo che non mi piacciono le donne. È un po’ tardi per porsi il problema.”
“Sherlock, davvero…” In tutta onestà, John era un po’ offeso dal dover ribadire il concetto. “Tu puoi amare chi vuoi, ma non puoi chiedermi di non preoccuparti per te.”
“Bravo!” Sherlock voltò pagina rabbiosamente. “Fammi anche sentire in colpa!”
“Qui nessuno vuole farti sentire in colpa.”
Mycroft scelse proprio quel momento per comparire sulla porta aperta del salotto. Lui e John si scambiarono un segno di saluto, poi lo sguardo del maggiore degli Holmes cadde sulla figura del fratello, che lo stava ignorando bellamente in favore della sua lettura.
“Vuoi fuggire con William da Londra?” Domandò Mycroft.
Sherlock si lasciò cadere il libro in grembo, esasperato. “È in corso un’epidemia di deficienza?” Domandò, ignorando John che si era voltato per non scoppiare a ridere. “Pensi davvero che se volessi scappare con Liam, prenderei esempio da questi due cretini?”
“Oh…” Mycroft si tolse giacca e cappello e li appese vicino alla porta, come se fosse casa sua. “Mi sembrava strano che non avessi ancora offeso la memoria dell’onorevole William.”
Sherlock non lo capì. “Liam è ancora vivo!” Esclamò. “E non stavo offendendo lui, non lo farei mai. Offendevo loro!” Sollevò il volume tanto per chiarire che ce l’aveva con Romeo e Giulietta.
“Mi riferivo al William sulla copertina,” chiarì Mycroft, pizzicandolo sotto il piedi per farsi fare posto sul divano. “Ci sono stati, ci sono e ci saranno molti William a scrivere la storia inglese, Sherly.”
Ma ci sarà un solo Sherlock, pensò John, occupando la sua solita sedia al tavolo. Sherlock è un miracolo che non si ripeterà mai più.
“C’è un motivo per cui lo chiamo Liam,” disse Sherlock, rinunciando al divano per spostarsi sulla sua poltrona preferita. “Perché non deve confondersi con nessun altro.”
“Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?” Recitò Mycroft. “Saresti una splendida Giulietta, Sherly.”
John simulò una serie di colpi di tosse per nascondere l’attacco d’ilarità che gli provocarono quelle parole. Sherlock, ovviamente, se ne accorse. “Bravo, John, strozzati!”
“Sherly, il buon dottore è l’unico che riesce a tollerarti,” gli ricordò Mycroft. “Abbi cura di lui.”
“Sto bene,” dichiarò John, dopo aver ripreso fiato.
“Dottore, se posso, vorrei chiedere il suo giudizio riguardo quello che sta succedendo al nostro Sherly,” disse Mycroft, serafico.
In un gesto istintivo, gli occhi di John cercarono quelli di Sherlock e il più giovane fece lo stesso.
Il Direttore si permise una risata. “Reazione interessante.”
“Beh, ecco…” John sapeva di non potersi esimere dal rispondere, ma era difficile non fare brutte figure con Sherlock che continuava a fissarlo come a pregarlo. Non glielo dire. Non glielo dire. Non glielo dire.
A cosa si riferiva di preciso? Alla storia delle Anime Gemelle?
“Io non conosco così bene il Professor Moriarty per avere un giudizio personale su di lui,” ammise John. “L’ho visto una sola volta e mi è sembrato un uomo da bene, elegante…” Lanciò un’occhiata al coinquilino, spalmato malamente sulla poltrona. “Cioè non è così,” concluse, facendo un vago gesto in direzione di Sherlock.
Il più giovane lo fissò, allibito. “John, mi hai appena fucilato…”
“Capisco cosa intendete, Dottore,” disse Mycroft.
Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Figurarsi!”
“Il giovane William è un perfetto esponente del suo ceto sociale, difficile immaginare un uomo così in compagnia di mio fratello.”
John annuì. “Vero, ma vi assicuro che quando si parlano, si percepisce una forte intesa.”
Lo sguardo di Mycroft si fece attento. “Continuate.”
Persino Sherlock rimase zitto ad ascoltare.
“Beh, li ho visti interagire solo una volta,” ammise John. “Ma è stato straordinario osservare due menti così lavorare allo stesso caso di omicidio.”
Sherlock sollevò l’angolo destro della bocca. Vai così, John.
“E devo ammettere che il Professore non mi è mai sembrato disturbato dal modo di approcciarsi di Sherlock.”
Il Detective divenne serio di colpo. John, se m’insulti fai il gioco dello stronzo!
“Credo, per quel poco che ho potuto vedere, che il Professor Moriarty sia quel genere di persona che è disposta a sbottonarsi un po’ solo quando ne vale la pena.”
“Mi state dicendo che il nostro Sherly vale la pena?” Domandò Mycroft.
“Sono avvenuti una serie di fatti che mi portano a credere che, sì, William sembra aver deciso che Sherlock vale il rischio.”
Sherlock non fu mai tanto di felice di avere John H. Watson come suo partner. Guardò il fratello maggiore col sorrisetto di chi sa di averla avuta vinta. “Toglimi una curiosità, fratello degenere, con quell’Albert parlate solo di me e Liam o, qualche volta, lavorate anche?”
“Sherlock…” Lo ammonì John, come faceva sempre quando il partner era un po’ troppo sfacciato.
“In effetti, io e Albert parliamo molto e non solo di lavoro,” confessò Mycroft.
Sherlock si tolse dalla faccia quell’espressione da sbruffone, certo che il fratello stesse cercando di dirgli qualcosa senza farlo davvero.
La signorina Hudson arrivò con il tè prima che potesse indagare oltre.
“Servitevi, signori,” disse, posando il vassoio sul tavolo. Lanciò un’occhiata a Sherlock, vide che aveva una copia di Romeo e Giulietta tra le mani e cercò gli occhi di John. Con un gesto della mano, il medico le disse di lasciar stare.
“Vieni, Sherly,” disse Mycroft, alzandosi dal divano per occupare una delle sedie. “Il tè si fredda.”
“Non mi va,” berciò il Detective, capriccioso.
“Sherlock, per favore,” intervenne John.
“Signorina Hudson, si accomodi,” la invitò Mycroft. “Ci faccia compagnia.”
“Se insistete,” disse la donna, sorpresa di ricevere tanta cortesia da un uomo con lo stesso viso di Sherlock.
“Sherly, manchi solo tu.” Mycroft lo sottolineò a posta per farlo sentire in difetto. “Se ti senti offeso per quell’uscita su Giulietta, sappi che ho cambiato idea. Tu sei quello più adatto ad arrampicarsi su un balcone.”
Sherlock storse la bocca in una smorfia. “Forse, ma mi disturberei a controllare il battito di Giulietta, prima di avvelenarmi.”
Nella mente di John si divisero i due schieramenti: gli Holmes come i Montecchi e i Moriarty come i Capuleti. Questo faceva di lui Mercuzio?
Arrivata nel vivo della discussione, la signorina Hudson mise insieme quei pochi pezzi che aveva. “Vuoi scappare da Londra con la tua bella?” Domandò, seriamente allarmata.
Sia John che Mycroft appoggiarono la tazza di tè sul tavolo, cercando di non scoppiare a ridere.
Sherlock decise di lanciare Shakespeare dall’altra parte della stanza. “Al Diavolo la letteratura!”
“Sherly…”
“Zitto!” Alla fine, anche il più giovane degli Holmes si sedette al tavolo, insieme al resto del gruppo.
“Tutti noi riconosciamo in te la tendenza a compiere fughe d’amore,” disse Mycroft.
“Mai avvenute!“ Esclamò Sherlock, versandosi il té. “Mai avverranno.”
Forse. Se Liam avesse accettato la tua proposta folle della notte scorsa, saresti scappato con lui senza pensarci.
Sherlock decise di lasciare quel pensiero lì, in un angolo della sua mente.
Mycroft se ne andò circa un’ora dopo con quel suo solito: “cerca di non morire, Sherly.”
Sherlock sapeva da dove veniva quella brutta abitudine, ma Mycroft dava l’imbarazzante impressione che avesse una passione per buttarsi dai ponti o qualche assurdità del genere. Sir Holmes non volle scomodare nessuno per farsi accompagnare alla porta e tutti rimasero in silenzio, aspettando di sentirlo andare via.
John fu il primo a tirare un sospiro di sollievo. “È stato un incontro piacevole, no?”
“Parla per te,” bofonchiò Sherlock.
“Ora che siamo tra noi, me lo vuoi spiegare perché ti sei messo a leggere Shakespeare?”
“Perché piace a Liam,” disse Sherlock, col tono di è costretto ad ammettere un ovvietà.
John sbatté le palpebre un paio di volte. “È un matematico.”
“È un accademico, è diverso… Signorina Hudson, perché continuate a guardarmi così?”
Da quando Mycroft se ne era andato, la padrona di casa se la rideva sotto i baffi per ragioni che erano note solo a lei. “Ho intuito che non fosse il caso svelare troppo mentre tuo fratello era qui?”
Sherlock la fissò confuso. “Svelare cosa?”
La Signorina Hudson tirò fuori dalla tasca un biglietto piegato in quattro parti e lo sventolò con tracotanza, come se stringesse tra le dita una verità in grado di far tremare l’intera Gran Bretagna. “Un ragazzo con i capelli neri me lo ha consegnato mezz’ora dopo l’arrivo del Signor Mycroft,” raccontò. “Ha espressamente detto: per Sherlock Holmes.”
***
Albert era radioso. In verità, il sorriso gli mancava di rado ma era sincero solo quando rivolto a William, al massimo a Louis. Dopo la sua notte con Mycroft Holmes qualcosa era cambiato, ma Moran sapeva di non poterne parlare con nessuno perché era certo di essere stato l’unico a notarlo. Non poteva sapere quel che accadeva dietro le porte chiuse della villa, ma faceva fatica a immaginare i fratelli Moriarty che si confidavano tra di loro. Tanto per cominciare, William non avrebbe potuto evitare di nominare Sherlock e non si poteva calpestare ulteriormente la sensibilità di Louis, non a due giorni da una missione dell’MI6.
Albert, da parte sua, che avrebbe potuto dire? Di amanti ne aveva avuti tanti, nessuno di cui valesse la pena pronunciare il nome tra le mura domestiche. Senza ombra di dubbio il ruolo - e il fratello - di Mycroft Holmes rendevano questa sua nuova esperienza diversa da tutte le altre, ma Sebastian Moran non poteva fare a meno di sospettare che ci fosse di più.
Quando il Colonnello si era travestito da maggiordomo solo per avere conferma dei suoi sospetti, interrompendo così i saluti tra il Conte e il Direttore, gli occhi verdi di Albert si erano accesi di un astio a cui Moran non era abituato. No, nemmeno nei suoi confronti. Il giovane Conte Moriarty era sarcastico, a tratti velenoso, nei suoi confronti ma il tempo in cui si era dimostrato davvero sincero ai suoi occhi era finito da quasi un decennio. Sebastian Moran aveva visto il giovanissimo Albert James Moriarty rompersi sotto il peso di una colpa a cui nulla lo aveva preparato. Non quella di aver ucciso chi l’aveva messo al mondo, ma di amare in modo sconveniente un fanciullo che per tutti era suo fratello minore.
Al tempo, Moran era stato l’unico a comprenderlo, perché anche lui si era macchiato della stessa colpa. Afflitti entrambi - Albert da un dolore acuto e costante, Sebastian solo dalla consapevolezza della cruda realtà - si erano crogiolati insieme in un calore senza sentimento, non quello che li avrebbe resi amanti oltre la carne. E Albert non lo aveva mai tradito. Non perdeva occasione per punzecchiarlo e godere della puerile umiliazione che gli infliggeva ogni volta, ma aveva avuto rispetto del suo cuore.
Albert non aveva mai rivelato a William quello che il Colonnello provava per lui, Moran non si era mai permesso di parlare dei sentimenti del Conte con nessun altro.
Erano complici da un decennio, stretti l’uno all’altro da un segreto che, per una volta, non aveva le sfumature violente dell’omicidio ma dell’amore. Non per questo era meno sporco.
Quando si erano allontanati l’uno dall’altro, consapevoli di aver toccato un limite oltre al quale si sarebbero fatti solo del male, avevano preso strade parallele ma non molto diverse. Sebastian Moran era sempre stato un donnaiolo, non fece nulla che non aveva già fatto. Albert James Moriarty creò un immagine di sé in grado d’incantare la società e di maledire chi osava tanto da conoscerlo dietro una porta chiusa a chiave.
Il centro di tutto, per entrambi, non aveva mai smesso di esserci William.
Per questo Sebastian Moran pensava a Mycroft Holmes e non poteva evitare di figurarlo come una sbavatura. Il Colonnello non aveva mai concepito l’idea di superare William - in fin dei conti, era destino che venissero contatti tutti per lui, no? - e non poteva che provare fastidio nel rendersi conto che, forse, Albert c’era riuscito.
Il fatto che fosse ancora una volta un Holmes ad averla vinta non faceva che peggiorare il suo malumore. Da quando quelle rose blu erano arrivate a casa loro, Sebastian Moran aveva già rischiato abbastanza restando nelle vicinanze di Louis. Il più giovane dei fratelli Moriarty, a cui non si poteva nascondere niente, era stato bravo e crudele a scavargli dentro, a sbattergli in faccia che William aveva fatto una scelta non preventivata e che questa non era ricaduta su nessuno di loro.
Il suo momento di onestà Moran lo aveva affidato a Bond e solo perché sapeva che una parte di quest’ultimo - quella Irene Adler che, ufficialmente, era stata rinvenuta morta nel Tamigi - sarebbe sempre appartenuta a Sherlock Holmes.
Ma Albert…
Fu contro ogni spirito di autoconservazione che Sebastian Moran andò a bussare allo studio di M, all’Universal. Vista la rabbia silenziosa che gli aveva riservato negli ultimi due giorni, il minimo che il Colonnello poteva aspettarsi era che il Conte gli tirasse un bicchiere, una bottiglia, qualsiasi cosa in grado di ferirlo. Mentre prendeva seriamente in considerazione quella possibilità, Albert gli aveva già dato il permesso di entrare.
Era stato facile. Troppo facile.
Moran si rese conto del perché quando aprì la porta e vide l’entusiasmo scivolare via da quegli occhi verdi in favore di un’evidente delusione. “Oh… Colonnello.”
Si era aspettato qualcun altro. Moran glielo lesse in faccia.
“Entrate, volevate parlarmi di qualcosa?”
L’agente 006 si richiuse la porta alle spalle ma non si avvicinò di un altro passo. Albert era in piedi, di fronte alla scrivania e lo guardava, in attesa.
Girarci intorno non sarebbe servito a nessuno.
“Che cosa stai facendo, Albert?” Una domanda che voleva dire tutto e niente.
Il Conte glielo fece notare dandogli una risposta stupida: “stavo elaborando i dettagli della nostra strategia. Io e William ne abbiamo parlato in modo più approfondito e stavo preparando una presentazione da mostrare al Direttore.”
“Ti aspettavi che fosse lui, vero?”
Albert smise subito di giocare. Per l’occasione, mise da parte anche le formalità. “Che cosa vuoi, Sebastian?”
Moran non la ricordava nemmeno l’ultima volta che lo aveva chiamato per nome. “Sei ancora arrabbiato?” Domanda sciocca, ma contro un Moriarty non sapeva in che altro modo giocarsela.
Albert accennò un sorriso. “Non sei tanto importante, non montarti la testa.”
“Oh, io non lo sono senza ombra di dubbio,” ribatté Sebastian. “Mi chiedo se lo sia lui.”
Il più giovane gli risparmiò la scenetta ridicola in cui faceva finta di niente. “Non sono affari tuoi, Sebastian.”
Aveva ragione e, rispetto alla situazione, si stava dimostrando piuttosto garbato, ma Moran doveva liberarsi del fastidio che sentiva all’altezza del petto e non c’era nessun altro da cui potesse andare. Louis aveva già rigirato il coltello nella piaga. William era e sarebbe sempre stato fuori dalla sua portata.
Ma lui e Albert si erano toccati.
E Albert non poteva aver superato William e averlo lasciato indietro. Non Albert. Almeno Albert.
“Come la mettiamo con la faccenda di William e lo stronzetto?” Puntare dritti a Mycroft non aveva funzionato, al Colonnello non restare che fare il giro più largo.
Albert sbatté le palpebre un paio di volte. “Ti riferisci a Sherlock?”
“Ah, sì, adesso li chiamiamo per nome per distinguerli.”
“William è un adulto, può decidere chi frequentare nel modo in cui preferisce. Per la seconda volta, non sono affari tuoi e nemmeno miei.”
Moran storse la bocca in una smorfia sarcastica. “Che grande ipocrita!”
“Prego?”
“Non molto tempo fa nemmeno Dio poteva salvare chi osava avvicinare William senza il tuo permesso,” gli ricordò Moran. “Ora, dato che sei impegnato con un Holmes almeno quanto lo è lui, possiamo sorvolare sulla questione!”
Gli occhi di Albert si fecero gelidi. “William e Sherlock non sono amanti.”
Bene, almeno fino a quel punto gli importava ancora.
“Hai appena confermato che tu e Mycroft lo siete,” disse Moran.
“Ci hai visti mentre lui mi baciava la mano. Per tanto, perché stiamo perdendo tempo a parlare di segreti che non sono segreti?”
“Perché tanta sfacciataggine mi disturba.”
Albert non ebbe alcuna remora a scoppiare a ridere. “Che succede, Sebastian? Non sei tu quello a provocare scandali e improvvisamente diventi un rigoroso uomo vittoriano?”
“Smettila di dire dire stronzate.”
“Vorrei farlo, ma non riesco a dare un senso a questa tua visita,” ammise Albert. “Ho una relazione con Mycroft Holmes. E allora? William, senza ombra di dubbi, è attratto da Sherlock Holmes e possiamo stare qui a elencare i motivi per cui tutto questo sia pericoloso, ma né io né te abbiamo il potere o la volontà di ostacolarlo. L’unico che poteva qualcosa era Louis e Will lo ha convinto alla resa. Questi sono i fatti. Quindi, per l’ultima volta, perché sei qui, Sebastian?”
Non aveva urlato. Non aveva tradito nemmeno un briciolo d’irritazione.
No, Albert James Moriarty riusciva a essere solo gelido. Se avesse mostrato qualcosa a lui, a Sebastian Moran, avrebbe significato che gli importava qualcosa.
Non era così.
“Lo hai lasciato andare?” Domandò Moran, incredulo. “Tutto quel dolore. Tutta quella disperazione… Come ha fatto il tuo cuore a lasciarlo andare?”
Albert sapeva benissimo a cosa si riferiva e il suo viso venne addolcito dalla malinconia. “Non l’ho mai avuto,” rispose. “O meglio, ho avuto mio fratello e va bene così.”
“Va bene così.” Moran non poteva crederci. “Ti ho tolto una fottuta pistola dalla testa solo per sentirti dire va bene così?”
“Non ce l’avevo alla testa.”
“Al Diavolo, Albert, che cazzo ci facevi con una pistola tra le mani, nel cuore della notte?”
“Perché stai rivangando cose successe quasi dieci anni fa?”
“Perché potrebbero essere successe ieri!” Esclamò Moran, rabbioso. “Perché il tempo non ha importanza. Perché siamo già morti, ma cadremo solo al comando di William. Sono state parole tue, Albert!”
Fu allora che il Conte comprese il motivo di tanta ira e anche quello dietro quella visita inaspettata. “Tu lo ami ancora.” Non era una domanda.
A Moran diede fastidio la sorpresa che udì nella sua voce. Perché non doveva essere motivo di stupore, perché lui e Albert avrebbero dovuto condividere lo stesso girone infernale. Invece…
Come potrei non amarlo? Come potrei amare chiunque altro sapendo che WIlliam è un miracolo che non si ripeterà mai più?
“Mycroft Holmes è riuscito davvero a farti dimenticare William?” Moran non ci credeva, come se quello tradito fosse lui. In realtà, non lo era nemmeno William.
Albert scosse la testa. “Non è stato Mycroft, Sebastian.”
“E allora chi altro?”
“Nessuno…”
Quegli occhi verdi si tinsero della più profonda pietà e Moran fu costretto a guardare da un’altra parte. Era da solo nel suo personale inferno e, evidentemente, lo era da un po’.
“Io amo William,” chiarì Albert. “Non c’è nessuno prima di lui e mai ci sarà. È mio fratello.”
“Ah, ora è tuo fratello…”
“Lo è sempre stato.”
“Non prendermi per il culo, Albert.”
“Vuoi veramente stare qui a fare il processo ai sentimenti di un ragazzino di diciotto anni?” Ancora una volta, il Conte mantenne la sua gelida calma ma era vicino al suo limite. “L’ho guardato in un modo in cui un fratello non dovrebbe mai guardarne un altro? Sì, l’ho fatto. Ciò non significa che sia ancora la mia realtà. William è la mia vita, ma pensi che Louis provi qualcosa di diverso?”
“Non mettiamoci di mezzo anche il moccioso.”
“Bene, facciamolo con Mycroft, dato che ci tieni tanto a parlare di lui. Non metterà mai qualcuno al di sopra di Sherlock. Mai. E non c’è nulla di sporco in un amore così.” Albert si umettò le labbra. “Potrei dire un sacco di cose umilianti a questo punto e, lo ammetto, per la tua impudenza le meriteresti tutte. Quello che ancora non hai capito è che se ci facciamo la guerra a tra noi a causa degli Holmes, il piano Moriarty è destinato a fallire. Per tanto, faccio lo sforzo di dirti qualcosa di sincero-“
“Oh, non sia mai che Sua Grazia debba versare una goccia di sudore!”
“Mi dispiace che tu sia ancora innamorato di William.” E Albert fu sincero per davvero nel pronunciare quelle parole. “Mi dispiace perché so quanto può fare male.”
Sebastian Moran non sapeva come replicare a una confessione del genere, ma non trovò la forza necessaria a voltarsi e andarsene. Tutta la rabbia si era cristallizzata in qualcos’altro a cui non sapeva dare nome. Forse era delusione? Non lo sapeva. Si sentiva solo vuoto.
Albert estrasse l’orologio da taschino dalla tasca della giacca. “Devo andare,” disse, attraversando la stanza. “Puoi dire a Moneypenny di tenere la luce di questa stanza accesa?”
Moran non sapeva il perché di un gesto tanto assurda, ma sospettava di conoscere la destinazione del Conte. “Vai da Mycroft, vero?”
Albert lo guardò dritto negli occhi. Non rispose. “Fammi passare.” Era un ordine.
Il Colonnello non aveva una reale ragione per trattenerlo. Si fece da parte ma non appena il più giovane abbassò la maniglia della porta, parlò: “si torna sempre dove si è stati bene, dicono.”
Albert lo guardò.
“Vale anche per gli amanti,” aggiunse Moran. “Si torna sempre da chi ci ha fatto star bene e non è solo una questione di carne, quella può darcela chiunque. Più o meno.”
Il fatto che il più giovane fosse ancora lì persuase il Colonnello a credere di aver toccato un nervo scoperto.
“Hai detto che l’attrazione di William per Sherlock è pericolosa e sono d’accordo, ma non pensare che il tuo gioco sia meno rischioso del suo.”
“Vi state preoccupando per me, Colonnello?” Era tornato al voi.
“Stavo pensando che tu non torni mai da nessuno, Albert,” rispose Moran. “Per quanto ti piaccia fare lo stronzo, non posso negare che ci siamo sfiorati, io e te. A te può non importare, a me importa. Importerà sempre, perché preoccuparmi per i miei compagni è uno dei motivi che mi spingono a combattere.”
Fu il turno di Albert di non sapere come rispondere a una confessione.
“William è bravo a farsi male, ma è altrettanto abile a ritirarsi in piedi,” proseguì Moran. “Io ti ho visto farti male, Albert. Non puoi cadere ancora in quell’oscurità e sperare che qualcuno ti venga a salvare.”
“Vi sbagliate, Colonnello,” disse Albert, per nulla turbato da quelle parole. “Conosco bene l’oscurità di cui mi parlate, certo, ma non ho mai sperato che qualcuno mi venisse a salvare.”
***
“Siamo diretti a Mayfair, Sir Holmes?” Domandò il vecchio Jones, il cocchiere che lo serviva per conto del Governo da anni.
Con un piede sulla carrozza e l’altro ancora sul marciapiede, Mycroft si concesse un breve istante per riflettere. “Sì,” decise, infine. “Ma passiamo davanti alla sede dell’Universal andando verso casa.”
Era stata una giornata lunga e la pausa che si era concesso a Baker Street non si era rivelata particolarmente rilassante. Era andato da Sherlock con mille pensieri e lo aveva lasciato dopo averne guadagnati altrettanti. Se William James Moriarty riusciva a convincere suo fratello che Shakespeare valeva la pena essere letto, Mycroft era curioso - e ansioso - di vedere quali altri miracoli sarebbe riuscito a compiere. Perché era ovvio che c’era il giovane Professore dietro quell’improvviso interesse di Sherlock per la letteratura inglese.
Fossero stati da soli, Mycroft era certo che sarebbe riuscito a scoprire di più, ma doveva ammettere che sentire il punto di vista del Dottor Watson era stato interessante. A suo giudizio, tra Sherlock e William c’era intesa. Era una parola piuttosto specifica e il Direttore era certo che John Watson non era il tipo da usarla alla leggera. Era una conferma, certo, ma Mycroft non riusciva ancora a capire fino a che punto William James Moriarty fosse bravo a fingere.
Albert gli aveva dato un’immagine precisa di suo fratello, ma Mycroft poteva ancora concedersi il beneficio del dubbio. L’amore può influenzare qualsiasi giudizio e che il Conte ne provasse per il fratello minore era fuor di ogni dubbio. Dopo tutto quello che si erano detti, si sentiva ingiusto a dubitare di Albert, ma c’era Sherlock in gioco.
Mycroft sapeva che c’era solo un modo per quietare i propri pensieri: avere un confronto diretto con William James Moriarty.
Più facile a dirsi che a farsi.
Era certo che Albert non avrebbe accettato di buon grado quella sua proposta e voleva davvero evitare di rendere tesi i rapporti tra loro, specie ora che si erano evoluti in qualcosa di così bello e inatteso.
Una volta svoltato sulla strada dell’Universal, la carrozza rallentò. Mycroft aveva chiesto di farlo talmente tante di quelle volte che il vecchio Jones aveva memorizzato l’ordine, ormai lo eseguiva senza che nessuno glielo ripetesse. Il Direttore sollevò gli occhi blu: la finestra dell’ufficio di Albert era illuminata, forse ce la faceva ad andare a casa, rendersi presentabile e raggiungerlo.
Non si sarebbe mai permesso di farlo alla residenza londinese dei Moriarty: non aveva idea di quanto Albert parlasse di sé con i propri fratelli e non voleva essere fonte di turbamenti familiari.
Ora che ci pensava, era strano che Sherlock non avesse ancora fatto irruzione a casa di William. Ecco. Si era appena creato un altro scenario di cui preoccuparsi.
Mycroft sospirò stancamente e si chiese se fosse davvero il caso di andare da Albert con tutti quei pensieri. Gli mancava. Non lo vedeva da quasi quarantotto ore ed erano state lunghe, monotone. Solo la parentesi a casa di Sherlock aveva dato alla sua giornata un po’ di colore. Era un uomo adulto, teneva sulle spalle il peso di tutto l’Impero Britannico e Albert gli mancava. Per Mycroft l’età per simili smancerie era passata - forse non gli era mai stata davvero concessa - ma non poteva farci niente. Albert gli mancava, non poteva fare a meno di pensarlo.
Suo fratello e il suo amante erano due pensieri che si alternavano di continuo, come se fossero i perfetti rappresentanti delle due metà della sua vita. Forse lo erano.
Poi si fermò a riflettere: il Conte Moriarty, Albert James Moriarty, il suo amante.
Agli occhi della società tanto bastava a renderlo un criminale.
Quello che Mycroft non avrebbe mai ammesso era che gli piaceva.
“Grazie, Jones,” disse, scendendo dalla carrozza. “Passa una buona serata.”
“Buona serata a lei, Sir,” rispose il vecchio cocchiere, prima di riprendere la marcia.
Mycroft salì i pochi gradini che lo separavano dal portone di casa. Non fece in tempo ad aprire la porta che qualcuno lo fece per lui e lo trascinò dentro, nell’ingresso buio. L’istinto gli urlò di reagire e i suoi riflessi furono abbastanza pronti d’arrivare al calcio della pistola. Il suono di una risata e due mani calde sul viso gli vietarono di fare alcunché.
“Albert.” Mycroft intravide quegli occhi verdi nella semi oscurità che li circondava e a cui si stava abituando.
“Bentornato a casa, Sir Holmes.” Il suono della voce di Albert era suadente, ma questo non impedì al padrone di casa di pensare che aveva quasi impegnato un’arma contro di lui.
“Stavo per spararti,” disse, serio.
Mycroft non poté vedere l’espressione di Albert mutare, ma sentì l’entusiasmo scemare dal modo in cui lo toccava. “Giusto,” disse, come se si fosse appena reso conto di aver fatto una cosa assurdamente stupida. “Rispondi direttamente alla Regina, se qualcuno volesse colpire la Gran Bretagna, verrebbe da te.”
Il Direttore fu quasi sul punto di ricordargli che lui e i suoi fratelli volevano colpire la Gran Bretagna, ma si trattenne per evitare discussioni inutili. Cercò di smorzare la tensione: Albert era lì, la pistola era ancora al suo posto e non era successo niente d’irreparabile.
Resta la sorpresa.
“Che cosa ci fai qui?” Domandò Mycroft e sperò che dal tono della sua voce si percepisse il suo sorriso.
Le mani di Albert scesero sulla sua giacca, slacciando i bottoni alla cieca. “Volevo sorprenderti come io ho sorpreso te, ma temo di aver sbagliato il modo.”
“Dov’è Jane?”
“L’ho mandata a casa, dicendole che poteva prendersi la serata libera e tornare direttamente dopodomani.”
“Vuoi rinchiudermi in casa mia per un giorno intero?”
“Tutto dipende dai vostri desideri, Sir Holmes.” Albert lo spinse a voltarsi così che potesse liberarlo della giacca. “Il mio piano era accogliervi in casa e farmi preparare la cena da voi.”
A Mycroft scappò una risata. “È la mia cucina che ti ha convinto a tornare.”
“No, la tua compagnia lo ha fatto,” ammise Albert. “Solo che se cucino io, c’è il serio rischio che ci uccida entrambi. Vorrei evitare.”
Si erano rilassati entrambi.
Mycroft lo afferrò per i fianchi. “Sono sinceramente sorpreso.”
Le loro labbra erano a pochi centimetri di distanza. Sarebbe bastato un niente per baciarlo e fargli sentire quanto gli era mancato, ma Mycroft sentiva che non era il momento giusto. Si era creata una piacevole tensione in quell’ingresso e voleva dilatarla ancora un po’. Gli sfuggì un sospiro.
“Cosa c’è?” Domandò Albert, gentile.
“Vado in giro con questi vestiti da stamattina all’alba,” disse Mycroft. “Ho visto la luce accesa nel tuo ufficio e ho pensato di farmi un bagno, prima di venire all’Universal da te.”
Non poteva vederlo con chiarezza, ma sapeva che Albert stava sorridendo compiaciuto. “Sei passato all’Universal.” Non era una domanda.
“Solo davanti,” spiegò Mycroft, “mentre ero in carrozza. Volevo vedere se c’eri.”
“Immaginavo lo avresti fatto. Ho lasciato le luci accese per farti credere che fossi lì.”
“Oh, volevi depistare.”
“Sembra ci sia riuscito.”
Fu Albert a porre fine alla distanza tra loro e Mycroft non aveva davvero la voglia di allontanarlo per qualche stupido gioco di seduzione. Lo bacio e si lasciò baciare e fu il più bel ritorno a casa dopo tanto, tantissimo tempo.
“Sono lurido, Albert.”
“Allora rendete lurido anche me, Sir Holmes,” gli propose il Conte, tirandolo verso di sé. “Così, più tardi, potremo goderci un bel bagno caldo insieme.”
E chi era Mycroft Holmes per rifiutare una simile offerta?
***
Quella di correre sui tetti non era un’arte che William aveva fatto sua specificatamente per impersonare meglio il Signore del Crimine. Non era una cosa che un uomo come Jack Renfield poteva insegnare. No, per un ragazzino nato in condizioni miserabili e cresciuto per strada, era stata più una necessità. Il più delle volte, le strade era pericolose e nel buio dei vicoli si nascondevano mostri in grado di divorare i più deboli. Sui tetti era tutto diverso.
La maggior parte della gente aveva paura dell’altezza, del vuoto.
William quel timore non lo aveva mai avuto. Non era uno sbruffone, sapeva che il rischio di cadere era sempre dietro l’angolo, insieme alla morte, ma non gli metteva soggezione come avrebbe dovuto.
Dall’alto tutto assumeva un aspetto diverso.
Era un suo modo di prendere le distanze dal mondo che lo tranquillizzava, lo aiutava a riflettere. Anche ora che aveva una casa sicura e i mostri delle strade buie non erano più una minaccia per lui, William sentiva il bisogno di tornare a quella vecchia abitudine. Non doveva sforzarsi particolarmente per essere elegante e a modo. A suo dire, non erano nemmeno requisiti necessari per fingersi un giovane nobile: aveva conosciuto più rozzi nei salotti dell’alta società che per le strade dell’East End.
William era così. Glielo avevano detto fin da bambino: lui sapeva come parlare alle persone e tanto bastava per incantarle. Non era una recita, era solo quello che era.
E il bisogno di salire sui tetti, di tanto in tanto, faceva parte di lui allo stesso modo.
Era un modo per ricordare a se stesso che vestiva a meraviglia i panni del fratello di un Conte, ma rimaneva pur sempre un gatto randagio.
Quella sera, William non aveva scelto un posto in particolare. Voleva solo fare una passeggiata sopra Londra, dove nessuno lo avrebbe disturbato. Si era fermato a sedere perché l’altezza gli aveva offerto uno scorcio della città più affascinante di altri e i colori accesi del tramonto - gli unici visibili ai suoi occhi - erano una splendida cornice.
Distratto dai suoi pensieri, William non si era accorto di non essere da solo.
“Ciao…” Louis si avvicinò lentamente, come se avesse paura di essere cacciato, ma nel sorriso che il fratello gli rivolse trovò solo tenerezza.
“Louis.” William era felice di vederlo. “Vieni qui. Siediti vicino a me.”
Il minore non se lo fece ripetere una seconda volta. “Stai bene?” Domandò, premuroso.
“Sì, mi andava solo di prendere un po’ d’aria.”
Per un po’, il tramonto sembrò catturare l’attenzione di entrambi. Un tempo, guardare il cielo insieme era una cosa che facevano spesso. Louis ricordava un’estate passata a guardare le costellazioni, di cui William si era interessato tanto da leggere tutto quello che aveva trovato sull’argomento. Era sempre stato così tra loro due: William guidava e Louis, con tutta la fiducia e lealtà che un cuore poteva provare, seguiva.
Toccò proprio a quest’ultimo a spezzare il silenzio: “posso sapere dove hai intenzione di andare domani?” Lo domandò senza guardare il fratello, titubante.
Neanche William allontanò lo sguardo dal cielo. “Nell’East End,” rispose. Aveva chiesto a Fred di consegnare il suo invito a Baker Street ed era ovvio che il più giovane se ne fosse accorto. “Avevo promesso di non nascondermi più.”
“Questo lo so.”
“Ma sei turbato.”
“Perché proprio l’East End?” Louis sapeva che era inutile dire quanto quella parte di Londra fosse poco idonea per una passeggiata di piacere. Era stata la loro culla e non li aveva accuditi. Al contrario, le erano sopravvissuti.
“Voglio far vedere a Sherlock una cosa,” rispose William.
“Del nostro passato?”
“Non capirà che è del nostro passato.”
“Capire le cose è il suo lavoro, fratello,” gli ricordò Louis. “Se non avrà il ben che minimo sospetto, forse non è bravo come credi.”
William sorrise, comprensivo. “Non lo sopporti.” Era un’ovvietà, ma la disse guardando il minore negli occhi. “Posso chiederti perché?”
Louis si agitò. “Che domanda…”
“È solo una domanda, Louis, rispondi con sincerità.”
“Mi da fastidio.”
“Questo l’ho capito.”
“Tutto di lui mi da fastidio,” sottolineò Louis. “Quell’uomo è un difetto vivente. Non riesco ad accostare alla sua figura sgraziata niente di positivo.”
“È intelligente,” propose William. “Questo è un pregio oggettivo.”
“No, è solo l’aggravante,” ribatté Louis. “Non sa usarla quell’intelligenza.”
Il maggiore sorrise, paziente. “Questo non è vero. Ha risolto tutti i miei enigmi e superato brillantemente ogni prova a cui l’ho sottoposto.”
Louis era imbronciato. “Riesci davvero a guardarlo, con tutti i suoi atteggiamenti rozzi e il suo accento stridente, e pensare che sia interessante.”
“Sì.” William non esitò ad ammetterlo. Sarebbe stato stupido fare il contrario. “E per quanto riguarda gli atteggiamenti e l’accento, trovo che lo rendano vero. Vuole essere così e basta. Non gli importa del giudizio della gente. Avrebbe tutte le carte giuste per integrarsi nell’alta società e diventare qualcosa di rispettabile e noioso ma si rifiuta. È un ribelle per natura.”
“Perché accosti rispettabile a noioso?”
“Perché Sherlock è una macchia di colore in mezzo a tanto grigio,” rispose William, ma non poteva confessare al fratello quanto quelle parole erano vere.
Louis lasciò andare un sospiro che era un po’ uno sbuffo. Doveva aver concluso che parlare di Sherlock con lui non poteva che irritarlo, perché cambiò argomento. “Albert non tornerà per cena.”
William non ne era sorpreso. “Deve discutere della strategia da usare al ballo dei Patel con Sir Holmes,” disse. Sapeva che quella era solo una delle ragioni che avrebbe spinto Albert a passare la notte in una casa che non era la loro.
“William…” Louis lo stava pregando di non fornire al fratello maggiore alibi di cui non aveva bisogno.
“Il letto dove Albert decide di dormire non è affar nostro,” disse William, senza essere duro. Si stava limitando a esporre al più giovane il proprio punto di vista.
“Lo so,” concordò Louis. “È che non è mai tornato da nessuno, prima d’ora.”
Tranne Sebastian Moran, ma quella era una confessione che non poteva fare. C’era un limite anche nell’essere crudeli con il Colonnello e i sentimenti di Albert andavano tutelati.
Le labbra di William si piegarono in un sorriso divertito. “E tu che ne sai?” Domandò, sinceramente curioso.
Louis si sentì preso alla sprovvista e non rispose subito. “Lo sai anche tu, no?”
“No,” ammise William, scuotendo appena la testa. “Posso essermi accorto del passaggio di un amante clandestino, di tanto in tanto, ma non ho mai avuto elementi per capire quante persone diverse sono state coinvolte.”
“Ah…” Commentò Louis, stupidamente. “Pensavo che Albert ne parlasse con te.”
“Degli amanti?” William scosse la testa. “L’unica cosa che mi ha confidato è di aver passato una notte con Mycroft Holmes ed è successo due giorni fa.”
Louis ne era sorpreso: sapeva di Albert qualcosa di cui William non era a conoscenza. Colpo di scena.
“E poi perché avrebbe dovuto parlarne solo con me?” Aggiunse William.
Louis si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. “Dai, William…”
“Cosa?”
“Tu e Albert avete il vostro legame,” disse Louis. “Io e te abbiamo il nostro.”
La confusione con cui William lo guardò era genuina. “Siamo tre fratelli.”
“Sì, ma io sono il piccolo.” Da qualche parte nella sua testa, il più giovane dei fratelli Moriarty sentì il Colonnello Sebastian Moran ridere di lui. “Prima dei Baskerville, lo ero anche per te. Avete questa tendenza a tenermi fuori dalle questioni degli adulti.”
“Louis…”
“Sono un adulto anche io.”
“Lo so.”
Calò di nuovo il silenzio. Il cielo si era fatto scuro e la luce era quasi del tutto sparita, si vedevano le prime stelle. E Louis decise che era arrivato il suo turno di creare il panico. “Com’è?”
William inarcò le sopracciglia. “Che cosa?”
Louis prese a tamburellare le dita sulle ginocchia, nervoso. “Hai capito.”
“No, non ho capito.”
Il fratello minore si morse il labbro inferiore, duellando con la sua mente perché gli suggerisse il modo meno imbarazzante per spiegarsi. “Com’è passare la notte con qualcuno?”
William aprì la bocca ma la richiuse immediatamente. “Lo stai chiedendo a me?”
Louis si strinse nelle spalle, come se avesse freddo. “Ci siamo io e te qui,” disse. “E non andrei mai a chiederlo ad Albert, comunque.”
L’alternativa era Sebastian Moran, ma piuttosto si sarebbe buttato da quello stesso tetto di testa.
In quel momento, William fu felice che fosse quasi buio perché non c’era qualcosa di più frustrante del sentirsi in imbarazzo col suo stesso fratello, quello che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Disse qualcosa a bassa voce che Louis non afferrò.
“Eh?”
“Non lo so,” ripeté William.
Le labbra di Louis formarono una O perfetta e prese seriamente in considerazione l’idea di fare un volo di sotto. Sarebbe stato meglio di quello che provava in quel momento. “Scusami, io-“
La risata di William lo prese di sorpresa.
“Perché ridi?”
Il fratello maggiore lo guardò con quell’espressione tenera che riservava solo a lui. “Io e te che parliamo di queste cose…”
“Non ne stiamo davvero parlando,” ribatté Louis. “Nessuno dei due a qualcosa da dire riguardo all’argomento.”
“Ma con chi credevi che fosse successo?” William riusciva a stento a controllare l’attacco d’ilarità.
Louis allargò le braccia come a dire: ovvio, no? “Non ci sono molti candidati plausibili,” disse ad alta voce.
William smise di sorridere. “Sherlock?”
“Se potessi guardarti mentre parli di lui, non etichetteresti il mio sospetto come immotivato.”
“E come ne parlo?”
“Come un miracolo, un qualcosa destinato ad accadere solo una volta nella vita e poi mai più.”
“E quando sarebbe dovuto accadere?”
“Smettila di ridere, William. Avete avuto un’intera giornata a Durham, tanto per cominciare. Avete passato insieme la notte scorsa e domani vi rivedete, all’East End.”
“L’East End è sospettoso?”
“Stai ancora ridendo.”
“Abbiamo solo parlato, Louis. A Durham abbiamo risolto un paio di cose, al più. Nulla di sconveniente.”
“L’East End esiste per fare cose sconvenienti.”
William peggiorò la situazione dandogli una risposta ragionata. “No, non lo farei mai. Pagare una stanza all’East End per contenere lo scandalo? Non è da me e nemmeno da Sherlock. Troppo da amante clandestini. Lui ha una casa e non è affollata come la nostra. Sono certo che se il nostro rapporto dovesse divenire sconveniente, l’idea di un albergo non lo sfiorerebbe neanche. Mi porterebbe a casa sua, nel suo letto, sarebbe quel genere d’intimità che gli somiglia.”
Louis lo fissò con occhi e bocca spalancati. “Non posso credere che tu lo abbia detto sul serio.”
William rise di nuovo. “Ti sto prendendo un po’ in giro. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che abbiamo riso insieme.”
Nemmeno Louis e quello sarebbe potuto essere un momento davvero toccante, solo per loro, peccato che William gli avesse ficcato in testa l’immagine di lui e Sherlock nella camera di quest’ultimo. “Il 221B di Baker Street deve bruciare.” Non c’era altra soluzione. Il fatto che non potesse davvero risolvere col fuoco anche quel problema lo affliggeva.
“Che cosa hai detto?” Domandò William.
“Niente,” rispose Louis, sconfortato. Si alzò in piedi. “Torniamo a casa. È buio.” Porse la mano al fratello per aiutarlo ad alzarsi.
William l’accettò e lo seguì.
M3: Mai più
Non appena Albert ebbe finito di presentare il caso, il Colonnello Sebastian Moran fu il primo a spezzare il silenzio. “Ma che cazzo…”
Il Conte gli lanciò un’occhiata storta. “È sempre bello ascoltare la vostra poesia, Colonnello.”
Si erano radunati tutti intorno al tavolo del seminterrato, dove prendevano forma i piani del Signore del Crimine.
Il padrone di casa aveva impiegato meno di mezz’ora a fare il punto della situazione, appendendo le foto delle vittime alla lavagna posta sul muro.
“Questo Patel non è un truffatore o uno stupratore o un assassino,” proseguì Moran, indicando le nove fotografie. “No, questo pezzo di merda è tutti e tre messi insieme.”
“Dove sono i corpi?” Domandò Louis. “So che esistono metodi per far sparire una persona dalla faccia della terra, ma nove su nove?”
Bond scrollò le spalle. “Magari ha trovato un metodo efficace per smaltire i cadaveri senza dare nell’occhio.”
“Esatto,” confermò Albert, aprendo sul tavolo la planimetria della tenuta dei Patel, teatro della prossima missione. “Vedere questo?” Indicò un punto tra le propietà esterne. “È un lago artificiale. Abbiamo informazioni molto precise a riguardo: George Patel lo ha voluto a tutti i costi per poter praticare pesca vicino casa. Ha chiamato degli esperti per creare un vero e proprio ecosistema con una specifica razza di pesci.”
“Che non conosciamo,” concluse Jack.
“No, ma Mycroft è persuaso a credere che siano i migliori complici di George Patel nello smaltimento dei cadaveri,” disse Albert.
Al nome Mycroft, Moran emise un verso di disappunto che tutti udirono senza problemi. Venne ignorato
“In breve: per incastrarlo dobbiamo arrivare al lago e setacciarlo,” concluse Louis.
Albert annuì. “È meno semplice di come suona, temo. Sarà buio e chi andrà avrà poco tempo e non disporrà di molti mezzi.”
Moran sbuffò. “Come facciamo a setacciare il fondale di un lago?” Domandò, irritato. “Vuoi che vada a nuoto e che tasti il terreno alla cieca finché non mi ritrovo un arto tra le mani?”
Louis borbottò qualcosa a bassa voce: “affogatevi, già che ci siete.”
“Ti ho sentito, moccioso!” Ringhiò il Colonnello, puntandogli l’indice contro.
Bond rise sotto i baffi. Fred lanciò al compagno di avventure un’occhiata un poco esasperata.
“Ed Evans?” William parlò per la prima volta dall’inizio della riunione strategica. Era l’unico seduto, vestito solo del pigiama e della vestaglia da camera. “Perché non lo consideri tra le prime otto vittime?”
“Tempistica,” rispose Albert. “Se analizziamo la distanza di tempo tra una sparizione e l’altra, notiamo che l’intervallo aumenta. George Patel vuole le sue vittime vive il più a lungo possibile.”
“Che schifo.” Moran diede voce al pensiero di tutti. “Stai cercando di dire che il moccioso nobile potrebbe essere segregato da qualche parte, ridotto come solo Dio sa come?”
“È una speranza,” rispose Albert. “Sempre se di speranza possiamo parlare in una simile circostanza. Dovremo dividerci strategicamente: io e Will saremo come sotto gli occhi di tutti, con meno spazio di manovra. Serve una squadra che vada al lago e un’altra che setacci la villa, alla ricerca del giovane Evans.”
“Io e Louis andiamo al lago,” disse Moran.
Il più giovane lo guardò storto. “Chi siete voi per deciderlo?”
Il Colonnello gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Vuoi vedermi affogare? Bene, allora vieni con me in mezzo alla melma e mi guardi affogare!”
“Ragazzi, mantenete il controllo,” disse il vecchio Jack, come se fosse ancora il Maestro di tutti e due. “Mi spiace, Louis, la proposta di Sebastian è buona: lui è il più adatto a buttarsi in quel lago e fare il lavoro sporco, tu sei il candidato migliore per gestirlo e tenerlo d’occhio.”
Moran annuì a braccia conserte, poi udì la seconda parte della frase e si bloccò. “Chi deve tenere d’occhio chi?”
“Fred, con la sua abilità nei travestimenti, sarà il nostro jolly all’interno della villa,” proseguì Albert. “È silenzioso ed è veloce. Può intrufolarsi con facilità dove nessuno di noi può arrivare.”
“Rimangono Bond e il vecchio come squadra di supporto,” notò Moran.
“Avviseremo Paterson, che avrà Scotland Yard pronta ad agire al nostro segnale,” proseguì Albert. “Von Herder sarà lì per il solito supporto tecnico e Moneypenny lo affiancherà.”
“Io ho una domanda!” Il Colonnello alzò la mano come un studente molesto, ma non aspettò il permesso del Conte per parlare. “Perché lui non sta dicendo una parola?” Indicò William.
Il giovane Professore lo guardò un po’ spaesato: anche un cieco si sarebbe accorto che stava morendo di sonno. “Ufficialmente, questo è un caso dell’MI6,” rispose. “L’intervento del Signore del Crimine è un nostro tocco personale, ma è giusto che sia Albert a gestire la missione.”
“E Mycroft,” aggiunse Moran, con un sorrisetto dispettoso. “Perché ci portiamo dietro anche Mister Government, non è cos- William!”
Louis fu svelto ad afferrare le spalle del fratello per evitare che cadesse dalla sedia. “C’era d’aspettarselo,” disse, mentre il Colonnello faceva il giro del tavolo per aiutarlo a sorreggere il fratello privo di sensi.
“Mi sorprende che abbia retto tanto,” commentò Jack.
Moran sollevò William come se non pesasse niente. “Albert, vieni a darmi una-“ Non appena gli occhi grigi incrociarono quelli verdi del Conte, il Colonnello decise che avrebbe tentato la sorte in altro modo. “Louis, vieni con me. Io lo porto di sopra ma non gli rimbocco coperte.”
Il più giovane assunse un’espressione visibilmente annoiata, non perché gli era stato chiesto di prendersi cura di William - era pronto a morire per suo fratello - ma perché l’idea di passare qualche minuto da solo col Colonnello non lo entusiasmava neanche un po’.
“Bene, dichiaro la prima riunione strategica conclusa,” disse Albert, raccogliendo tutti i documenti del caso. “Proporrò al Direttore la nostra strategia e vedremo se avrà qualcosa da dire a proposito.”
Moran si fermò sulla porta e lo guardò di traverso. “Non basta avere un Holmes che ci manda le rose a colazione, ora dobbiamo pure sopportare l’altro che mette bocca nelle nostre missioni?”
Bond si sporse all’indietro per guardarlo. “Sei consapevole che, tecnicamente, lavoriamo per lui?”
“Non io!”
“Sì, invece, proprio tu. Sei l’agente 006, te lo sei scordato?”
Moran ringhiò qualcosa a bassa voce e si decise a portare William fuori da quella stanza, Louis al seguito.
Jack prese un respiro profondo. “Quanti giorni mancano al ballo in maschera?”
“Quattro,” rispose Albert, già sapendo dove il vecchio maestro voleva andare a parare.
“Bene, ragazzo, fai appello a tutta la tua pazienza,” gli consigliò. “Saranno quattro giorni molto lunghi.”
***
Sherlock era di cattivo umore.
John non ne era sorpreso. Erano quasi passate quarantotto ore dall’ultima volta che aveva visto WIlliam James Moriarty e il telegramma promesso non era ancora arrivato. C’era da dire che il medico aveva notato un improvviso calo di entusiasmo già da prima. Per la precisione, Sherlock non era più stato lo stesso da quando era avvenuto quel piccolo incidente idraulico nel bagno.
John lo aveva lasciato al settimo cielo e lo aveva ritrovato non con i piedi per terra, ma col morale sepolto in una fossa.
La signorina Hudson aveva notato quella brusca inversione di rotta alla sua stessa velocità, ma per lei era facile darsi delle risposte: un ”tutta colpa di quella lì!” e la discussione era chiusa.
Suo malgrado, John era in grado di percepire qualche sfumatura in più ed era dell’idea che William non fosse d’accusare - in fin dei conti, aveva chiesto pazienza, oltre che fiducia. No, il medico aveva il dubbio che il suo coinquilino si fosse perso tanto nei propri pensieri da mettersi tristezza da solo. Era una cosa che Sherlock faceva ma che non ammetteva mai con se stesso.
Quanto grave fosse la situazione, John lo capì quel pomeriggio, poco prima dell’ora del tè. In mattinata, era arrivato un messaggio da parte di Sir Mycroft che li avvisava che sarebbe passato a fare una visita. Sherlock aveva deciso deliberatamente di far finta di niente e se ne andava in giro per casa con i capelli sciolti, la camicia fuori dai pantaloni e a piedi scalzi. Immagine più lontana dal tipico gentleman inglese non poteva esserci ma finché non si metteva a sparare contro il muro, John non aveva nulla da dire.
Poi gli capitò di entrare in salotto e di trovare Sherlock steso sul divano, i piedi incrociati sul bracciolo più vicino alla porta. Leggeva, nulla di strano. John aveva quasi deciso di lasciarlo in pace e di cedere a Mycroft l’ingrato compito di fare breccia in quel muro di silenzio, ma lo sguardo gli cadde sulla copertina del titolo che il partner stringeva tra le mani e per poco non gli prese un colpo.
“Shakespeare!” Esclamò con voce esageratamente alta, tanto che il Detective sobbalzò.
Quando il più giovane lo guardò malissimo, John seppe di essersi meritato tutta la sua irritazione.
“Ma che ti prende?” Domandò Sherlock, esagerato nei toni almeno quanto lo era stato l’altro.
John aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua. “È che… Insomma… Shakespeare?” Reclinò la testa per leggere il titolo sotto il nome dell’autore. “Romeo e Giulietta?!”
“Ma la smetti di urlare?”
Era già strano vedere Sherlock immerso in una lettura che nulla aveva a che fare col suo lavoro, ma addirittura la tragedia dei due amanti di Verona?
“Sherlock,” cominciò John, cercando di rimanere calmo. “Che vuoi fare? Prendere William e scappare da Londra?” Una risposta affermativa non lo avrebbe sorpreso.
“Gliel’ho già chiesto.”
“Ah…”
“Ha detto di no.”
“Meno male.”
Ora John era certo che almeno William James Moriarty fosse ragionevole.
Il suo sollievo gli fece guadagnare un’altra occhiataccia da quegli occhi blu. “John, toglimi una curiosità, tu da che parte stai?”
“Da quella in cui rimani sul lato sicuro della legge.”
Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Lo hai sempre saputo che non mi piacciono le donne. È un po’ tardi per porsi il problema.”
“Sherlock, davvero…” In tutta onestà, John era un po’ offeso dal dover ribadire il concetto. “Tu puoi amare chi vuoi, ma non puoi chiedermi di non preoccuparti per te.”
“Bravo!” Sherlock voltò pagina rabbiosamente. “Fammi anche sentire in colpa!”
“Qui nessuno vuole farti sentire in colpa.”
Mycroft scelse proprio quel momento per comparire sulla porta aperta del salotto. Lui e John si scambiarono un segno di saluto, poi lo sguardo del maggiore degli Holmes cadde sulla figura del fratello, che lo stava ignorando bellamente in favore della sua lettura.
“Vuoi fuggire con William da Londra?” Domandò Mycroft.
Sherlock si lasciò cadere il libro in grembo, esasperato. “È in corso un’epidemia di deficienza?” Domandò, ignorando John che si era voltato per non scoppiare a ridere. “Pensi davvero che se volessi scappare con Liam, prenderei esempio da questi due cretini?”
“Oh…” Mycroft si tolse giacca e cappello e li appese vicino alla porta, come se fosse casa sua. “Mi sembrava strano che non avessi ancora offeso la memoria dell’onorevole William.”
Sherlock non lo capì. “Liam è ancora vivo!” Esclamò. “E non stavo offendendo lui, non lo farei mai. Offendevo loro!” Sollevò il volume tanto per chiarire che ce l’aveva con Romeo e Giulietta.
“Mi riferivo al William sulla copertina,” chiarì Mycroft, pizzicandolo sotto il piedi per farsi fare posto sul divano. “Ci sono stati, ci sono e ci saranno molti William a scrivere la storia inglese, Sherly.”
Ma ci sarà un solo Sherlock, pensò John, occupando la sua solita sedia al tavolo. Sherlock è un miracolo che non si ripeterà mai più.
“C’è un motivo per cui lo chiamo Liam,” disse Sherlock, rinunciando al divano per spostarsi sulla sua poltrona preferita. “Perché non deve confondersi con nessun altro.”
“Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?” Recitò Mycroft. “Saresti una splendida Giulietta, Sherly.”
John simulò una serie di colpi di tosse per nascondere l’attacco d’ilarità che gli provocarono quelle parole. Sherlock, ovviamente, se ne accorse. “Bravo, John, strozzati!”
“Sherly, il buon dottore è l’unico che riesce a tollerarti,” gli ricordò Mycroft. “Abbi cura di lui.”
“Sto bene,” dichiarò John, dopo aver ripreso fiato.
“Dottore, se posso, vorrei chiedere il suo giudizio riguardo quello che sta succedendo al nostro Sherly,” disse Mycroft, serafico.
In un gesto istintivo, gli occhi di John cercarono quelli di Sherlock e il più giovane fece lo stesso.
Il Direttore si permise una risata. “Reazione interessante.”
“Beh, ecco…” John sapeva di non potersi esimere dal rispondere, ma era difficile non fare brutte figure con Sherlock che continuava a fissarlo come a pregarlo. Non glielo dire. Non glielo dire. Non glielo dire.
A cosa si riferiva di preciso? Alla storia delle Anime Gemelle?
“Io non conosco così bene il Professor Moriarty per avere un giudizio personale su di lui,” ammise John. “L’ho visto una sola volta e mi è sembrato un uomo da bene, elegante…” Lanciò un’occhiata al coinquilino, spalmato malamente sulla poltrona. “Cioè non è così,” concluse, facendo un vago gesto in direzione di Sherlock.
Il più giovane lo fissò, allibito. “John, mi hai appena fucilato…”
“Capisco cosa intendete, Dottore,” disse Mycroft.
Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Figurarsi!”
“Il giovane William è un perfetto esponente del suo ceto sociale, difficile immaginare un uomo così in compagnia di mio fratello.”
John annuì. “Vero, ma vi assicuro che quando si parlano, si percepisce una forte intesa.”
Lo sguardo di Mycroft si fece attento. “Continuate.”
Persino Sherlock rimase zitto ad ascoltare.
“Beh, li ho visti interagire solo una volta,” ammise John. “Ma è stato straordinario osservare due menti così lavorare allo stesso caso di omicidio.”
Sherlock sollevò l’angolo destro della bocca. Vai così, John.
“E devo ammettere che il Professore non mi è mai sembrato disturbato dal modo di approcciarsi di Sherlock.”
Il Detective divenne serio di colpo. John, se m’insulti fai il gioco dello stronzo!
“Credo, per quel poco che ho potuto vedere, che il Professor Moriarty sia quel genere di persona che è disposta a sbottonarsi un po’ solo quando ne vale la pena.”
“Mi state dicendo che il nostro Sherly vale la pena?” Domandò Mycroft.
“Sono avvenuti una serie di fatti che mi portano a credere che, sì, William sembra aver deciso che Sherlock vale il rischio.”
Sherlock non fu mai tanto di felice di avere John H. Watson come suo partner. Guardò il fratello maggiore col sorrisetto di chi sa di averla avuta vinta. “Toglimi una curiosità, fratello degenere, con quell’Albert parlate solo di me e Liam o, qualche volta, lavorate anche?”
“Sherlock…” Lo ammonì John, come faceva sempre quando il partner era un po’ troppo sfacciato.
“In effetti, io e Albert parliamo molto e non solo di lavoro,” confessò Mycroft.
Sherlock si tolse dalla faccia quell’espressione da sbruffone, certo che il fratello stesse cercando di dirgli qualcosa senza farlo davvero.
La signorina Hudson arrivò con il tè prima che potesse indagare oltre.
“Servitevi, signori,” disse, posando il vassoio sul tavolo. Lanciò un’occhiata a Sherlock, vide che aveva una copia di Romeo e Giulietta tra le mani e cercò gli occhi di John. Con un gesto della mano, il medico le disse di lasciar stare.
“Vieni, Sherly,” disse Mycroft, alzandosi dal divano per occupare una delle sedie. “Il tè si fredda.”
“Non mi va,” berciò il Detective, capriccioso.
“Sherlock, per favore,” intervenne John.
“Signorina Hudson, si accomodi,” la invitò Mycroft. “Ci faccia compagnia.”
“Se insistete,” disse la donna, sorpresa di ricevere tanta cortesia da un uomo con lo stesso viso di Sherlock.
“Sherly, manchi solo tu.” Mycroft lo sottolineò a posta per farlo sentire in difetto. “Se ti senti offeso per quell’uscita su Giulietta, sappi che ho cambiato idea. Tu sei quello più adatto ad arrampicarsi su un balcone.”
Sherlock storse la bocca in una smorfia. “Forse, ma mi disturberei a controllare il battito di Giulietta, prima di avvelenarmi.”
Nella mente di John si divisero i due schieramenti: gli Holmes come i Montecchi e i Moriarty come i Capuleti. Questo faceva di lui Mercuzio?
Arrivata nel vivo della discussione, la signorina Hudson mise insieme quei pochi pezzi che aveva. “Vuoi scappare da Londra con la tua bella?” Domandò, seriamente allarmata.
Sia John che Mycroft appoggiarono la tazza di tè sul tavolo, cercando di non scoppiare a ridere.
Sherlock decise di lanciare Shakespeare dall’altra parte della stanza. “Al Diavolo la letteratura!”
“Sherly…”
“Zitto!” Alla fine, anche il più giovane degli Holmes si sedette al tavolo, insieme al resto del gruppo.
“Tutti noi riconosciamo in te la tendenza a compiere fughe d’amore,” disse Mycroft.
“Mai avvenute!“ Esclamò Sherlock, versandosi il té. “Mai avverranno.”
Forse. Se Liam avesse accettato la tua proposta folle della notte scorsa, saresti scappato con lui senza pensarci.
Sherlock decise di lasciare quel pensiero lì, in un angolo della sua mente.
Mycroft se ne andò circa un’ora dopo con quel suo solito: “cerca di non morire, Sherly.”
Sherlock sapeva da dove veniva quella brutta abitudine, ma Mycroft dava l’imbarazzante impressione che avesse una passione per buttarsi dai ponti o qualche assurdità del genere. Sir Holmes non volle scomodare nessuno per farsi accompagnare alla porta e tutti rimasero in silenzio, aspettando di sentirlo andare via.
John fu il primo a tirare un sospiro di sollievo. “È stato un incontro piacevole, no?”
“Parla per te,” bofonchiò Sherlock.
“Ora che siamo tra noi, me lo vuoi spiegare perché ti sei messo a leggere Shakespeare?”
“Perché piace a Liam,” disse Sherlock, col tono di è costretto ad ammettere un ovvietà.
John sbatté le palpebre un paio di volte. “È un matematico.”
“È un accademico, è diverso… Signorina Hudson, perché continuate a guardarmi così?”
Da quando Mycroft se ne era andato, la padrona di casa se la rideva sotto i baffi per ragioni che erano note solo a lei. “Ho intuito che non fosse il caso svelare troppo mentre tuo fratello era qui?”
Sherlock la fissò confuso. “Svelare cosa?”
La Signorina Hudson tirò fuori dalla tasca un biglietto piegato in quattro parti e lo sventolò con tracotanza, come se stringesse tra le dita una verità in grado di far tremare l’intera Gran Bretagna. “Un ragazzo con i capelli neri me lo ha consegnato mezz’ora dopo l’arrivo del Signor Mycroft,” raccontò. “Ha espressamente detto: per Sherlock Holmes.”
***
Albert era radioso. In verità, il sorriso gli mancava di rado ma era sincero solo quando rivolto a William, al massimo a Louis. Dopo la sua notte con Mycroft Holmes qualcosa era cambiato, ma Moran sapeva di non poterne parlare con nessuno perché era certo di essere stato l’unico a notarlo. Non poteva sapere quel che accadeva dietro le porte chiuse della villa, ma faceva fatica a immaginare i fratelli Moriarty che si confidavano tra di loro. Tanto per cominciare, William non avrebbe potuto evitare di nominare Sherlock e non si poteva calpestare ulteriormente la sensibilità di Louis, non a due giorni da una missione dell’MI6.
Albert, da parte sua, che avrebbe potuto dire? Di amanti ne aveva avuti tanti, nessuno di cui valesse la pena pronunciare il nome tra le mura domestiche. Senza ombra di dubbio il ruolo - e il fratello - di Mycroft Holmes rendevano questa sua nuova esperienza diversa da tutte le altre, ma Sebastian Moran non poteva fare a meno di sospettare che ci fosse di più.
Quando il Colonnello si era travestito da maggiordomo solo per avere conferma dei suoi sospetti, interrompendo così i saluti tra il Conte e il Direttore, gli occhi verdi di Albert si erano accesi di un astio a cui Moran non era abituato. No, nemmeno nei suoi confronti. Il giovane Conte Moriarty era sarcastico, a tratti velenoso, nei suoi confronti ma il tempo in cui si era dimostrato davvero sincero ai suoi occhi era finito da quasi un decennio. Sebastian Moran aveva visto il giovanissimo Albert James Moriarty rompersi sotto il peso di una colpa a cui nulla lo aveva preparato. Non quella di aver ucciso chi l’aveva messo al mondo, ma di amare in modo sconveniente un fanciullo che per tutti era suo fratello minore.
Al tempo, Moran era stato l’unico a comprenderlo, perché anche lui si era macchiato della stessa colpa. Afflitti entrambi - Albert da un dolore acuto e costante, Sebastian solo dalla consapevolezza della cruda realtà - si erano crogiolati insieme in un calore senza sentimento, non quello che li avrebbe resi amanti oltre la carne. E Albert non lo aveva mai tradito. Non perdeva occasione per punzecchiarlo e godere della puerile umiliazione che gli infliggeva ogni volta, ma aveva avuto rispetto del suo cuore.
Albert non aveva mai rivelato a William quello che il Colonnello provava per lui, Moran non si era mai permesso di parlare dei sentimenti del Conte con nessun altro.
Erano complici da un decennio, stretti l’uno all’altro da un segreto che, per una volta, non aveva le sfumature violente dell’omicidio ma dell’amore. Non per questo era meno sporco.
Quando si erano allontanati l’uno dall’altro, consapevoli di aver toccato un limite oltre al quale si sarebbero fatti solo del male, avevano preso strade parallele ma non molto diverse. Sebastian Moran era sempre stato un donnaiolo, non fece nulla che non aveva già fatto. Albert James Moriarty creò un immagine di sé in grado d’incantare la società e di maledire chi osava tanto da conoscerlo dietro una porta chiusa a chiave.
Il centro di tutto, per entrambi, non aveva mai smesso di esserci William.
Per questo Sebastian Moran pensava a Mycroft Holmes e non poteva evitare di figurarlo come una sbavatura. Il Colonnello non aveva mai concepito l’idea di superare William - in fin dei conti, era destino che venissero contatti tutti per lui, no? - e non poteva che provare fastidio nel rendersi conto che, forse, Albert c’era riuscito.
Il fatto che fosse ancora una volta un Holmes ad averla vinta non faceva che peggiorare il suo malumore. Da quando quelle rose blu erano arrivate a casa loro, Sebastian Moran aveva già rischiato abbastanza restando nelle vicinanze di Louis. Il più giovane dei fratelli Moriarty, a cui non si poteva nascondere niente, era stato bravo e crudele a scavargli dentro, a sbattergli in faccia che William aveva fatto una scelta non preventivata e che questa non era ricaduta su nessuno di loro.
Il suo momento di onestà Moran lo aveva affidato a Bond e solo perché sapeva che una parte di quest’ultimo - quella Irene Adler che, ufficialmente, era stata rinvenuta morta nel Tamigi - sarebbe sempre appartenuta a Sherlock Holmes.
Ma Albert…
Fu contro ogni spirito di autoconservazione che Sebastian Moran andò a bussare allo studio di M, all’Universal. Vista la rabbia silenziosa che gli aveva riservato negli ultimi due giorni, il minimo che il Colonnello poteva aspettarsi era che il Conte gli tirasse un bicchiere, una bottiglia, qualsiasi cosa in grado di ferirlo. Mentre prendeva seriamente in considerazione quella possibilità, Albert gli aveva già dato il permesso di entrare.
Era stato facile. Troppo facile.
Moran si rese conto del perché quando aprì la porta e vide l’entusiasmo scivolare via da quegli occhi verdi in favore di un’evidente delusione. “Oh… Colonnello.”
Si era aspettato qualcun altro. Moran glielo lesse in faccia.
“Entrate, volevate parlarmi di qualcosa?”
L’agente 006 si richiuse la porta alle spalle ma non si avvicinò di un altro passo. Albert era in piedi, di fronte alla scrivania e lo guardava, in attesa.
Girarci intorno non sarebbe servito a nessuno.
“Che cosa stai facendo, Albert?” Una domanda che voleva dire tutto e niente.
Il Conte glielo fece notare dandogli una risposta stupida: “stavo elaborando i dettagli della nostra strategia. Io e William ne abbiamo parlato in modo più approfondito e stavo preparando una presentazione da mostrare al Direttore.”
“Ti aspettavi che fosse lui, vero?”
Albert smise subito di giocare. Per l’occasione, mise da parte anche le formalità. “Che cosa vuoi, Sebastian?”
Moran non la ricordava nemmeno l’ultima volta che lo aveva chiamato per nome. “Sei ancora arrabbiato?” Domanda sciocca, ma contro un Moriarty non sapeva in che altro modo giocarsela.
Albert accennò un sorriso. “Non sei tanto importante, non montarti la testa.”
“Oh, io non lo sono senza ombra di dubbio,” ribatté Sebastian. “Mi chiedo se lo sia lui.”
Il più giovane gli risparmiò la scenetta ridicola in cui faceva finta di niente. “Non sono affari tuoi, Sebastian.”
Aveva ragione e, rispetto alla situazione, si stava dimostrando piuttosto garbato, ma Moran doveva liberarsi del fastidio che sentiva all’altezza del petto e non c’era nessun altro da cui potesse andare. Louis aveva già rigirato il coltello nella piaga. William era e sarebbe sempre stato fuori dalla sua portata.
Ma lui e Albert si erano toccati.
E Albert non poteva aver superato William e averlo lasciato indietro. Non Albert. Almeno Albert.
“Come la mettiamo con la faccenda di William e lo stronzetto?” Puntare dritti a Mycroft non aveva funzionato, al Colonnello non restare che fare il giro più largo.
Albert sbatté le palpebre un paio di volte. “Ti riferisci a Sherlock?”
“Ah, sì, adesso li chiamiamo per nome per distinguerli.”
“William è un adulto, può decidere chi frequentare nel modo in cui preferisce. Per la seconda volta, non sono affari tuoi e nemmeno miei.”
Moran storse la bocca in una smorfia sarcastica. “Che grande ipocrita!”
“Prego?”
“Non molto tempo fa nemmeno Dio poteva salvare chi osava avvicinare William senza il tuo permesso,” gli ricordò Moran. “Ora, dato che sei impegnato con un Holmes almeno quanto lo è lui, possiamo sorvolare sulla questione!”
Gli occhi di Albert si fecero gelidi. “William e Sherlock non sono amanti.”
Bene, almeno fino a quel punto gli importava ancora.
“Hai appena confermato che tu e Mycroft lo siete,” disse Moran.
“Ci hai visti mentre lui mi baciava la mano. Per tanto, perché stiamo perdendo tempo a parlare di segreti che non sono segreti?”
“Perché tanta sfacciataggine mi disturba.”
Albert non ebbe alcuna remora a scoppiare a ridere. “Che succede, Sebastian? Non sei tu quello a provocare scandali e improvvisamente diventi un rigoroso uomo vittoriano?”
“Smettila di dire dire stronzate.”
“Vorrei farlo, ma non riesco a dare un senso a questa tua visita,” ammise Albert. “Ho una relazione con Mycroft Holmes. E allora? William, senza ombra di dubbi, è attratto da Sherlock Holmes e possiamo stare qui a elencare i motivi per cui tutto questo sia pericoloso, ma né io né te abbiamo il potere o la volontà di ostacolarlo. L’unico che poteva qualcosa era Louis e Will lo ha convinto alla resa. Questi sono i fatti. Quindi, per l’ultima volta, perché sei qui, Sebastian?”
Non aveva urlato. Non aveva tradito nemmeno un briciolo d’irritazione.
No, Albert James Moriarty riusciva a essere solo gelido. Se avesse mostrato qualcosa a lui, a Sebastian Moran, avrebbe significato che gli importava qualcosa.
Non era così.
“Lo hai lasciato andare?” Domandò Moran, incredulo. “Tutto quel dolore. Tutta quella disperazione… Come ha fatto il tuo cuore a lasciarlo andare?”
Albert sapeva benissimo a cosa si riferiva e il suo viso venne addolcito dalla malinconia. “Non l’ho mai avuto,” rispose. “O meglio, ho avuto mio fratello e va bene così.”
“Va bene così.” Moran non poteva crederci. “Ti ho tolto una fottuta pistola dalla testa solo per sentirti dire va bene così?”
“Non ce l’avevo alla testa.”
“Al Diavolo, Albert, che cazzo ci facevi con una pistola tra le mani, nel cuore della notte?”
“Perché stai rivangando cose successe quasi dieci anni fa?”
“Perché potrebbero essere successe ieri!” Esclamò Moran, rabbioso. “Perché il tempo non ha importanza. Perché siamo già morti, ma cadremo solo al comando di William. Sono state parole tue, Albert!”
Fu allora che il Conte comprese il motivo di tanta ira e anche quello dietro quella visita inaspettata. “Tu lo ami ancora.” Non era una domanda.
A Moran diede fastidio la sorpresa che udì nella sua voce. Perché non doveva essere motivo di stupore, perché lui e Albert avrebbero dovuto condividere lo stesso girone infernale. Invece…
Come potrei non amarlo? Come potrei amare chiunque altro sapendo che WIlliam è un miracolo che non si ripeterà mai più?
“Mycroft Holmes è riuscito davvero a farti dimenticare William?” Moran non ci credeva, come se quello tradito fosse lui. In realtà, non lo era nemmeno William.
Albert scosse la testa. “Non è stato Mycroft, Sebastian.”
“E allora chi altro?”
“Nessuno…”
Quegli occhi verdi si tinsero della più profonda pietà e Moran fu costretto a guardare da un’altra parte. Era da solo nel suo personale inferno e, evidentemente, lo era da un po’.
“Io amo William,” chiarì Albert. “Non c’è nessuno prima di lui e mai ci sarà. È mio fratello.”
“Ah, ora è tuo fratello…”
“Lo è sempre stato.”
“Non prendermi per il culo, Albert.”
“Vuoi veramente stare qui a fare il processo ai sentimenti di un ragazzino di diciotto anni?” Ancora una volta, il Conte mantenne la sua gelida calma ma era vicino al suo limite. “L’ho guardato in un modo in cui un fratello non dovrebbe mai guardarne un altro? Sì, l’ho fatto. Ciò non significa che sia ancora la mia realtà. William è la mia vita, ma pensi che Louis provi qualcosa di diverso?”
“Non mettiamoci di mezzo anche il moccioso.”
“Bene, facciamolo con Mycroft, dato che ci tieni tanto a parlare di lui. Non metterà mai qualcuno al di sopra di Sherlock. Mai. E non c’è nulla di sporco in un amore così.” Albert si umettò le labbra. “Potrei dire un sacco di cose umilianti a questo punto e, lo ammetto, per la tua impudenza le meriteresti tutte. Quello che ancora non hai capito è che se ci facciamo la guerra a tra noi a causa degli Holmes, il piano Moriarty è destinato a fallire. Per tanto, faccio lo sforzo di dirti qualcosa di sincero-“
“Oh, non sia mai che Sua Grazia debba versare una goccia di sudore!”
“Mi dispiace che tu sia ancora innamorato di William.” E Albert fu sincero per davvero nel pronunciare quelle parole. “Mi dispiace perché so quanto può fare male.”
Sebastian Moran non sapeva come replicare a una confessione del genere, ma non trovò la forza necessaria a voltarsi e andarsene. Tutta la rabbia si era cristallizzata in qualcos’altro a cui non sapeva dare nome. Forse era delusione? Non lo sapeva. Si sentiva solo vuoto.
Albert estrasse l’orologio da taschino dalla tasca della giacca. “Devo andare,” disse, attraversando la stanza. “Puoi dire a Moneypenny di tenere la luce di questa stanza accesa?”
Moran non sapeva il perché di un gesto tanto assurda, ma sospettava di conoscere la destinazione del Conte. “Vai da Mycroft, vero?”
Albert lo guardò dritto negli occhi. Non rispose. “Fammi passare.” Era un ordine.
Il Colonnello non aveva una reale ragione per trattenerlo. Si fece da parte ma non appena il più giovane abbassò la maniglia della porta, parlò: “si torna sempre dove si è stati bene, dicono.”
Albert lo guardò.
“Vale anche per gli amanti,” aggiunse Moran. “Si torna sempre da chi ci ha fatto star bene e non è solo una questione di carne, quella può darcela chiunque. Più o meno.”
Il fatto che il più giovane fosse ancora lì persuase il Colonnello a credere di aver toccato un nervo scoperto.
“Hai detto che l’attrazione di William per Sherlock è pericolosa e sono d’accordo, ma non pensare che il tuo gioco sia meno rischioso del suo.”
“Vi state preoccupando per me, Colonnello?” Era tornato al voi.
“Stavo pensando che tu non torni mai da nessuno, Albert,” rispose Moran. “Per quanto ti piaccia fare lo stronzo, non posso negare che ci siamo sfiorati, io e te. A te può non importare, a me importa. Importerà sempre, perché preoccuparmi per i miei compagni è uno dei motivi che mi spingono a combattere.”
Fu il turno di Albert di non sapere come rispondere a una confessione.
“William è bravo a farsi male, ma è altrettanto abile a ritirarsi in piedi,” proseguì Moran. “Io ti ho visto farti male, Albert. Non puoi cadere ancora in quell’oscurità e sperare che qualcuno ti venga a salvare.”
“Vi sbagliate, Colonnello,” disse Albert, per nulla turbato da quelle parole. “Conosco bene l’oscurità di cui mi parlate, certo, ma non ho mai sperato che qualcuno mi venisse a salvare.”
***
“Siamo diretti a Mayfair, Sir Holmes?” Domandò il vecchio Jones, il cocchiere che lo serviva per conto del Governo da anni.
Con un piede sulla carrozza e l’altro ancora sul marciapiede, Mycroft si concesse un breve istante per riflettere. “Sì,” decise, infine. “Ma passiamo davanti alla sede dell’Universal andando verso casa.”
Era stata una giornata lunga e la pausa che si era concesso a Baker Street non si era rivelata particolarmente rilassante. Era andato da Sherlock con mille pensieri e lo aveva lasciato dopo averne guadagnati altrettanti. Se William James Moriarty riusciva a convincere suo fratello che Shakespeare valeva la pena essere letto, Mycroft era curioso - e ansioso - di vedere quali altri miracoli sarebbe riuscito a compiere. Perché era ovvio che c’era il giovane Professore dietro quell’improvviso interesse di Sherlock per la letteratura inglese.
Fossero stati da soli, Mycroft era certo che sarebbe riuscito a scoprire di più, ma doveva ammettere che sentire il punto di vista del Dottor Watson era stato interessante. A suo giudizio, tra Sherlock e William c’era intesa. Era una parola piuttosto specifica e il Direttore era certo che John Watson non era il tipo da usarla alla leggera. Era una conferma, certo, ma Mycroft non riusciva ancora a capire fino a che punto William James Moriarty fosse bravo a fingere.
Albert gli aveva dato un’immagine precisa di suo fratello, ma Mycroft poteva ancora concedersi il beneficio del dubbio. L’amore può influenzare qualsiasi giudizio e che il Conte ne provasse per il fratello minore era fuor di ogni dubbio. Dopo tutto quello che si erano detti, si sentiva ingiusto a dubitare di Albert, ma c’era Sherlock in gioco.
Mycroft sapeva che c’era solo un modo per quietare i propri pensieri: avere un confronto diretto con William James Moriarty.
Più facile a dirsi che a farsi.
Era certo che Albert non avrebbe accettato di buon grado quella sua proposta e voleva davvero evitare di rendere tesi i rapporti tra loro, specie ora che si erano evoluti in qualcosa di così bello e inatteso.
Una volta svoltato sulla strada dell’Universal, la carrozza rallentò. Mycroft aveva chiesto di farlo talmente tante di quelle volte che il vecchio Jones aveva memorizzato l’ordine, ormai lo eseguiva senza che nessuno glielo ripetesse. Il Direttore sollevò gli occhi blu: la finestra dell’ufficio di Albert era illuminata, forse ce la faceva ad andare a casa, rendersi presentabile e raggiungerlo.
Non si sarebbe mai permesso di farlo alla residenza londinese dei Moriarty: non aveva idea di quanto Albert parlasse di sé con i propri fratelli e non voleva essere fonte di turbamenti familiari.
Ora che ci pensava, era strano che Sherlock non avesse ancora fatto irruzione a casa di William. Ecco. Si era appena creato un altro scenario di cui preoccuparsi.
Mycroft sospirò stancamente e si chiese se fosse davvero il caso di andare da Albert con tutti quei pensieri. Gli mancava. Non lo vedeva da quasi quarantotto ore ed erano state lunghe, monotone. Solo la parentesi a casa di Sherlock aveva dato alla sua giornata un po’ di colore. Era un uomo adulto, teneva sulle spalle il peso di tutto l’Impero Britannico e Albert gli mancava. Per Mycroft l’età per simili smancerie era passata - forse non gli era mai stata davvero concessa - ma non poteva farci niente. Albert gli mancava, non poteva fare a meno di pensarlo.
Suo fratello e il suo amante erano due pensieri che si alternavano di continuo, come se fossero i perfetti rappresentanti delle due metà della sua vita. Forse lo erano.
Poi si fermò a riflettere: il Conte Moriarty, Albert James Moriarty, il suo amante.
Agli occhi della società tanto bastava a renderlo un criminale.
Quello che Mycroft non avrebbe mai ammesso era che gli piaceva.
“Grazie, Jones,” disse, scendendo dalla carrozza. “Passa una buona serata.”
“Buona serata a lei, Sir,” rispose il vecchio cocchiere, prima di riprendere la marcia.
Mycroft salì i pochi gradini che lo separavano dal portone di casa. Non fece in tempo ad aprire la porta che qualcuno lo fece per lui e lo trascinò dentro, nell’ingresso buio. L’istinto gli urlò di reagire e i suoi riflessi furono abbastanza pronti d’arrivare al calcio della pistola. Il suono di una risata e due mani calde sul viso gli vietarono di fare alcunché.
“Albert.” Mycroft intravide quegli occhi verdi nella semi oscurità che li circondava e a cui si stava abituando.
“Bentornato a casa, Sir Holmes.” Il suono della voce di Albert era suadente, ma questo non impedì al padrone di casa di pensare che aveva quasi impegnato un’arma contro di lui.
“Stavo per spararti,” disse, serio.
Mycroft non poté vedere l’espressione di Albert mutare, ma sentì l’entusiasmo scemare dal modo in cui lo toccava. “Giusto,” disse, come se si fosse appena reso conto di aver fatto una cosa assurdamente stupida. “Rispondi direttamente alla Regina, se qualcuno volesse colpire la Gran Bretagna, verrebbe da te.”
Il Direttore fu quasi sul punto di ricordargli che lui e i suoi fratelli volevano colpire la Gran Bretagna, ma si trattenne per evitare discussioni inutili. Cercò di smorzare la tensione: Albert era lì, la pistola era ancora al suo posto e non era successo niente d’irreparabile.
Resta la sorpresa.
“Che cosa ci fai qui?” Domandò Mycroft e sperò che dal tono della sua voce si percepisse il suo sorriso.
Le mani di Albert scesero sulla sua giacca, slacciando i bottoni alla cieca. “Volevo sorprenderti come io ho sorpreso te, ma temo di aver sbagliato il modo.”
“Dov’è Jane?”
“L’ho mandata a casa, dicendole che poteva prendersi la serata libera e tornare direttamente dopodomani.”
“Vuoi rinchiudermi in casa mia per un giorno intero?”
“Tutto dipende dai vostri desideri, Sir Holmes.” Albert lo spinse a voltarsi così che potesse liberarlo della giacca. “Il mio piano era accogliervi in casa e farmi preparare la cena da voi.”
A Mycroft scappò una risata. “È la mia cucina che ti ha convinto a tornare.”
“No, la tua compagnia lo ha fatto,” ammise Albert. “Solo che se cucino io, c’è il serio rischio che ci uccida entrambi. Vorrei evitare.”
Si erano rilassati entrambi.
Mycroft lo afferrò per i fianchi. “Sono sinceramente sorpreso.”
Le loro labbra erano a pochi centimetri di distanza. Sarebbe bastato un niente per baciarlo e fargli sentire quanto gli era mancato, ma Mycroft sentiva che non era il momento giusto. Si era creata una piacevole tensione in quell’ingresso e voleva dilatarla ancora un po’. Gli sfuggì un sospiro.
“Cosa c’è?” Domandò Albert, gentile.
“Vado in giro con questi vestiti da stamattina all’alba,” disse Mycroft. “Ho visto la luce accesa nel tuo ufficio e ho pensato di farmi un bagno, prima di venire all’Universal da te.”
Non poteva vederlo con chiarezza, ma sapeva che Albert stava sorridendo compiaciuto. “Sei passato all’Universal.” Non era una domanda.
“Solo davanti,” spiegò Mycroft, “mentre ero in carrozza. Volevo vedere se c’eri.”
“Immaginavo lo avresti fatto. Ho lasciato le luci accese per farti credere che fossi lì.”
“Oh, volevi depistare.”
“Sembra ci sia riuscito.”
Fu Albert a porre fine alla distanza tra loro e Mycroft non aveva davvero la voglia di allontanarlo per qualche stupido gioco di seduzione. Lo bacio e si lasciò baciare e fu il più bel ritorno a casa dopo tanto, tantissimo tempo.
“Sono lurido, Albert.”
“Allora rendete lurido anche me, Sir Holmes,” gli propose il Conte, tirandolo verso di sé. “Così, più tardi, potremo goderci un bel bagno caldo insieme.”
E chi era Mycroft Holmes per rifiutare una simile offerta?
***
Quella di correre sui tetti non era un’arte che William aveva fatto sua specificatamente per impersonare meglio il Signore del Crimine. Non era una cosa che un uomo come Jack Renfield poteva insegnare. No, per un ragazzino nato in condizioni miserabili e cresciuto per strada, era stata più una necessità. Il più delle volte, le strade era pericolose e nel buio dei vicoli si nascondevano mostri in grado di divorare i più deboli. Sui tetti era tutto diverso.
La maggior parte della gente aveva paura dell’altezza, del vuoto.
William quel timore non lo aveva mai avuto. Non era uno sbruffone, sapeva che il rischio di cadere era sempre dietro l’angolo, insieme alla morte, ma non gli metteva soggezione come avrebbe dovuto.
Dall’alto tutto assumeva un aspetto diverso.
Era un suo modo di prendere le distanze dal mondo che lo tranquillizzava, lo aiutava a riflettere. Anche ora che aveva una casa sicura e i mostri delle strade buie non erano più una minaccia per lui, William sentiva il bisogno di tornare a quella vecchia abitudine. Non doveva sforzarsi particolarmente per essere elegante e a modo. A suo dire, non erano nemmeno requisiti necessari per fingersi un giovane nobile: aveva conosciuto più rozzi nei salotti dell’alta società che per le strade dell’East End.
William era così. Glielo avevano detto fin da bambino: lui sapeva come parlare alle persone e tanto bastava per incantarle. Non era una recita, era solo quello che era.
E il bisogno di salire sui tetti, di tanto in tanto, faceva parte di lui allo stesso modo.
Era un modo per ricordare a se stesso che vestiva a meraviglia i panni del fratello di un Conte, ma rimaneva pur sempre un gatto randagio.
Quella sera, William non aveva scelto un posto in particolare. Voleva solo fare una passeggiata sopra Londra, dove nessuno lo avrebbe disturbato. Si era fermato a sedere perché l’altezza gli aveva offerto uno scorcio della città più affascinante di altri e i colori accesi del tramonto - gli unici visibili ai suoi occhi - erano una splendida cornice.
Distratto dai suoi pensieri, William non si era accorto di non essere da solo.
“Ciao…” Louis si avvicinò lentamente, come se avesse paura di essere cacciato, ma nel sorriso che il fratello gli rivolse trovò solo tenerezza.
“Louis.” William era felice di vederlo. “Vieni qui. Siediti vicino a me.”
Il minore non se lo fece ripetere una seconda volta. “Stai bene?” Domandò, premuroso.
“Sì, mi andava solo di prendere un po’ d’aria.”
Per un po’, il tramonto sembrò catturare l’attenzione di entrambi. Un tempo, guardare il cielo insieme era una cosa che facevano spesso. Louis ricordava un’estate passata a guardare le costellazioni, di cui William si era interessato tanto da leggere tutto quello che aveva trovato sull’argomento. Era sempre stato così tra loro due: William guidava e Louis, con tutta la fiducia e lealtà che un cuore poteva provare, seguiva.
Toccò proprio a quest’ultimo a spezzare il silenzio: “posso sapere dove hai intenzione di andare domani?” Lo domandò senza guardare il fratello, titubante.
Neanche William allontanò lo sguardo dal cielo. “Nell’East End,” rispose. Aveva chiesto a Fred di consegnare il suo invito a Baker Street ed era ovvio che il più giovane se ne fosse accorto. “Avevo promesso di non nascondermi più.”
“Questo lo so.”
“Ma sei turbato.”
“Perché proprio l’East End?” Louis sapeva che era inutile dire quanto quella parte di Londra fosse poco idonea per una passeggiata di piacere. Era stata la loro culla e non li aveva accuditi. Al contrario, le erano sopravvissuti.
“Voglio far vedere a Sherlock una cosa,” rispose William.
“Del nostro passato?”
“Non capirà che è del nostro passato.”
“Capire le cose è il suo lavoro, fratello,” gli ricordò Louis. “Se non avrà il ben che minimo sospetto, forse non è bravo come credi.”
William sorrise, comprensivo. “Non lo sopporti.” Era un’ovvietà, ma la disse guardando il minore negli occhi. “Posso chiederti perché?”
Louis si agitò. “Che domanda…”
“È solo una domanda, Louis, rispondi con sincerità.”
“Mi da fastidio.”
“Questo l’ho capito.”
“Tutto di lui mi da fastidio,” sottolineò Louis. “Quell’uomo è un difetto vivente. Non riesco ad accostare alla sua figura sgraziata niente di positivo.”
“È intelligente,” propose William. “Questo è un pregio oggettivo.”
“No, è solo l’aggravante,” ribatté Louis. “Non sa usarla quell’intelligenza.”
Il maggiore sorrise, paziente. “Questo non è vero. Ha risolto tutti i miei enigmi e superato brillantemente ogni prova a cui l’ho sottoposto.”
Louis era imbronciato. “Riesci davvero a guardarlo, con tutti i suoi atteggiamenti rozzi e il suo accento stridente, e pensare che sia interessante.”
“Sì.” William non esitò ad ammetterlo. Sarebbe stato stupido fare il contrario. “E per quanto riguarda gli atteggiamenti e l’accento, trovo che lo rendano vero. Vuole essere così e basta. Non gli importa del giudizio della gente. Avrebbe tutte le carte giuste per integrarsi nell’alta società e diventare qualcosa di rispettabile e noioso ma si rifiuta. È un ribelle per natura.”
“Perché accosti rispettabile a noioso?”
“Perché Sherlock è una macchia di colore in mezzo a tanto grigio,” rispose William, ma non poteva confessare al fratello quanto quelle parole erano vere.
Louis lasciò andare un sospiro che era un po’ uno sbuffo. Doveva aver concluso che parlare di Sherlock con lui non poteva che irritarlo, perché cambiò argomento. “Albert non tornerà per cena.”
William non ne era sorpreso. “Deve discutere della strategia da usare al ballo dei Patel con Sir Holmes,” disse. Sapeva che quella era solo una delle ragioni che avrebbe spinto Albert a passare la notte in una casa che non era la loro.
“William…” Louis lo stava pregando di non fornire al fratello maggiore alibi di cui non aveva bisogno.
“Il letto dove Albert decide di dormire non è affar nostro,” disse William, senza essere duro. Si stava limitando a esporre al più giovane il proprio punto di vista.
“Lo so,” concordò Louis. “È che non è mai tornato da nessuno, prima d’ora.”
Tranne Sebastian Moran, ma quella era una confessione che non poteva fare. C’era un limite anche nell’essere crudeli con il Colonnello e i sentimenti di Albert andavano tutelati.
Le labbra di William si piegarono in un sorriso divertito. “E tu che ne sai?” Domandò, sinceramente curioso.
Louis si sentì preso alla sprovvista e non rispose subito. “Lo sai anche tu, no?”
“No,” ammise William, scuotendo appena la testa. “Posso essermi accorto del passaggio di un amante clandestino, di tanto in tanto, ma non ho mai avuto elementi per capire quante persone diverse sono state coinvolte.”
“Ah…” Commentò Louis, stupidamente. “Pensavo che Albert ne parlasse con te.”
“Degli amanti?” William scosse la testa. “L’unica cosa che mi ha confidato è di aver passato una notte con Mycroft Holmes ed è successo due giorni fa.”
Louis ne era sorpreso: sapeva di Albert qualcosa di cui William non era a conoscenza. Colpo di scena.
“E poi perché avrebbe dovuto parlarne solo con me?” Aggiunse William.
Louis si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. “Dai, William…”
“Cosa?”
“Tu e Albert avete il vostro legame,” disse Louis. “Io e te abbiamo il nostro.”
La confusione con cui William lo guardò era genuina. “Siamo tre fratelli.”
“Sì, ma io sono il piccolo.” Da qualche parte nella sua testa, il più giovane dei fratelli Moriarty sentì il Colonnello Sebastian Moran ridere di lui. “Prima dei Baskerville, lo ero anche per te. Avete questa tendenza a tenermi fuori dalle questioni degli adulti.”
“Louis…”
“Sono un adulto anche io.”
“Lo so.”
Calò di nuovo il silenzio. Il cielo si era fatto scuro e la luce era quasi del tutto sparita, si vedevano le prime stelle. E Louis decise che era arrivato il suo turno di creare il panico. “Com’è?”
William inarcò le sopracciglia. “Che cosa?”
Louis prese a tamburellare le dita sulle ginocchia, nervoso. “Hai capito.”
“No, non ho capito.”
Il fratello minore si morse il labbro inferiore, duellando con la sua mente perché gli suggerisse il modo meno imbarazzante per spiegarsi. “Com’è passare la notte con qualcuno?”
William aprì la bocca ma la richiuse immediatamente. “Lo stai chiedendo a me?”
Louis si strinse nelle spalle, come se avesse freddo. “Ci siamo io e te qui,” disse. “E non andrei mai a chiederlo ad Albert, comunque.”
L’alternativa era Sebastian Moran, ma piuttosto si sarebbe buttato da quello stesso tetto di testa.
In quel momento, William fu felice che fosse quasi buio perché non c’era qualcosa di più frustrante del sentirsi in imbarazzo col suo stesso fratello, quello che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Disse qualcosa a bassa voce che Louis non afferrò.
“Eh?”
“Non lo so,” ripeté William.
Le labbra di Louis formarono una O perfetta e prese seriamente in considerazione l’idea di fare un volo di sotto. Sarebbe stato meglio di quello che provava in quel momento. “Scusami, io-“
La risata di William lo prese di sorpresa.
“Perché ridi?”
Il fratello maggiore lo guardò con quell’espressione tenera che riservava solo a lui. “Io e te che parliamo di queste cose…”
“Non ne stiamo davvero parlando,” ribatté Louis. “Nessuno dei due a qualcosa da dire riguardo all’argomento.”
“Ma con chi credevi che fosse successo?” William riusciva a stento a controllare l’attacco d’ilarità.
Louis allargò le braccia come a dire: ovvio, no? “Non ci sono molti candidati plausibili,” disse ad alta voce.
William smise di sorridere. “Sherlock?”
“Se potessi guardarti mentre parli di lui, non etichetteresti il mio sospetto come immotivato.”
“E come ne parlo?”
“Come un miracolo, un qualcosa destinato ad accadere solo una volta nella vita e poi mai più.”
“E quando sarebbe dovuto accadere?”
“Smettila di ridere, William. Avete avuto un’intera giornata a Durham, tanto per cominciare. Avete passato insieme la notte scorsa e domani vi rivedete, all’East End.”
“L’East End è sospettoso?”
“Stai ancora ridendo.”
“Abbiamo solo parlato, Louis. A Durham abbiamo risolto un paio di cose, al più. Nulla di sconveniente.”
“L’East End esiste per fare cose sconvenienti.”
William peggiorò la situazione dandogli una risposta ragionata. “No, non lo farei mai. Pagare una stanza all’East End per contenere lo scandalo? Non è da me e nemmeno da Sherlock. Troppo da amante clandestini. Lui ha una casa e non è affollata come la nostra. Sono certo che se il nostro rapporto dovesse divenire sconveniente, l’idea di un albergo non lo sfiorerebbe neanche. Mi porterebbe a casa sua, nel suo letto, sarebbe quel genere d’intimità che gli somiglia.”
Louis lo fissò con occhi e bocca spalancati. “Non posso credere che tu lo abbia detto sul serio.”
William rise di nuovo. “Ti sto prendendo un po’ in giro. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che abbiamo riso insieme.”
Nemmeno Louis e quello sarebbe potuto essere un momento davvero toccante, solo per loro, peccato che William gli avesse ficcato in testa l’immagine di lui e Sherlock nella camera di quest’ultimo. “Il 221B di Baker Street deve bruciare.” Non c’era altra soluzione. Il fatto che non potesse davvero risolvere col fuoco anche quel problema lo affliggeva.
“Che cosa hai detto?” Domandò William.
“Niente,” rispose Louis, sconfortato. Si alzò in piedi. “Torniamo a casa. È buio.” Porse la mano al fratello per aiutarlo ad alzarsi.
William l’accettò e lo seguì.