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CowT 12. Week 4
M3: 300
L’Ombra lo guardava.
Per Dazai era come guardare in faccia l’abisso, quello che aveva dentro. Eccolo lì, stava ricambiando lo sguardo, esattamente come dicevano i saggi.
“Tu non hai idea…” Sibilò, girandogli intorno come un predatore affamato da troppo tempo. “Ero morente, sotto il portico, esattamente come è successo a te.”
Dazai conosceva già quella storia, strinse le dita sulle catene che lo costringevano alla sedia.
“Non provare a liberarti,” lo avvertì l’Ombra.
“E chi ti dice che ci stia provando?” Domandò Dazai, sarcastico. “Sei così bravo a trattare gli ospiti.”
L’altro gli rispose con la sua stessa espressione. “Non cercare la tua forcina. I tuoi trucchetti sono anche i miei e non puoi usarli qui.”
“Hai solo avuto il tempismo giusto.”
L’Ombra gli diede uno schiaffo col retro della mano. “E quello incatenato a una sedia se tu,” gli ricordò, poi riprese a raccontare. “Penso che Odasaku abbia capito che qualcosa non andava, penso di averlo guardato in un modo che… E io sono rimasto lì, immobile, in silenzio. Io non ho fatto i capricci, non ho tentato di farmi avvelenare con qualche stupido giochetto. Ogni volta che mi toccava era una tortura, perché sapevo di dovermi privare di lui, ma lui era lì e… No, non devi osare neanche pensare di potermi comprendere.”
“Sono lieto di non poterlo fare.”
L’Ombra lo afferrò per i capelli o lo costrinse a guardarlo negli occhi. Poi quella mano si fece più gentile, scivolò sulla guancia del prigioniero, quasi come una carezza. “Il giorno in cui hai iniziato a vivere, quando hai incontrato l’uomo che ami, è lo stesso in cui io ho iniziato a morire,” mormorò a pochi millimetri della sua bocca, quasi che volesse baciarlo. Si fece indietro, ridendo. “Benvenuto alla riunione di famiglia, fratellino.”
M3: 300
L’Ombra lo guardava.
Per Dazai era come guardare in faccia l’abisso, quello che aveva dentro. Eccolo lì, stava ricambiando lo sguardo, esattamente come dicevano i saggi.
“Tu non hai idea…” Sibilò, girandogli intorno come un predatore affamato da troppo tempo. “Ero morente, sotto il portico, esattamente come è successo a te.”
Dazai conosceva già quella storia, strinse le dita sulle catene che lo costringevano alla sedia.
“Non provare a liberarti,” lo avvertì l’Ombra.
“E chi ti dice che ci stia provando?” Domandò Dazai, sarcastico. “Sei così bravo a trattare gli ospiti.”
L’altro gli rispose con la sua stessa espressione. “Non cercare la tua forcina. I tuoi trucchetti sono anche i miei e non puoi usarli qui.”
“Hai solo avuto il tempismo giusto.”
L’Ombra gli diede uno schiaffo col retro della mano. “E quello incatenato a una sedia se tu,” gli ricordò, poi riprese a raccontare. “Penso che Odasaku abbia capito che qualcosa non andava, penso di averlo guardato in un modo che… E io sono rimasto lì, immobile, in silenzio. Io non ho fatto i capricci, non ho tentato di farmi avvelenare con qualche stupido giochetto. Ogni volta che mi toccava era una tortura, perché sapevo di dovermi privare di lui, ma lui era lì e… No, non devi osare neanche pensare di potermi comprendere.”
“Sono lieto di non poterlo fare.”
L’Ombra lo afferrò per i capelli o lo costrinse a guardarlo negli occhi. Poi quella mano si fece più gentile, scivolò sulla guancia del prigioniero, quasi come una carezza. “Il giorno in cui hai iniziato a vivere, quando hai incontrato l’uomo che ami, è lo stesso in cui io ho iniziato a morire,” mormorò a pochi millimetri della sua bocca, quasi che volesse baciarlo. Si fece indietro, ridendo. “Benvenuto alla riunione di famiglia, fratellino.”