Mar. 30th, 2023

Intimità

Mar. 30th, 2023 06:07 pm
M3: Nudità


C’era qualcosa di metafisico in ciò che provavano l’uno tra le braccia dell’altro.
Qualcuno, probabilmente un filosofo, avrebbe riconosciuto nel piacere della carne l’esempio più basso ed elementare di realtà sperimentale. Sherlock Holmes non era certo un filosofo ma gli riusciva difficile definire quello che sentiva correre sotto la pelle come una normale reazione a uno stimolo. C’era fuoco nelle sue vene e lo corredenza lentamente, senza ucciderlo. Era una tortura a cui non aveva mai immaginato avrebbe sottoposto se stesso. Poco più di un anno prima, non avrebbe nemmeno ritenuto possibile piegare il proprio raziocinio a simili sensazioni totalizzanti. Gli capitava di avere eccessi di zelo, ma aveva sempre avuto i piedi ben piantati a terra, anche se il resto del mondo era pronto a sostenere il contrario su di lui. Agli occhi degli altri era impossibile che un eccentrico della sua portata fosse tanto ancorato alla realtà d’aver fatto del binomio causa-effetto il suo unico credo. La follia di Sherlock stava nel pensare che la realtà delle cose fosse modificabile, migliorabile, mentre la gente di quel secolo provava gusto a gridare al progresso senza muovere un passo dal passato.
Senza saperlo, il giovane Holmes aveva compiuto il loro stesso errore: ”La follia è, senza dubbio, parte di questo mondo, Mycroft. Una delle sue forme più comuni è sicuramente la rabbia, ma mi rifiuto di pensare che un uomo nel pieno delle sue facoltà possa perdere la testa per amore.”
Povero, ingenuo, Sherlock Holmes, così convinto della concretezza della terra sotto i suoi piedi che era bastato uno sguardo di William James Moriarty per perdere l’equilibrio e - letteralmente - cadere nel vuoto.
Quello stesso William James Moriarty - il suo Liam - che gli aveva fatto perdere la testa col colore - scarlatto - dei suoi occhi. Sì, Sherlock Holmes era folle, ma non di rabbia. Mai di rabbia, non con Liam.
Liam, che senza provarci aveva preso tutto il suo disincanto riguardo l’amore e l’aveva meravigliosamente destabilizzato.
Sì, c’era qualcosa di metafisico in ciò che provavano l’uno tra le braccia dell’altro.
Il binomio causa-effetto, tradotto in bacio-“ho voglia di te”, non bastava a spiegare ciò che stava accadendo in quell’appartamento di Brooklyn. Sherlock non sapeva da quanto stavano andando avanti. Poteva essere un minuto come un’ora.
La sua unica certezza era che tutto il tempo del mondo non sarebbe mai stato abbastanza.
I suoi vestiti erano finiti sul pavimento della cucina, insieme a quelli di Liam. Erano rimasti entrambi in intimo. Come Liam fosse finito seduto sul tavolo, con le cosce strette intorno ai fianchi di Sherlock, non era chiaro. Il divano a un paio di metri da loro o la camera da letto sarebbero state scelte decisamente più comode, ma nessuno dei due si disturbò a dare voce a quel pensiero. Erano ancora nuovi a quel genere di cose. Dopo quel primo bacio ne erano seguiti tanti altri, sempre più avidi, più curiosi. Avevano scoperto che divorarsi a vicenda, tra le lenzuola del loro letto, era il miglior modo per concludere la giornata.
Fosse stato per Sherlock, i casi dei Pinkerton se ne sarebbero andati al diavolo in favore di un altro tipo d’indagine: quella sul corpo di Liam.
Le carezze non si erano fatte attendere, più timide dei baci, più incerte.
La voglia che avevano l’uno dell’altro si fermava lì, nell’incapacità di varcare un confine ancora straniero. Lasciarsi andare, avevano scoperto, non era nella loro natura. Non era la mancanza di fiducia a inibirli. No, da parte di entrambi vi era un’enorme difficoltà oggettiva nel frenare il folle vorticare dei pensieri.
Alle volte, era Liam a irrigidirsi, trattenuto dal pensiero ricorrente che quella felicità fosse un furto al destino. Sì, Sherlock era la sua Anima Gemella ma questo non era sufficiente a convincerlo di meritarlo.
Dall’altra parte c’era Sherlock, più timido di quanto la sua personalità esuberante lasciasse intendere. Non appena Liam si tendeva come una corda di violino, faceva dieci passi indietro, ansioso di sapere dove aveva sbagliato.
“Non hai sbagliato nulla, Sherly.” La rassicurazione di Liam arrivava puntuale, sempre accompagnata da una carezza. Si cercavano, si desideravano ma avevano entrambi bisogno di tempo, di accettare che ad alcune prove sarebbero seguiti inevitabili errori.
Era l’arte del crescere e di assaggiare la vita. Dovevano solo prenderci la mano.
Per questo, in momenti di rara spontaneità come quello, dove un bacio dato per caso bastava a spingerli l’uno verso l’altro, non aveva importanza finire sul tavolo piuttosto che da un’altra parte. Se si fossero interrotti e avessero spezzato il momento, non sarebbero più stati in grado di proseguire.
Nella lista delle cose capaci di spingere Sherlock sull’orlo della follia, la bocca di Liam aveva presto raggiunto la stessa posizione dei suoi occhi. Gli piaceva toccare quella labbra con le proprie, dolcemente. Adorava inumidirle con la lingua, prima di assaggiare il sapore di Liam. E quando l’atmosfera si faceva abbastanza calda, non resisteva alla tentazione di prendere il labbro inferiore tra i denti. Non stringeva mai abbastanza da fare male. Non avrebbe mai voluto. Lo tirava quanto bastava a sentirlo scivolare dalla propria presa, morbido. E ricominciava da capo.
Un altro bacio e il contatto con la realtà veniva meno.
Quello era uno di quei momenti, con Liam che teneva Sherlock stretto a sé.
Le labbra potevano divenire indolenzite per troppe attenzioni? Perché era quello che stava succedendo al giovane Moriarty, ma privarsi della bocca di Sherlock sarebbe stato come smettere di respirare. Le sue mani non erano meno vivaci. Con gli occhi chiusi, tracciava le linee del petto del Detective, affondava le dita tra quei capelli corvini - a un certo punto, non sapeva quando, li aveva sciolti - e se si allontanava per riprendere fiato, passava il dorso delle dita su quel bel viso acceso dalla passione. Uno sguardo e Liam si perdere in quelle iridi blu che avevano riempito il suo mondo di colori.
Sherlock, da parte sua, non stava certo fermo. Tirava la frangia di Liam all’indietro per posare un tenero bacio sull’occhio leso. Ancora il giovane Moriarty provava a nascondersi, come se quel difetto estetico fosse una colpa o una vergogna.
Sherlock non smetteva di ripetergli che lo voleva tutto.
Se solo avessero trovato insieme il coraggio di…
La mano del Detective affondò tra i capelli biondi, afferrandoli all’altezza della nuca. Tirò un poco, senza far male, invitando Liam a reclinare la testa all’indietro. Le labbra di Sherlock lo lasciarono per il tempo di un respiro, poi iniziarono a torturargli la gola, prendendo la pelle morbida tra le labbra con bramosia. Liam sapeva che gli sarebbero rimasti dei segni per giorni e gli piaceva. Sherlock era prudente e lo marchiava - se così si poteva dire - solo dove i vestiti avrebbero coperto le prove del misfatto. A volte, era troppo irruente e Liam doveva chiedergli di essere più delicat; altre, come in quel momento, lo faceva sospirare di piacere. Mentre Sherlock scendeva a baciargli il petto, la sua mano lo invitò a stendersi sul tavolo. Liam lo assecondò, il respiro corto e il cuore che batteva velocissimo. Era diverso dalle altre volte. L’eccitazione impediva a Liam di essere nel pieno delle proprie facoltà. Tutto quello che la sua mente riusciva a elaborare era Sherlock, le sue mani, la sua bocca. Era sopraffatto, ubriaco di quello splendido giovane uomo dai capelli neri come la notte e il sorriso più luminoso del sole. Non appena la lingua del Detective prese a giocare col suo ombelico, Liam sentì il respiro venire meno. Quello, di solito, era il momento in cui la mente tradiva il corpo, urlandogli di fermarsi. Non accadde e, mentre Sherlock gli slacciava il botto dell’intimo, Liam permise a quel pensiero di scivolare via, insieme a tutti gli altri. “Sherlock…”
“Signor Ponytaaaaail!
Fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida. Liam aprì gli occhi e il soffitto bianco della cucina rispose al suo sguardo. Sopra di lui, Sherlock era bloccato.
“Signor Ponytaaaaail!
Le labbra del Detective lo abbandonarono e Liam sentì un brivido freddo, spiacevole, correre lungo la propria schiena. Il momento era andato distrutto.
“Signor Ponytaaaaail!
“Io giuro che lo ammazzo,” sibilò Sherlock, raddrizzando la schiena.
Liam si sollevò sui gomiti. “Perché urla il tuo nome su per le scale?”
Sherlock, stupendo con le labbra ancora umide dei loro baci e i capelli in disordine. “Lo fa a ogni rampa per evitare di assistere ad altre scene compromettenti.”
Liam si aggrappò al bordo del tavolo e si mise seduto. “Il tempismo non è sicuramente il suo forte.” Sollevò la mano e arricciò una ciocca corvina intorno all’indice.
Sherlock gli afferrò i fianchi, dandogli un tenero bacio sulla guancia. “Stavamo andando così bene,” si lagnò, imbronciato.
Liam lo spinse indietro quanto bastava per guardarlo negli occhi. “Il momento arriverà se non lo cerchiamo, ricordi?”
“Per questo stava andando bene, perché era iniziato in modo così spontaneo…” Sherlock pronunciò metà dell’ultima parola sulla bocca di Liam, tirandolo a sé in un altro bacio languido. Fu breve.
“Signor Ponytaaaaail!
“Ho capito, Billy, chiudi quella dannata bocca!”

Draghi

Mar. 30th, 2023 06:10 pm
M3: Bestie

Il drago lo guardò come se lo stesse aspettando.
Nella semioscurità della caverna, i suoi occhi di ghiaccio rilucevano come animati da un bagliore proprio, mentre le pupille verticali erano strette, minacciose.
Persino Shouto, che era cresciuto con un Drago nella culla, si sentiva in soggezione di fronte a quella bestia ma, allo stesso modo, percepiva che non aveva ragione di aver paura.
Se il cuore gli batteva forte nel petto, era solo perché quella creatura lo affascinava enormemente. Non erano emozioni a cui era abituato. No, non era abituato alle emozioni e basta.
Per sopravvivere alla corte di suo padre e per non lasciarsi schiacciare dalle ambizioni caricate sulle sue spalle, Shouto aveva imparato a rendere di ghiaccio il suo cuore e, per molti anni, ci era riuscito.
Il tepore di un’amicizia inaspettata aveva impedito a quel gelo autoimposto di corrompere irrimediabilmente la sua anima. Shouto inciampava ancora nelle trame complicate tessute dai sentimenti, come quando si trattava del rapporto tra sé e suo padre, ma un cuore fermo era necessario per avvicinare un Drago.
Se si fosse dimostrato troppo insicuro, la creatura che aveva davanti non avrebbe avuto alcuna pietà di lui. Per questo il Principe procedette a testa alta, ma con passi ben cadenzati: quel Drago era un guerriero e non avrebbe accettato un’eventuale dimostrazione di superbia quanto di debolezza.
Quegli occhi rettili studiarono ogni suo movimento, studiandolo e Shouto gli permise di farlo in tutta calma, mantenendo una causa distanza di sicurezza. Imporsi gli sarebbe stato letale.
Il Drago aveva già un giovane signore, tutti gli altri esseri umani erano intrusi o nemici. Se fosse successo qualcosa al suo Principe Nero, quella creatura non gli sarebbe sopravvissuta a lungo. A Shouto era bastata vederli volare e combattere insieme per capirlo. Un legame così era raro anche in un reame di Signori dei Draghi come il loro.
Dabi era Touya.
Touya era Dabi.
L’uno non poteva esistere senza l’altro.
E come il suo padrone, quella bestia alata non aveva un’idea precisa di che cosa fosse la gentilezza. Fu proprio questo pensiero a spingere Shouto a brandirla.
“Ehi…” Mormorò, sollevando la mano destra. “Tranquillo Dabi, non voglio farti alcun male.”
La belva emise un ringhio basso. Gli stava concedendo il beneficio del dubbio, ma era lontano dal dargli fiducia.
“Sei in grado di leggermi dentro, no?” Continuò a parlare il Principe. “Riesci a sentire che non ho cattive intenzioni.”
Quando fu a meno di metro, il Drago si ritrasse con un verso infastidito, ma non accennò al volerlo attaccare. Shouto si fermò, accorgendosi del modo in cui gli occhi del rettile fissavano la sua mano e comprese la natura del problema.
Mentre adagiava la mano destra lungo il fianco per sollevare la sinistra, si diede dello stupido per non averci pensato prima.
“Sì, immagino che il ghiaccio non sia di tuo gradimento,” accennò un sorriso, come se stesse parlando con un amico. “Ma il mio fuoco dovrebbe esserti familiare.”
Le sue dita vennero avvolte dalle fiamme che aveva disprezzato per gran parte della sua vita, illuminando l’ambiente circostante.
Il Drago si mosse, assumendo una posizione più rilassata.
Quando furono vicini, davvero vicini, Shouto si fermò, in attesa.
I suoi occhi eterocromatici non lasciarono mai andare quelli gelidi del Drago, che tanto gli ricordavano le iridi penetranti del Principe a cui apparteneva.
Il momento non si dilatò che per pochi istanti, ma sembrarono molti di più. Quando il suo Drago spostò la testa in avanti e le sue squame calde aderirono al palmo del quindicenne, Shouto lasciò andare un sospiro di sollievo.
“Bravo, Dabi,” disse, mantenendo un tono gentile. “Bravo…”
Il Drago prese ad assecondare le sue carezze, emettendo bassi versi gutturali, simili alle fusa di un gatto e Shouto, grazie alla luce delle sue fiamme, ne approfittò per studiarlo più da vicino. Come era prevedibile, essendo entrambi figli dello stesso nido, Dabi non era molto diverso dalla sua Shiro. La sola differenza che saltava all’occhio era il colore: la bestia di suo fratello era nera, come la notte, mentre il Drago di Shouto era bianco.
Come la sua compagna di avventure, Dabi aveva una corona di corna sulla parte posteriore della testa e degli spuntoni più corti correvano su due linee parallele per tutta la lunghezza del collo. Lo stesso disegno si ripeteva sulla coda a punta. La schiena, dove veniva poggiata la sella, era un tappeto di squame piatte, lisce, come quelle delle ali.
Sentendo che il Drago era ormai a suo agio, Shouto continuò la sua esplorazione, senza essere molesto. La sua Shiro non era tanto possente, ma non aveva combattuto nemmeno metà delle sue battaglie. Il Principe tracciò la linea dorata che tracciava la linea della mandibola di Dabi. Come gli uomini, anche i Draghi portavano le cicatrici delle loro battaglie, ma il colore dei segni variava di creatura in creatura, rendendole più belle dopo ogni epica impresa.
Da bambino, Shouto ricordava con che incanto aveva guardato i Draghi più vecchi, sopravvissuti all’ultima grande guerra. Aveva smesso di vedere bellezza in quel dolore quando era toccato a Shiro subirlo.
“Tu sei un guerriero impavido, eh?” Domandò, quando le sue dita toccarono un’altra cicatrice, l’ennesima. Aveva perso il conto. “Hai vissuto una vita di lotte, restando sempre al fianco del tuo Principe. Come si può pensare di punirti per questo?”
“Gli innocenti sono i primi a pagare per i capricci dei potenti.”
Shouto alzò la testa appena in tempo per vedere un bagliore blu comparire sotto l’arco di entrata della grotta.
“Gli ultimi sono i nemici,” proseguì Touya, attraversando lo spazio che lo separava dal fratello minore con passi lenti e ben distesi. “Nel mezzo, tocca ai leali,” concluse, passando la mano avvolta dalle fiamme blu sulla testa del suo Drago.
Dabi si dimenticò immediatamente della presenza di Shouto, premendo il muso contro il petto del suo giovane padrone.
“Era una cosa che il Re Demone ripeteva spessa,” disse il Principe Nero, concedendo al suo fedele compagno di avventure tutte le tenere attenzioni di cui aveva bisogno. “Era un modo per ricordare a me e Tenko che se non fossimo stati forti come lui si aspettava da noi, i nostri fratelli sarebbero stati i primi a morire.”
Con la coda dell’occhio, Shouto studiò il profilo di suo fratello illuminato dalle fiamme blu.
“Tu lo ricordi bene?” Domandò. “Il Re Demone, intendo.”
“Quando è caduto avevo tredici anni, troppi per dimenticare” rispose Touya. “È un’età strana. Sei ancora un bambino, ma non lo sei più davvero. Al tempo, Tenko mi sembrava un moccioso con i suoi dieci anni, mentre ripeteva a memoria ogni parola di Lord Shigaraki come un maledetto ritardato. Ora lo guardo e dimentico che ci sono tre inverni a dividerci.”
“Siete amici?”
“Siamo entrambi colpevoli dello stesso regicidio, è diverso,” rispose Touya. Nonostante il tono affilato della voce, il modo in cui toccare il suo Drago era gentile e la spontaneità con cui lo faceva, disse a Shouto che quelle mani non erano poi così estranee alla gentilezza, nonostante il terribile potere che possedevano.
“Un regicidio che sembra non essersi mai compiuto,” disse Shouto, avvicinandosi di un passo. Prese in considerazione la possibilità di sollevare la mano avvolta dal fuoco e toccare il braccio del fratello. Un segno di pace: l’ultima volta che i loro poteri si erano toccati in un momento di quiete era stato piacevole.
Le parole di Touya lo dissuasero dal farlo: “il mio ruolo in questa storia non cambia,” disse, appoggiando la fronte al muso di Dabi. “Sono uno dei due fanciulli che ha ucciso il Re Demone, sono uno dei due Principi Neri. La guerra non fermerà ora che abbiamo tutti un nemico comune. Al contrario, i due schieramenti impiegheranno tutte le forze per mettere Tenko o Izuku sul trono, prima che Lord Hisashi faccia di nuovo sua la corona che gli è stata sottratta.”
Shouto inspirò aria dal naso fino a gonfiarsi il petto, ma non bastò a placare la rabbia che gli crepitava nel petto.
“Quindi vuoi assecondare questa follia fino alle fine?” Domandò, deluso ma non sorpreso. “Se unissimo le forze-“
“I Draghi non uniscono le forze,” lo interruppe Touya, sollevando la testa per guardarlo dritto negli occhi. “Per loro vale la legge del più forte.”
“Ma anche quella dell’onore e del rispetto.” Shouto si decise a stringere il braccio del fratello e le loro fiamme si fusero, assumendo un colore violaceo. “Guarda, Touya. Il fuoco ci distrugge solo se glielo permettiamo. Lo stesso vale per i Figli dei Draghi. Se i Todoroki, i Bakugou e gli Shigaraki si unissero contro il Re Demone-“
Touya non gli permise di finire il discorso di nuovo, questa volta con una risata sarcastica.
“Continua a sfuggirti il nostro ruolo nella storia, fratellino,” disse, scostandosi per non farsi toccare. Dabi seguì il suo movimento, continuando a respirare a grande aspirate il suo odore, con il naso premuto contro il suo grembo.
Le fiamme del più giovane erano tornate rosse e quelle del maggiore erano di nuovo blu.
“Katsuki e Izuku convoleranno a giuste nozze, unendo le Casate dei Bakugou e degli Shigaraki. Loro saranno i nemici di Tenko per la corona che, un tempo, era di Lord Hisashi, detto All For One o Re Demone. Non restiamo che io,” Touya indicò se stesso, puntandosi l’indice sopra il cuore, “e te.” Allungò il braccio avvolto dalle fiamme blu per prendere tra le dita il mento del quindicenne.
Shouto lo guardò dritto negli occhi.
“E a te non importa niente della corona,” disse.
Touya scrollò le spalle.
“Quella degli Shigaraki non è affar mio.”
“E vuoi bruciare quella Todoroki fino a fonderla, non è così?” Shouto non aveva bisogno di una risposta. “Non è questione di potere o onore… C’è solo vendetta nel tuo cuore, vero?”
Touya smise di toccare Dabi per esaurire completamente la distanza tra loro. Erano alti uguali, ma Shouto si sentiva più piccolo.
“A te però è concessa una mossa in più, fratellino,” disse, tracciando la linea dello zigomo in parte ustionato con la nocca dell’indice. “Che tu combatta al mio fianco o perisca per mia mano, nostro padre soffrirà ugualmente.”
Shouto si fece indietro, scottato dalle fiamme blu.
“In virtù della maledizione che ci lega entrambi,” disse Touya, appoggiando il braccio sulla testa del suo maestoso Drago nero. “Ti concederò il privilegio di decidere-“
“La mia lealtà è per i miei amici.” Fu il turno di Shouto di zittirlo. “E tu sei un alleato di Tenko. Non me ne faccio nulla delle tue concessioni, sapevo per cosa combattere fin dal principio!”
Il quindicenne superò suo fratello, urtandogli volutamente la spalla. Le fiamme rosse che gli avvolgevano il braccio sinistro non si estinsero fino a che non fu fuori dal Nido del Drago.
M3: Vampiri

Vi era una strana quiete tutt’intorno al Tempio, mentre il cielo veniva rischiarato dall’aurora. La foresta, ignara di quanto accaduto durante la notte, innalzò il suo canto al mattino. Era la sola cosa a spezzare il silenzio e regalava a tutto un’atmosfera quasi fiabesca.
Hawks avvertiva nell’animo una pace che non riusciva a spiegarsi, non di fronte a un luogo che era stato teatro di tanto dolore. Mosse un passo e i soldati fecero lo stesso. Rivolse loro un cenno per ora dinare di rimanere dov’erano e continuò da solo.
In lontananza, avvertì il rombo di un tuono: un temporale stava arrivando dalle montagne, alla luce dell’alba e al canto della natura non restavano che pochi minuti.
Il soldato dalle Ali Possenti avanzò all’interno del Tempio. Era solo un’enorme carcassa ormai, annerita dall’incendio che l’aveva accesa senza pietà nel buio della notte. Le vetrate erano esplose per il calore e i raggi del sole entravano a trafiggere le tenebre di quel covo di malvagità.
La luce accarezzava anche Touya, inginocchiato di fronte all’altare spezzato a metà, pietrificato nell’atto di abbracciare qualcosa che non c’era più.
Hawks arrivò in fondo alla navata, ma non osò fare un passo di più. Non si azzardò nemmeno a pronunciare il nome del Vampiro. Restò, come lui, immobile ad ascoltare il silenzio.
La cenere che circondava Touya, che sporcava il suo viso, i suoi vestiti e rendeva le punte dei suoi capelli candidi un po’ più grigie raccontava una storia che Hawks non voleva conoscere. Eppure era tutta lì, nelle mani vuote e sporche di Touya, dove prima c’era Shouto.
Di nuovo il rombo di un tuono, le nuvole si addensarono sopra di loro, oltre il tetto sfondato dell’edificio. La luce diminuì.
Hawks non sapeva come fare un passo oltre la soglia di quel tragico evento, non sapeva come convincere Touya a farlo con lui. Non malediceva il destino per essere il primo a conoscere l’epilogo di quella guerra, lo faceva perché non era così che avrebbe dovuto concludersi.
“Touya…” Pronunciò il suo nome, ma neanche un suono uscì dalle sue labbra.
Hawks ingoiò a vuoto e riprovò.
“Touya-“
“Dì all’Iquisizione che mi sono assicurato che non rimanesse niente,” lo interruppe il Vampiro, con una calma che era quasi inquietante. Si sollevò in piedi e la polvere si mosse nell’aria intorno a lui, avvolgendolo, quasi volesse abbracciarlo.
Touya aveva le spalle dritte, teneva la testa alta. Guardava ciò che era rimasto di suo fratello disperdersi nell’aria pregna dell’odore di pioggia.
“Non lo hanno toccato da vivo e non oseranno sfiorarlo neanche da morto.”
Non vi era nessuna cadenza imperativa nella voce del giovane ricoperto di cenere, piuttosto tanta stanchezza, ma quando quegli occhi turchesi incontrano i suoi, Hawks seppe che non sarebbe mai andato contro la volontà di quella creatura. Non contava che fosse un Vampiro o il primogenito dei Todoroki.
Hawks guardava Touya e non lo riconosceva. Chiunque fosse stato prima di quell’alba - il fanciullo ferito, abbandonato, reietto - era morto abbracciando Shouto.
Quel che Hawks aveva davanti in quel momento era la sintesi perfetta del sogno e dell’incubo, di tutto ciò che possiede bellezza e di qualunque cosa contenga oscurità.
Quando chinò la testa in segno di assenso e rispetto, non si accorse di accompagnare il gesto con un: “ai vostri ordini, mio Re.”
Mentre le rime gocce di pioggia li bagnavano, Touya li consegnò un ultimo messaggio.
“Dì a mio padre e mia madre che mio fratello se n’è andato sorridendo.”




Todoroki Shouto è morto come muoiono i demoni: avvolto tra le fiamme purificatrici della sua famiglia. Non vi è stato un periodo di prigionia e nessun processo per lui. Chi lo amava si è battuto per evitargli una simile tribolazione, finalizzata solo a concretizzare le fantasie sadiche dei torturatori del clero. Shouto è morto in pace, sorridendo. La fine è giunta per lui sotto forma dell’abbraccio di un fratello. Qualcuno sostiene persino che non abbia provato alcun dolore, mentre le fiamme blu di Todoroki Touya lo riducevano in cenere.
Ma non vi è nessun altro, oltre al primogenito di Enji e Rei, che possa raccontare la storia.
E, di quella notte, Touya non ha mai parlato, con la sola esclusione delle parole rivolte a Hawks nel Tempio bruciato.
Così è finita la guerra, con il rogo di un fanciullo innocente e maledetto e lo scioglimento della Setta del Re Demone. I fuggitivi sono stati catturati e a loro è stata riservata una sorte ben peggiore di quella del giovane Shouto. Sacrificando suo fratello per il bene comune, Touya ha guadagnato la redenzione per se stesso e la sua Congrega di reietti, divenendo il capofamiglia dei Todoroki al posto di suo padre.
Pur onorando il Patto di Alleanza tra tutte le creature terrene, non ha mai giurato lealtà all’Inquisizione.




In primavera, dopo due stagioni passate a raccogliere le macerie, la notizia dell’arrivo di un bambino diede inizio alla rinascita.
La Regina Madre tornò a sorridere e il Re Padre cominciò a farsi vedere di nuovo in pubblico.
“Penserò io a quello che c’è da fare,” disse quest’ultimo, rassicurando il suo primogenito su come l’intera famiglia considerasse quella gravidanza preziosa. “Ho guidato una Corte di Vampiri per quasi trent’anni, posso farlo per altre due o tre stagioni.”
“Non sono malato,” ribatté Touya, sebbene fosse seduto contro i grandi cuscini del suo letto. Suo figlio aveva annunciato la sua esistenza al mondo facendo prendere a tutti un grande spavento e ora i curatori raccomandavano riposo e poche preoccupazioni, almeno fino ai primi calci.
Suo padre azzardò una carezza tra i suoi capelli.
Fu la sorpresa a impedire a Touya di ritrarsi.
“Non far preoccupare tua madre,” lo pregò, con un sorriso triste che costrinse il più giovane a voltare lo sguardo. “Temevo che non l’avrei vista sorridere mai più e nemmeno tua sorella.”
Anche Touya aveva le sue condizioni.
“Voglio che siano quelli della mia Congrega a occuparsi delle mie faccende,” disse.
Himiko e Jin ne sarebbero stati felicissimi, Shuichi neanche un po’, ma nessuno avrebbe gioito quanto Tenko. No, Touya non agoniava la loro compagnia, ma si fidava di loro più di qualsiasi estraneo della Corte che suo padre avrebbe potuto propinargli. E poi c’era Atsuhiro, che avrebbe continuato a essere i suoi occhi e le sue orecchie, mentre la gravidanza lo teneva lontano dalla prima linea.
Potevano essere in tempo di pace, ma le trame di Corte non erano da sottovalutare alla stregua di un campo di battaglia e l’arrivo di un bambino era sia un momento di forza che di estrema fragilità. Abbassare la guardia anche all’interno della sua casa sarebbe stato letale per Touya, specie con il suo passato.
Suo padre non si ribellò in alcun modo alla sua decisione, ci tenne solo a puntualizzare un paio di dettagli: “hai una famiglia che ti sostiene ed è pronta a prendersi cura di te. Non tagliarci fuori.”
Touya alzò gli occhi al cielo.
“Anche se volessi…” Lasciò la frase sospesa.
Enji si accontentò e fece per andarsene.
“Non mi chiedi chi è l’altro genitore?” Domandò Touya, confuso e sorpreso, al contempo. “Immagino che la Corte vorrà delle risposte, il bambino è nel mio grembo e questo lo rende un Todoroki senza ombra di dubbio ma, per le nostre leggi, non è un figlio legittimo.”
Enji lo guardò come se non avesse pensato alla questione fino a quel momento, o forse lo aveva fatto e aveva deciso che non aveva alcuna importanza.
“Lo hai già detto tu,” disse, grattandosi il retro del collo con imbarazzo. “Sarai tu a partorire questo bambino. La sua appartenenza a questa famiglia non può essere messa in discussione dal modo in cui è stato concepito. Quando e se vorrai raccontarci tutta la storia, io e tua madre saremo felici di ascoltarti.”




A giudizio di Touya, non c’era molto da raccontare e, in tutta sincerità, era certo che i suoi genitori avessero già intuito tutto quello che c’era da sapere. Si comportavano con discrezione solo perché concedergli il suo spazio.
Ma l’inizio della storia del suo bambino non era diversa da molte altre. Un letto di muschio verde sotto le grandi radici di una quercia secolare era stato il rifugio in cui l’atto si era consumato. Un figlio cresciuto dal clero, con le ali di un angelo ma dello stesso colore delle fiamme dell’inferno era stato il compagno di Touya in quel dolce peccato. Su quel giaciglio naturale, si erano conosciuti carnalmente più volte e altrettante si erano detti basta, ma non avevano mai smesso.
Mentre il giovane uomo dalle ali scarlatte riversava il suo seme in lui, Touya beveva il suo sangue in un connubio di piacere che solo chi osava toccare il sacrilego aveva il privilegio di conoscere.
Anche se nessuno dei due si era mai fermato a riflettere sulle implicazioni morali della loro relazione. La prima volta che erano caduti entrambi l’uno tra le braccia dell’altro, l’oscurità li aveva già corrotti entrambi e nessuno dei due era in cerca di redenzione.
Eppure, da loro una luce era nata.
“Dovrei presentarmi al cospetto di tuo padre,” disse Hawks, mentre entrambi giacevano in quella loro alcova segreta, vestiti solo della loro pelle, riscaldata dal piacere appena consumato. “Dovrei chiedere la tua mano, fare le cose come è giusto che vengano fatte.”
Touya guardava le dita del padre di suo figlio tracciare dei ghirigori invisibili sulla pelle del suo grembo - era ormai evidente che contenesse una vita - e pensavo che non voleva niente di meno di quello che stringeva in quel momento, su quel morbido letto di muschio.
“Non devi chiedere la mia mano a nessuno,” ribatté fermo, ma senza veleno. “Non sono una proprietà di mio padre, appartengo solo a me stesso.”
Hawks gli sorrise come se non si fosse aspettato niente di meno. Gli baciò la guancia, poi affondò il naso tra i capelli bianchi e chiuse gli occhi, aspirandone il profumo.
“Voglio essere il padre di tuo figlio, Touya.”
Per il Vampiro, questo era evidente dal modo amorevole in cui gli toccava la pancia.
“E vuoi essere solo il padre di mio figlio?” Domandò il Principe Todoroki.
Si guardarono. C’era stato un tempo in cui erano stati grado di mentirsi guardandosi negli occhi, ma era lontana quanto un’altra vita.
Touya sollevò la mano per scostare la frangia bionda che era ricaduta sugli occhi dorati durante l’amore.
“Allora presentati al cospetto di mio padre, ma non avrai bisogno di chiedergli niente,” disse. “Quello che desideri è già tuo perché sono io a concedertelo.”
Hawks ridacchiò.
“Fammi indovinare… Tu non appartieni a nessuno, ma io appartengo a te.”
Non sembrava affatto infastidito dall’idea.
“La libertà è letale per i rapaci che crescono in cattività,” mormorò Touya, contro le sue labbra.
Un bacio. Un giuramento suggellato.
Il Vampiro si fece indietro per primo, nascondendo il viso contro il collo dell’amante per soffocare una risata.
“Che cosa c’è?” Domandò Hawks.
Touya gli prese la mano e lo invitò a distendere le dita e a premere il palmo a destra dell’ombelico.
“Senti come scalcia,” disse.
Il sorriso che sbocciò sulle labbra di Hawks fu tra i più luminosi che Touya avesse mai visto sul suo viso, paragonabile solo a quello che gli aveva rivolto quando gli aveva confessato di aspettare il loro bambino.
“Non m’importa che tu appartenga a me,” disse il Vampiro, serio di colpo. “Ma appartieni a tuo figlio, Hawks.”
Entrambi erano stati abbandonati dai loro padri. Finché avesse avuto respiro, Touya non avrebbe permesso a quella tragedia di ripetersi con la creatura che gli cresceva dentro.
Gli occhi dorati di Hawks non tradirono alcuna esitazione.
“Arriverà il giorno in cui penserà di non aver più bisogno di averci al suo fianco,” disse. “E noi lo ascolteremo, facendo un passo indietro. Uno solo. Non uno di più.”
Touya non credeva ai giuramenti, ma al padre di suo figlio decise di credere.




Nessuno di loro fu in grado di prevedere quello che accadde.
Solo Enji scelse d’interrogare gli astrologi per porre rimedio allo stato d’ansia in cui l’avvicinarsi del lieto evento lo stava gettando. Non gli fu di molto aiuto.
“Il bambino potrebbe arrivare alla fine dell’anno o all’inizio di quello nuovo,” si giustificò l’Astrologo Maggiore, in evidente imbarazzo. “Per noi che camminiamo su queste terra sono solo pochi giorni di distanza, ma per gli astri…”
Per un po’ si sperò nella notte di Capodanno, considerata una data di nascita che prometteva una vita di fortuna e gloria.
Tutti furono colti da una certa inquietudine quando Touya cominciò a lamentare dei dolori nel primo pomeriggio del decimo giorno di gennaio.
“Potrebbe nascere entro sera e allora non significherebbe niente,” disse Rei a suo marito, mentre impilava le une sulle altre tutte le lenzuola pulite che riusciva a trovare sul tavolo al centro dell’anticamera del loro primogenito.
Enji la guardava fisso. Nella stanza adiacente, Touya non si lamentava ma se avesse urlato a squarciagola, avrebbe provato meno angoscia.
“Se nascerà domani…” Rei si fermò, lisciando la stoffa bianco con le mani una volta di troppo. Alla fine, forzò un sorriso. “Andrà tutto bene,” disse, alla fine. “Gennaio è un mese che ci ha sempre portato fortuna.”
Per un veloce istante, Fuyumi comparve sulla porta della camera da letto per chiamare la madre. Rei fece per andare, ma Enji la bloccò per un braccio.
“Dimmi che cosa posso fare,” la pregò. “Non ce la faccio a rimanere qui fermo ad aspettare.”
Rei fu svelta a dargli istruzioni: “vai a cercare Hawks e portalo qui. Nostro figlio sta facendo il sostenuto, ma è spaventato e quando arriverà il momento, non sarà la nostra mano che vorrà stringere.”
Enji raggiunse la porta a passo di marcia, si fermò con un piede nel corridoio. “Mi hai appena detto di togliermi dai piedi,” concluse.
Rei gli sorrise, cortese.
Enji annuì tra sé e sé.
“Mi tolgo dai piedi.”




Hawks non arrivò in tempo per assistere alla nascita di suo figlio.
Touya maledisse il suo nome e lo chiamò come una preghiera disperata, mentre la voce di sua madre lo guidava con dolcezza lungo tutto il processo.
Il bambino emise il suo primo vagito pochi minuti dopo la mezzanotte, riempiendo il cuore di Touya di un’emozione a cui non seppe dare un nome. Era sollievo, ma anche gratitudine. Le lacrime pungevano agli angoli degli occhi e gli chiudevano la gola in una sensazione che aveva dimenticato nei giorni della sua fanciullezza.
Poi si accorse del silenzio.
Il suo bambino piangeva con vigore, ma nessuno parlava.
Tornò in sé in fretta, combattendo la sfinimento, aggrappandosi alle coperte sporche di sangue e chissà cos’altro. Le macchie più scure erano tra le sue gambe, sull’orlo della camicia da notte. Il senso di vuoto che avvertì superò quello fisico.
Dov’era suo figlio? Perché non glielo facevano tenere in braccio?
Mentre lottava contro l’incoscienza, Touya si accorse che era sua madre a stringere la creatura che aveva generato. L’orrore che vide riflesso nei suoi occhi grigi gli fermò il cuore.
“Mamma…” Chiamò, con voce tremante.
Il bambino era un mezzosangue, certo e la natura sapeva essere crudele con chi si azzardava a sfidarla, certo. Ma…
“Mamma!” Touya provò a urlare, ma non aveva voce.
“Lasciatelo a me.”
Non fu Natsuo a intervenire, né Fuyumi. Come la Regina Madre, i suoi fratelli osservavano la scena impietriti dall’orrore.
“Datelo a me, mia signora.”
Fu Tenko a farsi avanti per prendere in custodia il neonato e Himiko gli fu subito accanto per aiutarlo a sorreggerlo in modo da non fargli male.
Non appena fu libera da quel fragile fardello, Rei incontrò lo sguardo di suo figlio. I suoi occhi grigi erano pieni di lacrime.
“Scusami, Touya,” disse, tremando, mentre si alzava e prendeva le distanze. “Mi dispiace tanto.”
Natsuo e Fuyumi corsero da lei, a darle conforto.
Touya rimase lì, seduto in una pozza del suo stesso sangue, con il ventre vuoto e il petto straziato da un dolore a cui non sapeva trovare un perché.
Himiko fu la prima a porgergli una mano.
“Va tutto bene,” disse, sedendosi sul letto, accanto a lui, per nulla turbata dalle macchie di sangue. “Sta bene. State tutti e due bene.”
“Shhh…” Tenko cullò il neonato goffamente, chinandosi con cautela verso il Vampiro. “È un maschio,” disse.
Touya prese suo figlio tra le braccia. Il bambino smise di piangere e il suo cuore tornò a battere. Non era una deformità che aveva terrorizzato sua madre e i suoi fratelli, ma la bellezza di un fiore così raro che nella famiglia Todoroki era sbocciato solo una volta ed era divenuto cenere tra le mani di Touya.
Quelle stesse mani che ora afferravano il pugnetto minuscolo del neonato, che si aprì solo per allacciarsi intorno al suo indice. Una fiammella dorata si accese lì, dove si toccavano. Quel gesto bastò a convincere il bambino che era stretto tra le braccia più sicure del mondo e rese Touya suo per sempre.
Il giovane Re posò un bacio sopra l’occhio sinistro di suo figlio, dove un segno rosso lo deturpava. Non era una voglia. No, era una cicatrice lasciata dal morso del fuoco.
“Ciao, Shouto…” Mormorò Touya.




Hawks ed Enji giunsero alla corte quando il cielo cominciò a schirirsi.
Fu Rei ad accoglierli, a informarli che Touya aveva partorito un maschio sano e forte e che la nascita non aveva compromesso in alcun modo la sua salute. Fu sempre lei a impedire a Hawks di correre da loro e a informare il neo-padre e suo marito della reale natura dell’evento che si era verificato quella notte.
Quando Hawks salì negli appartamenti di Touya, il sole aveva appena tagliato l’orizzonte. Non bussò, nessuno lo annunciò.
Si affacciò dall’anticamera alla camera patronale e il primo che vide fu il giovane Re seduto al centro del letto, circondato dal suo entourage. Nemmeno Natsuo e Fuyumi erano rimasti con lui.
Himiko fu la prima ad accorgersi di lui e scese dal letto con un saltello, obbligando tutti gli altri ad assumere una posizione più composta. Nessuno fece colpi di testa, solo Tenko fece un passo in avanti, fermandosi accanto alla colonna del baldacchino.
Poteva minacciarlo in silenzio quanto gli pareva, Hawks non lo vedeva nemmeno.
I suoi occhi dorati erano tutti per quelli turchesi che rispondevano al suo sguardo senza indugio.
“Lasciateci,” ordinò Touya, con voce incolore.
Nessuno dell’entourage esitò, ma Tenko buttò lì un ”saremo appena fuori la porta,” e uscì per ultimo.
Il rumore della porta che si chiudeva per Hawks assomigliò a quello di una scure che veniva calata sul collo di un condannato. Touya non pareva affatto sorpreso dalla sua freddezza, ma era evidente che fosse comunque deluso.
La causa di tutta quella tragedia, intanto, dormiva serena tra le braccia del giovane Vampiro.
Hawks fece il giro del letto con passo lento, come se avesse paura.
Touya lo derise.
“Tranquillo, il suo fuoco non è ancora abbastanza forte da ridurre in cenere le tue belle ali,” disse canzonatorio, velenoso.
Hawks strinse i pugni.
“Non peggiorare le cose, Touya,” lo pregò.
“Non sei nella posizione di avanzare alcuna richiesta,” ribatté il Vampiro. “Non sei tu quello che sta sanguinando, tra noi due.”
Mentre Hawks correva a perdifiato per conoscere suo figlio, qualcuno aveva lavorato per rendergli l’esperienza piacevole esteticamente. Non vi era rimasta alcuna traccia del parto in quella camera da letto. Le lenzuola erano pulite, ogni cosa era ordine. Touya era bello come non era mai stato, con la camicia da notte pulita e i capelli perfettamente in ordine, come se quel bambino fosse scivolato fuori dal suo corpo senza provocare dolore e tribolazioni. Se quegli occhi gelidi non lo stessero avvertendo di restare lontano, Hawks lo avrebbe baciato.
Sì, lo avrebbe fatto nonostante tutto, perché l’impresa di dare alla luce una vita non era meno pericolosa o sanguinosa di un campo di battaglia. Quella doveva essere una vittoria, la loro vittoria.
Invece…
Hawks abbassò lo sguardo sul bambino che Touya stringeva come se fosse la cosa più preziosa al mondo. E lo era. In fondo al suo cuore, Hawks sentiva che lo era e non poteva vederlo in nessun altro modo. Eppure…
“Che cosa hai fatto?” Domandò con tono incolore.
“Quello che hai fatto tu,” rispose Touya, “su di un morbido letto di muschio verde, nascosto tra le radici di una quercia secolare-“
“Touya-“
“È accaduto quello che accade dall’alba dei tempi, Keigo,” insistette Touya. “Abbiamo concepito un figlio, l’ho portato in grembo e poi l’ho messo al mondo.”
Hawks non aveva ragione di non credergli, ma quello che aveva davanti agli occhi gli raccontava una storia diversa, una che non conosceva.
“Questo è un caso di reincarnazione, Touya,” disse, funereo, guardando il bambino addormentato. Aveva la testa piena di capelli, metà rossi e metà bianchi e sapeva che se avesse avuto gli occhi aperti, uno sarebbe stato grigio come il cielo in tempesta e l’altro dello stesso turchese di quelli di Touya.
Infine, c’era il morso del fuoco.
“Nessun bambino normale nasce con un’ustione del genere.”
Touya si aggiustò il fagottino contro il petto.
“Ti sembra che stia negando?” Domandò. “Che non veda quello che vedi anche tu?”
“E come fai a restare così calmo?”
“Calmo…” Ripeté Touya, prendendo una delle manine minuscole tra le dita. “Mia madre lo ha guardato come se fosse un mostro e i miei fratelli anche. Se mio padre non è salito a conoscere suo nipote, non fatico a immaginare la sua posizione a riguardo.”
“Touya…” Hawks si sedette sul bordo del letto. “Questo non è nostro figlio.”
Era questo che la sua mente gli ripeteva, ma non corrispondeva a ciò che il suo cuore gli suggeriva.
Il Vampiro storse la bocca in una smorfia.
“Già…” Sospirò. “Facile prendere le distanze per te. Non lo hai portato in grembo, non lo hai partorito-“
“Touya, non oso immaginare quanto sia difficile-“
“Ah, no?” Touya era estremamente lucido nelle sue risposte al veleno. “E con chi lo avrei fatto questo figlio?”
Hawks inspirò aria dalla bocca, gli occhi fissi in quelli del Vampiro.
“Touya, questo non è-“
“Lo vuoi tenere?”
Il giovane dalle ali scarlatte sentì il respiro morirgli in gola.
Touya non si era aspettato niente di meno.
“No, che non vuoi… Se lo facessi, poi ti accorgeresti di amarlo e dovresti tener fede al giuramento che mi hai fatto mentre lo portavo in grembo.”
I raggi gelidi di quel mattino d’inverno scivolarono nella stanza, illuminandola lentamente. Per un attimo, a Hawks ricordò il giorno in cui aveva trovato Touya nel Tempio, pietrificato in un abbraccio che Shouto non poteva più ricambiare.
Era la stessa scena.
La luce che trafiggeva l’oscurità, Hawks impotente di fronte alla potenza del destino e Touya che stringeva ciò che rimaneva di Shouto. Con un dettaglio affatto ininfluente: quello era un inizio, non una fine.
Scosso da un leggero tremore, Hawks si costrinse ad abbassare lo sguardo sulla piccola creatura addormentata. Si era appena affacciata alla vita, come poteva essere qualcosa di diverso da fragile e innocente?
“È un demone reincarnato,” disse e ogni parole fu una stilettata nel petto.
“È il rapace dell’Inquisizione a parlare,” disse Touya, fermo. “Keigo, guardami… Guardalo, è nostro figlio!”
Hawks scosse la testa.
“Non sappiamo ancora con esattezza come accadano certe cose,” disse. “La maggior parte delle volte, le reincarnazioni avvengono tramite rituali ma…”
“Ma lui è perfetto,” concluse Touya. “Lui è perfetto perché è nato. Solo questo, nato. Non è colpevole di questo, come non lo eravamo noi.”
Hawks strinse gli occhi, si alzò dal letto e prese le distanze.
“Non è la stessa cosa,” disse, vedendo il sole fare capolino da dietro le montagne.
“Capisco perché tu la veda così, ma-“
“Hai fatto un giuramento, Keigo.”
“Tu odiavi tuo fratello.” Hawks si aggrappò a quella realtà perché non sapeva a che cos’altro farlo, anche se sapeva che era solo una sfumature di un legame complesso, stroncato troppo in fretta.
“E l’ho ucciso con le mie fiamme perché mi ha pregato di farlo!” Urlò Touya.
Hawks non poté evitare i suoi occhi ancora a lungo. Se lo aveva già visto piangere, non ne aveva memoria. Aveva sollevato il bambino contro la spalla, la guancia appoggiata tra i capelli bicolori.
“E non ho alcuna intenzione di farlo un’altra volta.”

Profile

odetjoy

April 2023

S M T W T F S
      1
23 45678
9101112131415
16171819202122
23242526272829
30      

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jul. 2nd, 2025 01:38 am
Powered by Dreamwidth Studios