M3: Nudità
C’era qualcosa di metafisico in ciò che provavano l’uno tra le braccia dell’altro.
Qualcuno, probabilmente un filosofo, avrebbe riconosciuto nel piacere della carne l’esempio più basso ed elementare di realtà sperimentale. Sherlock Holmes non era certo un filosofo ma gli riusciva difficile definire quello che sentiva correre sotto la pelle come una normale reazione a uno stimolo. C’era fuoco nelle sue vene e lo corredenza lentamente, senza ucciderlo. Era una tortura a cui non aveva mai immaginato avrebbe sottoposto se stesso. Poco più di un anno prima, non avrebbe nemmeno ritenuto possibile piegare il proprio raziocinio a simili sensazioni totalizzanti. Gli capitava di avere eccessi di zelo, ma aveva sempre avuto i piedi ben piantati a terra, anche se il resto del mondo era pronto a sostenere il contrario su di lui. Agli occhi degli altri era impossibile che un eccentrico della sua portata fosse tanto ancorato alla realtà d’aver fatto del binomio causa-effetto il suo unico credo. La follia di Sherlock stava nel pensare che la realtà delle cose fosse modificabile, migliorabile, mentre la gente di quel secolo provava gusto a gridare al progresso senza muovere un passo dal passato.
Senza saperlo, il giovane Holmes aveva compiuto il loro stesso errore: ”La follia è, senza dubbio, parte di questo mondo, Mycroft. Una delle sue forme più comuni è sicuramente la rabbia, ma mi rifiuto di pensare che un uomo nel pieno delle sue facoltà possa perdere la testa per amore.”
Povero, ingenuo, Sherlock Holmes, così convinto della concretezza della terra sotto i suoi piedi che era bastato uno sguardo di William James Moriarty per perdere l’equilibrio e - letteralmente - cadere nel vuoto.
Quello stesso William James Moriarty - il suo Liam - che gli aveva fatto perdere la testa col colore - scarlatto - dei suoi occhi. Sì, Sherlock Holmes era folle, ma non di rabbia. Mai di rabbia, non con Liam.
Liam, che senza provarci aveva preso tutto il suo disincanto riguardo l’amore e l’aveva meravigliosamente destabilizzato.
Sì, c’era qualcosa di metafisico in ciò che provavano l’uno tra le braccia dell’altro.
Il binomio causa-effetto, tradotto in bacio-“ho voglia di te”, non bastava a spiegare ciò che stava accadendo in quell’appartamento di Brooklyn. Sherlock non sapeva da quanto stavano andando avanti. Poteva essere un minuto come un’ora.
La sua unica certezza era che tutto il tempo del mondo non sarebbe mai stato abbastanza.
I suoi vestiti erano finiti sul pavimento della cucina, insieme a quelli di Liam. Erano rimasti entrambi in intimo. Come Liam fosse finito seduto sul tavolo, con le cosce strette intorno ai fianchi di Sherlock, non era chiaro. Il divano a un paio di metri da loro o la camera da letto sarebbero state scelte decisamente più comode, ma nessuno dei due si disturbò a dare voce a quel pensiero. Erano ancora nuovi a quel genere di cose. Dopo quel primo bacio ne erano seguiti tanti altri, sempre più avidi, più curiosi. Avevano scoperto che divorarsi a vicenda, tra le lenzuola del loro letto, era il miglior modo per concludere la giornata.
Fosse stato per Sherlock, i casi dei Pinkerton se ne sarebbero andati al diavolo in favore di un altro tipo d’indagine: quella sul corpo di Liam.
Le carezze non si erano fatte attendere, più timide dei baci, più incerte.
La voglia che avevano l’uno dell’altro si fermava lì, nell’incapacità di varcare un confine ancora straniero. Lasciarsi andare, avevano scoperto, non era nella loro natura. Non era la mancanza di fiducia a inibirli. No, da parte di entrambi vi era un’enorme difficoltà oggettiva nel frenare il folle vorticare dei pensieri.
Alle volte, era Liam a irrigidirsi, trattenuto dal pensiero ricorrente che quella felicità fosse un furto al destino. Sì, Sherlock era la sua Anima Gemella ma questo non era sufficiente a convincerlo di meritarlo.
Dall’altra parte c’era Sherlock, più timido di quanto la sua personalità esuberante lasciasse intendere. Non appena Liam si tendeva come una corda di violino, faceva dieci passi indietro, ansioso di sapere dove aveva sbagliato.
“Non hai sbagliato nulla, Sherly.” La rassicurazione di Liam arrivava puntuale, sempre accompagnata da una carezza. Si cercavano, si desideravano ma avevano entrambi bisogno di tempo, di accettare che ad alcune prove sarebbero seguiti inevitabili errori.
Era l’arte del crescere e di assaggiare la vita. Dovevano solo prenderci la mano.
Per questo, in momenti di rara spontaneità come quello, dove un bacio dato per caso bastava a spingerli l’uno verso l’altro, non aveva importanza finire sul tavolo piuttosto che da un’altra parte. Se si fossero interrotti e avessero spezzato il momento, non sarebbero più stati in grado di proseguire.
Nella lista delle cose capaci di spingere Sherlock sull’orlo della follia, la bocca di Liam aveva presto raggiunto la stessa posizione dei suoi occhi. Gli piaceva toccare quella labbra con le proprie, dolcemente. Adorava inumidirle con la lingua, prima di assaggiare il sapore di Liam. E quando l’atmosfera si faceva abbastanza calda, non resisteva alla tentazione di prendere il labbro inferiore tra i denti. Non stringeva mai abbastanza da fare male. Non avrebbe mai voluto. Lo tirava quanto bastava a sentirlo scivolare dalla propria presa, morbido. E ricominciava da capo.
Un altro bacio e il contatto con la realtà veniva meno.
Quello era uno di quei momenti, con Liam che teneva Sherlock stretto a sé.
Le labbra potevano divenire indolenzite per troppe attenzioni? Perché era quello che stava succedendo al giovane Moriarty, ma privarsi della bocca di Sherlock sarebbe stato come smettere di respirare. Le sue mani non erano meno vivaci. Con gli occhi chiusi, tracciava le linee del petto del Detective, affondava le dita tra quei capelli corvini - a un certo punto, non sapeva quando, li aveva sciolti - e se si allontanava per riprendere fiato, passava il dorso delle dita su quel bel viso acceso dalla passione. Uno sguardo e Liam si perdere in quelle iridi blu che avevano riempito il suo mondo di colori.
Sherlock, da parte sua, non stava certo fermo. Tirava la frangia di Liam all’indietro per posare un tenero bacio sull’occhio leso. Ancora il giovane Moriarty provava a nascondersi, come se quel difetto estetico fosse una colpa o una vergogna.
Sherlock non smetteva di ripetergli che lo voleva tutto.
Se solo avessero trovato insieme il coraggio di…
La mano del Detective affondò tra i capelli biondi, afferrandoli all’altezza della nuca. Tirò un poco, senza far male, invitando Liam a reclinare la testa all’indietro. Le labbra di Sherlock lo lasciarono per il tempo di un respiro, poi iniziarono a torturargli la gola, prendendo la pelle morbida tra le labbra con bramosia. Liam sapeva che gli sarebbero rimasti dei segni per giorni e gli piaceva. Sherlock era prudente e lo marchiava - se così si poteva dire - solo dove i vestiti avrebbero coperto le prove del misfatto. A volte, era troppo irruente e Liam doveva chiedergli di essere più delicat; altre, come in quel momento, lo faceva sospirare di piacere. Mentre Sherlock scendeva a baciargli il petto, la sua mano lo invitò a stendersi sul tavolo. Liam lo assecondò, il respiro corto e il cuore che batteva velocissimo. Era diverso dalle altre volte. L’eccitazione impediva a Liam di essere nel pieno delle proprie facoltà. Tutto quello che la sua mente riusciva a elaborare era Sherlock, le sue mani, la sua bocca. Era sopraffatto, ubriaco di quello splendido giovane uomo dai capelli neri come la notte e il sorriso più luminoso del sole. Non appena la lingua del Detective prese a giocare col suo ombelico, Liam sentì il respiro venire meno. Quello, di solito, era il momento in cui la mente tradiva il corpo, urlandogli di fermarsi. Non accadde e, mentre Sherlock gli slacciava il botto dell’intimo, Liam permise a quel pensiero di scivolare via, insieme a tutti gli altri. “Sherlock…”
“Signor Ponytaaaaail!”
Fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida. Liam aprì gli occhi e il soffitto bianco della cucina rispose al suo sguardo. Sopra di lui, Sherlock era bloccato.
“Signor Ponytaaaaail!”
Le labbra del Detective lo abbandonarono e Liam sentì un brivido freddo, spiacevole, correre lungo la propria schiena. Il momento era andato distrutto.
“Signor Ponytaaaaail!”
“Io giuro che lo ammazzo,” sibilò Sherlock, raddrizzando la schiena.
Liam si sollevò sui gomiti. “Perché urla il tuo nome su per le scale?”
Sherlock, stupendo con le labbra ancora umide dei loro baci e i capelli in disordine. “Lo fa a ogni rampa per evitare di assistere ad altre scene compromettenti.”
Liam si aggrappò al bordo del tavolo e si mise seduto. “Il tempismo non è sicuramente il suo forte.” Sollevò la mano e arricciò una ciocca corvina intorno all’indice.
Sherlock gli afferrò i fianchi, dandogli un tenero bacio sulla guancia. “Stavamo andando così bene,” si lagnò, imbronciato.
Liam lo spinse indietro quanto bastava per guardarlo negli occhi. “Il momento arriverà se non lo cerchiamo, ricordi?”
“Per questo stava andando bene, perché era iniziato in modo così spontaneo…” Sherlock pronunciò metà dell’ultima parola sulla bocca di Liam, tirandolo a sé in un altro bacio languido. Fu breve.
“Signor Ponytaaaaail!”
“Ho capito, Billy, chiudi quella dannata bocca!”
C’era qualcosa di metafisico in ciò che provavano l’uno tra le braccia dell’altro.
Qualcuno, probabilmente un filosofo, avrebbe riconosciuto nel piacere della carne l’esempio più basso ed elementare di realtà sperimentale. Sherlock Holmes non era certo un filosofo ma gli riusciva difficile definire quello che sentiva correre sotto la pelle come una normale reazione a uno stimolo. C’era fuoco nelle sue vene e lo corredenza lentamente, senza ucciderlo. Era una tortura a cui non aveva mai immaginato avrebbe sottoposto se stesso. Poco più di un anno prima, non avrebbe nemmeno ritenuto possibile piegare il proprio raziocinio a simili sensazioni totalizzanti. Gli capitava di avere eccessi di zelo, ma aveva sempre avuto i piedi ben piantati a terra, anche se il resto del mondo era pronto a sostenere il contrario su di lui. Agli occhi degli altri era impossibile che un eccentrico della sua portata fosse tanto ancorato alla realtà d’aver fatto del binomio causa-effetto il suo unico credo. La follia di Sherlock stava nel pensare che la realtà delle cose fosse modificabile, migliorabile, mentre la gente di quel secolo provava gusto a gridare al progresso senza muovere un passo dal passato.
Senza saperlo, il giovane Holmes aveva compiuto il loro stesso errore: ”La follia è, senza dubbio, parte di questo mondo, Mycroft. Una delle sue forme più comuni è sicuramente la rabbia, ma mi rifiuto di pensare che un uomo nel pieno delle sue facoltà possa perdere la testa per amore.”
Povero, ingenuo, Sherlock Holmes, così convinto della concretezza della terra sotto i suoi piedi che era bastato uno sguardo di William James Moriarty per perdere l’equilibrio e - letteralmente - cadere nel vuoto.
Quello stesso William James Moriarty - il suo Liam - che gli aveva fatto perdere la testa col colore - scarlatto - dei suoi occhi. Sì, Sherlock Holmes era folle, ma non di rabbia. Mai di rabbia, non con Liam.
Liam, che senza provarci aveva preso tutto il suo disincanto riguardo l’amore e l’aveva meravigliosamente destabilizzato.
Sì, c’era qualcosa di metafisico in ciò che provavano l’uno tra le braccia dell’altro.
Il binomio causa-effetto, tradotto in bacio-“ho voglia di te”, non bastava a spiegare ciò che stava accadendo in quell’appartamento di Brooklyn. Sherlock non sapeva da quanto stavano andando avanti. Poteva essere un minuto come un’ora.
La sua unica certezza era che tutto il tempo del mondo non sarebbe mai stato abbastanza.
I suoi vestiti erano finiti sul pavimento della cucina, insieme a quelli di Liam. Erano rimasti entrambi in intimo. Come Liam fosse finito seduto sul tavolo, con le cosce strette intorno ai fianchi di Sherlock, non era chiaro. Il divano a un paio di metri da loro o la camera da letto sarebbero state scelte decisamente più comode, ma nessuno dei due si disturbò a dare voce a quel pensiero. Erano ancora nuovi a quel genere di cose. Dopo quel primo bacio ne erano seguiti tanti altri, sempre più avidi, più curiosi. Avevano scoperto che divorarsi a vicenda, tra le lenzuola del loro letto, era il miglior modo per concludere la giornata.
Fosse stato per Sherlock, i casi dei Pinkerton se ne sarebbero andati al diavolo in favore di un altro tipo d’indagine: quella sul corpo di Liam.
Le carezze non si erano fatte attendere, più timide dei baci, più incerte.
La voglia che avevano l’uno dell’altro si fermava lì, nell’incapacità di varcare un confine ancora straniero. Lasciarsi andare, avevano scoperto, non era nella loro natura. Non era la mancanza di fiducia a inibirli. No, da parte di entrambi vi era un’enorme difficoltà oggettiva nel frenare il folle vorticare dei pensieri.
Alle volte, era Liam a irrigidirsi, trattenuto dal pensiero ricorrente che quella felicità fosse un furto al destino. Sì, Sherlock era la sua Anima Gemella ma questo non era sufficiente a convincerlo di meritarlo.
Dall’altra parte c’era Sherlock, più timido di quanto la sua personalità esuberante lasciasse intendere. Non appena Liam si tendeva come una corda di violino, faceva dieci passi indietro, ansioso di sapere dove aveva sbagliato.
“Non hai sbagliato nulla, Sherly.” La rassicurazione di Liam arrivava puntuale, sempre accompagnata da una carezza. Si cercavano, si desideravano ma avevano entrambi bisogno di tempo, di accettare che ad alcune prove sarebbero seguiti inevitabili errori.
Era l’arte del crescere e di assaggiare la vita. Dovevano solo prenderci la mano.
Per questo, in momenti di rara spontaneità come quello, dove un bacio dato per caso bastava a spingerli l’uno verso l’altro, non aveva importanza finire sul tavolo piuttosto che da un’altra parte. Se si fossero interrotti e avessero spezzato il momento, non sarebbero più stati in grado di proseguire.
Nella lista delle cose capaci di spingere Sherlock sull’orlo della follia, la bocca di Liam aveva presto raggiunto la stessa posizione dei suoi occhi. Gli piaceva toccare quella labbra con le proprie, dolcemente. Adorava inumidirle con la lingua, prima di assaggiare il sapore di Liam. E quando l’atmosfera si faceva abbastanza calda, non resisteva alla tentazione di prendere il labbro inferiore tra i denti. Non stringeva mai abbastanza da fare male. Non avrebbe mai voluto. Lo tirava quanto bastava a sentirlo scivolare dalla propria presa, morbido. E ricominciava da capo.
Un altro bacio e il contatto con la realtà veniva meno.
Quello era uno di quei momenti, con Liam che teneva Sherlock stretto a sé.
Le labbra potevano divenire indolenzite per troppe attenzioni? Perché era quello che stava succedendo al giovane Moriarty, ma privarsi della bocca di Sherlock sarebbe stato come smettere di respirare. Le sue mani non erano meno vivaci. Con gli occhi chiusi, tracciava le linee del petto del Detective, affondava le dita tra quei capelli corvini - a un certo punto, non sapeva quando, li aveva sciolti - e se si allontanava per riprendere fiato, passava il dorso delle dita su quel bel viso acceso dalla passione. Uno sguardo e Liam si perdere in quelle iridi blu che avevano riempito il suo mondo di colori.
Sherlock, da parte sua, non stava certo fermo. Tirava la frangia di Liam all’indietro per posare un tenero bacio sull’occhio leso. Ancora il giovane Moriarty provava a nascondersi, come se quel difetto estetico fosse una colpa o una vergogna.
Sherlock non smetteva di ripetergli che lo voleva tutto.
Se solo avessero trovato insieme il coraggio di…
La mano del Detective affondò tra i capelli biondi, afferrandoli all’altezza della nuca. Tirò un poco, senza far male, invitando Liam a reclinare la testa all’indietro. Le labbra di Sherlock lo lasciarono per il tempo di un respiro, poi iniziarono a torturargli la gola, prendendo la pelle morbida tra le labbra con bramosia. Liam sapeva che gli sarebbero rimasti dei segni per giorni e gli piaceva. Sherlock era prudente e lo marchiava - se così si poteva dire - solo dove i vestiti avrebbero coperto le prove del misfatto. A volte, era troppo irruente e Liam doveva chiedergli di essere più delicat; altre, come in quel momento, lo faceva sospirare di piacere. Mentre Sherlock scendeva a baciargli il petto, la sua mano lo invitò a stendersi sul tavolo. Liam lo assecondò, il respiro corto e il cuore che batteva velocissimo. Era diverso dalle altre volte. L’eccitazione impediva a Liam di essere nel pieno delle proprie facoltà. Tutto quello che la sua mente riusciva a elaborare era Sherlock, le sue mani, la sua bocca. Era sopraffatto, ubriaco di quello splendido giovane uomo dai capelli neri come la notte e il sorriso più luminoso del sole. Non appena la lingua del Detective prese a giocare col suo ombelico, Liam sentì il respiro venire meno. Quello, di solito, era il momento in cui la mente tradiva il corpo, urlandogli di fermarsi. Non accadde e, mentre Sherlock gli slacciava il botto dell’intimo, Liam permise a quel pensiero di scivolare via, insieme a tutti gli altri. “Sherlock…”
“Signor Ponytaaaaail!”
Fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida. Liam aprì gli occhi e il soffitto bianco della cucina rispose al suo sguardo. Sopra di lui, Sherlock era bloccato.
“Signor Ponytaaaaail!”
Le labbra del Detective lo abbandonarono e Liam sentì un brivido freddo, spiacevole, correre lungo la propria schiena. Il momento era andato distrutto.
“Signor Ponytaaaaail!”
“Io giuro che lo ammazzo,” sibilò Sherlock, raddrizzando la schiena.
Liam si sollevò sui gomiti. “Perché urla il tuo nome su per le scale?”
Sherlock, stupendo con le labbra ancora umide dei loro baci e i capelli in disordine. “Lo fa a ogni rampa per evitare di assistere ad altre scene compromettenti.”
Liam si aggrappò al bordo del tavolo e si mise seduto. “Il tempismo non è sicuramente il suo forte.” Sollevò la mano e arricciò una ciocca corvina intorno all’indice.
Sherlock gli afferrò i fianchi, dandogli un tenero bacio sulla guancia. “Stavamo andando così bene,” si lagnò, imbronciato.
Liam lo spinse indietro quanto bastava per guardarlo negli occhi. “Il momento arriverà se non lo cerchiamo, ricordi?”
“Per questo stava andando bene, perché era iniziato in modo così spontaneo…” Sherlock pronunciò metà dell’ultima parola sulla bocca di Liam, tirandolo a sé in un altro bacio languido. Fu breve.
“Signor Ponytaaaaail!”
“Ho capito, Billy, chiudi quella dannata bocca!”