Le relazioni pericolose
Mar. 30th, 2020 09:50 amGli Ackerman erano i mostri delle favole per i principi Reiss.
Era stato così per generazioni, da quando Karl Fritz aveva fatto erigere le mura e i guerrieri che erano stati lo scudo e la spada della famiglia reale si erano tramutati nella miccia di un ribellione che aveva avuto vita breve. L’umanità aveva dimenticato in fretta che cosa fosse la libertà, ma non gli Ackerman.
Ci erano voluti generazioni per sterminarli tutti. Generazioni.
Nemmeno un secolo di massacro era servito a niente.
Kenny non era un mostro da favolo. No, era di carne e sangue, forza e rabbia ed era arrivato all’ultimo detentore della corona dei Reiss senza che nessuno se ne accorgesse. Kenny era bravo a sopravvivere, a uccidere e, dettaglio da non sottovalutare, non aveva paura dei mostri.
Se la pietà aveva spinto Uri a inginocchiarsi ai piedi di Kenny Ackerman, era il fascino che lo aveva convinto a tenerlo vicino. Tutta la questione che fosse il più forte guerriero vivente all’interno delle Mura era un dettaglio comodo per a Rod la presenza dell’assassino al fianco del fratello minore.
“Hai mai pensato che potrebbero essercene altri?” Esordì Rod quella mattina a colazione, Frieda seduta sulle sue ginocchia mangiava pigramente un biscotto al cioccolato. Una volta, la tenuta sul lago era stata la più quieta delle loro proprietà, ora lì il tempo veniva scandito dai colpi di pistola che Kenny sparava alle bottiglie vuote.
“Deve fare così tutte le mattine?” Aggiunse Rod, esasperato, indicando l’uomo vicino alla riva del lago. Il terreno su quel lato aveva ceduto, facendo scivolare una grande quercia verso l’acqua. Uno dei rami più bassi si estendeva sopra lo specchio come un davanzale sospeso a mezz’aria. Kenny vi posava sopra i suoi bersagli di vetro e si divertiva a vederli saltare per aria uno a uno.
“Sì, annoia,” lo giustificò Uri, senza togliergli gli occhi di dosso. “È cresciuto a due passi dalla morte, tutta questa tranquillità lo mette a disagio.”
“Se si annoia può divertirsi con una putt-“ le ultime parole di Rod si persero nel frastuono dell’ennesimo colpo di pistola.
Uri abbassò gli occhi azzurri su Frieda senza dire nulla e suo fratello si ricordò solo allora della sua presenza. “Frieda, tesoro, porta un biscotto a Urklyn e giocate insieme,” propose alle nipote.
Frieda era una brava bambina, prese il dolcetto con un gran sorriso e corse dal fratello, a distanza di sicurezza da discussioni non adatte ai bambini.
“Hai intenzioni di lasciarli qui anche stanotte?” Domandò Uri.
Rod alzò gli occhi al cielo. “Non stavamo parlando di quello.”
“Ti lamenti delle mie compagnie e poi lasci qui i tuoi figli per pensare ai tuoi affari,” replicò Uri. “Forse Kenny non è così pericoloso come vai a lamentarti.”
“Ti ho chiesto se ha mai preso in considerazione la possibilità che in giro ci siano altri Ackerman.”
Uri inspirò profondamente dal naso e tornò a guardare l’uomo che sollevava la pistola e sparava a un’altra bottiglia di vetro. “Non ho intenzione di dare inizio a una nuova persecuzione, se è quello che stai proponendo.”
Rod alzò le mani al cielo. “Nessuna persecuzione,” lo rassicurò. “Solo un controllo.”
“Sì, li troviamo, li identifichiamo, mettiamo nell’archivio della Polizia Militare tutto ciò che riusciamo a scoprire su di loro e uno a uno li facciamo morire tra un’incindente di caccia, uno per strada, una rapina finita male e cos’altro, Rod?”
Il maggiore dei fratelli Reiss sbuffò. “Non giocare a fare quello con una morale con me,” replicò, velenoso. “La tua guardia del corpo è un assassino seriale che continua a sporcarsi le mani di sangue per conto nostro.”
Sì, era vero e Uri non aveva nulla da dire in proposito. “Non ce ne sono altri come lui.”
“Come lo sai?”
“Lo so perché se così non fosse, saremmo morti tutti,” gli assicurò Uri. “Un esercito contro una famiglia può essere semplice, anche se a conti fatti dopo un secolo non abbiamo ancora estirpato il loro nome. Un Titano contro un uomo solo è facilissimo. Ora che i Reiss sono topolini impauriti che si nascondono dietro un fantoccio per non dover affrontare di petto il loro stesso mondo, che cosa possono contro dei gatti randagi che vivono ogni loro giorno come se fosse l’ultimo?”
Rod ingoiò a vuoto, visibilmente turbato da quell’aspettativa.
Uri ebbe pietà di lui e abbassò lo sguardo. “Stai tranquillo. Non ce ne sono altri come lui.”
“Papà! Papà! Urklyn vuole un altro biscotto!” Frieda saltellò fino al loro tavolo e il genitore gli passò quello che chiedeva.
“Questo è l’ultimo,” l’avvertì il padre.
Sotto la frangia di capelli corvini, Frieda s’imbronciò. “È lo zio il re, decide lui.”
Uri sorrise. “Dai retta a tuo padre, Frieda.”
La bimba sporse le labbra e se ne andò sconsolata, con la testa reclinata di lato per la delusione.
“Ci prova sempre con te,” notò Rod, tornando a bere il suo caffè.
Uri la guardò allontanarsi. “È così allegra e solare,” commentò. “È curiosa, vuole sapere tutto ed è impossibile mentirle.”
“Anche tu eri così, ti somiglia tanto,” disse suo fratello con inclinazione malinconica. “Sempre pronto a tediare nostro padre con teorie, quesiti... Eri pieni di entusiasmo, di voglia di fare, di cambiare le cose. Ora ti guardo e non so chi sei.”
Uri sorrise tristemente. C’era stato un tempo in cui lui e Rod erano stati complici, pronti a cambiare insieme quel mondo, a rivoluzionare quella prigione fatta di alte mura per restituire all’Umanità la sua dignitià e libertà. Tutto era finito il giorno in cui Uri era stato scelto come erede da suo padre e, uccidendolo, aveva assassinato anche una parte di lui.
“Temo di non saperlo più nemmeno io,” rispose, mentre un nodo gli stringeva la gola.
Altri tre colpi di pistola mandarono definitivamente in frantumi la pazienza di Rod. “Adesso basta!” Urlò, battendo entrambe le mani sul tavolo. “Vuoi darci un taglio, Kenny?!”
“Rod…” Uri allungò la mano per toccare il braccio del fratello, ma il danno era già fatto.
Kenny rifoderò la pistola e recuperò il capello abbandonato sull’erba. “Hai qualcosa problema, fratello del re?”
Uri gli lanciò un’occhiata storta: non gli piaceva quando usava il complesso d’inferiorità di Rod solo per dargli sui nervi.
Suo fratello fece il grave di errore di pensare di avere il coltello dalla parte del manico: “se ti annoi, vai in città e sfogati in un borde-“
La situazione precipitò velocemente: Kenny puntò la pistola sotto il mento di Rod, fissandolo dall’alto in basso con un ghigno derisorio. “Te lo ripeto: hai qualche problema?”
Uri si alzò in piedi e si frappose fra i due. “Basta così, Kenny,” con voce gentile ma ferma. “Ci sono i bambini.”
L’assassino lo guardò e tornò a indossare un’espressione annoiata. “Era per ridere.”
Si allontanò da Rod e questi dovette appoggiarsi al tavolo Perchè le gambe non lo reggevano. “Sei completamente malato di testa!”
“Può darsi…” Kenny si aggiustò il cappello sopra la testa. “Per la cronaca, non ho bisogno di pagare per svuotarmi le palle, a differenza tua, Rod. Maestà.” Lanciò uno sguardo a Uri. “Maestà.”
Non gli stava chiedendo il permesso e Uri non perse tempo a darglielo.
Kenny tornò sulla riva del lago a sparare alle sue bottiglie e nessuno osò lo disturbò più.
Che Kenny Ackerman non aveva bisogno di pagare perchè una donna gli concedesse le sue attenzioni, era una cosa che Uri aveva scoperto da solo.
Nonostante gli piacesse fare baccano e s’impegnasse molto per avere tutti gli sguardi su di sé quando entrava in una stanza - se erano scandalizzati o intimiditi ancor meglio - Kenny non era un tipo molto socievole. Uri era certo che perdesse tempo a fare una conversazione degna di tale nome solo con lui e questo, intimamente, lusingava il giovane Re.
Quando aveva bisogno di compagnia, però, non era affatto timido. Uri aveva cominciato a osservarlo da subito, ma Kenny non si era davvero sentito a suo agio tra le mura dei Reiss per diversi mesi. Non appena si era sentito padrone del territorio, Uri aveva cominciato a notare i primi cambiamenti. Alcune delle giovani donne della servitù quasi gli davano confidenza e, quando passava, le ragazzine lo guardavano di nascosto.
Kenny Ackerman era un bell’uomo nel fiore degli anni, che nulla aveva a che spartire con i nobili grassi e viscidi a cui le fanciulle della servitù erano abituate. Era alto, molto alto e quegli occhi di ghiaccio non erano qualcosa di comune. L’aria tenebrosa che si trascinava dietro, inoltre, non faceva che contribuire a quel fascino pericoloso che faceva rabbrividire le gran dame sotto i loro corpetti stretti, a braccetto di un marito che non si era mai disturbato a dare loro piacere.
A un certo punto, Uri aveva cominciato a contarle.
La lavandaia che appendeva il bucato sul retro della tenuta, a cui era saltato un bottone della camicetta. La governante, sempre impeccabile, che aveva sorpreso a metà giornata con un ciuffo di capelli in disordine - Uri non ricordava di averla mai vista senza il suo chignon. Una volta aveva chiesto a una delle cameriere di farlo chiamare e Uri aveva contato i minuti - ventidue per la precisione - che Kenny aveva impiegato per salire una rampa di scale di venticinque gradini. Quella volta, a Uri aveva dato fastidio e, anche se non glielo aveva detto, Kenny se ne era accorto e la cosa lo aveva divertito.
Uri non lo aveva mai beccato sul fatto e alla parte più immorale e meno ragionevole di lui dispiaceva. Aveva colto Kenny Ackerman nell’atto di ucciderlo, ora voleva beccarlo in un momento di totale vulnerabilità.
Uri non riusciva a immaginarsi Kenny vulnerabile. Qualcosa gli suggeriva che non perdesse il controllo nemmeno durante il sesso, ma erano solo sue supposizioni, nulla di più. Quel che era certo, e Uri ne aveva la prova sui visi delle donne con cui sapeva che la sua guardia del corpo si era intrattenuta, era che Kenny Ackerman sapeva fare l’amante.
Tra le sue conquiste non c’erano ragazzine facili da illudere, solo donne che sapevano quello che volevano e se lo prendevano pretendendo in cambio solo un amplesso che ne valesse la pena. Kenny doveva abbracciare la loro stessa filosofia riguardo al sesso perché le accontentava tutte e non si guardava mai indietro.
No, Kenny non aveva davvero bisogno di spendere soldi per avere un po’ di piacere quando ne aveva voglia, ma non si poteva dire che non lo facesse con buon senso.
A un certo punto, durante il processo che aveva spinto Uri a interessarsi all’uomo che si nascondeva dietro l’assassino, il giovane Re aveva deriso in segreto tutte le nobili che lasciavano gli occhi addosso alla sua guardia del corpo solo per rimanere a mani vuote. Giocare agli amanti con una donna di basso rango poteva essere divertente per entrambe le parti, ma Kenny conosceva la sua posizione al fianco di Uri e non l’avrebbe mai messo in ridicolo infilandosi nel letto di un nobile per capriccio.
Kenny non era come Rod. Non abusava del suo potere per ottenere tutto quello che voleva dalle donne senza temere le conseguenze. Il sesso non era diverso da un’arma nei salotti di corte e nei giochi di potere. Kenny si era preso gioco del governo troppo a lungo per farsi distrarre da una bella donna e perdere di vista l’obiettivo. Solo per una faceva un’eccezione, l’unica che Uri non aveva mai visto e se anche se non gli era fedele, le era legato abbastanza da tornare nella Città Sotterranea quasi tutte le notti.
Rod non era a conoscenza di quell’abitudine del suo cane da guardia o avrebbe sicuramente urlato al complotto. Uri non aveva ragione di dubitare di Kenny semplicemente perché non glielo nascondeva.
“Tornerò domani in mattinata,” diceva, prima di andarsene. Non gli chiedeva mai il permesso ma non tradiva mai la parola data.
Per quanto irragionevole suonasse alle orecchie di Rod, Uri si fidava di Kenny e alcuni atteggiamenti dell’Ackerman lo persuadevano a credere che il sentimento fosse ricambiato.
Una cosa era certa, qualsiasi legame si stesse creando tra loro, Kenny non aveva abbassato la guardia. Le sue amanti erano distrazioni, ma Kenny Ackerman non era mai distratto. Uri, al contrario, lo era eccome.
Quando Kenny non c’era, gli mancava.
Parlavano. Parlavano un sacco, l’erede dei Reiss e quello degli Ackerman e Uri si chiedeva se quel genere di affinità fosse la stessa che aveva tenuto vicine le loro famiglie per generazioni, prima delle persecuzioni, o se era solo una coincidenza. Nel suo piccolo, gli piaceva definirlo miracolo.
Un giorno, durante una partita a scacchi, glielo aveva detto.
“Miracolo?” Come previsto, Kenny lo guardò come se fosse un completo idiota. “Hai tutta la conosceva e la forza di questo mondo e riesci ancora a credere nei miracoli?”
Uri sorrise paziente, sporgendosi sulla scacchiera per fare la sua mossa. “Penso che la parte di me di crede nei miracoli sia l’unica che posso definire solo mia.”
Kenny lo guardò con le sopracciglia inarcate. “Stai di nuovo parlando di cose che puoi solo spiegare a metà e che mi danno sui nervi perché non le riesco a capirle?”
“Nemmeno io conosco tutto di te,” replicò Uri.
Kenny sbuffò. “Bugiardo…”
Il Re reclinò la testa da un lato. “Mi vuoi far credere che in questi mesi hai abbassato tutte le tue difese?”
La guardia del corpo ghignò. “Non ci provare.”
“Non posso farlo, Kenny,” replicò Uri. “Potrei con tutti ma non con te.”
Kenny mosse un pedone nero. “Per questo Rod voleva uccidermi prima di subito ma tu, no, perché giustiziare l’unico uomo su cui i tuoi poteri non hanno alcun effetto?”
“Ho deciso di darti fiducia.”
“E sei stato un folle.”
Uri inarcò un sopracciglio, divertito. “Stai dando ragione a mio fratello?” Era una novità.
“No, è solo molto facile prevedere i suoi pensieri,” spiegò Kenny. “Per questo tuo padre non lo ha scelto come erede.”
Uri mosse uno scacco a caso. Non gli importava della partita, voleva solo che la guardia del corpo continuasse a esporgli i suoi pensieri. “E i miei?” Domandò, studiando i lineamenti dell’altro alla luce del fuoco che scoppiettava nel camino. “Riesci a leggere i miei pensieri?”
Kenny ricambiò l’occhiata inquisitoria e smise di concedere alla scacchiera tutta la sua attenzione. “Quando ti sei inginocchiato, lo hai fatto per senso di colpa,” disse. “Non conosco il tuo potere e non credo che mi permetterai mai di farlo. Di due cose sono certo: su di me non ha effetto e su di te ha un potere distruttivo che a stento riesci a sopportare.”
A quel punto, Uri non riuscì a reggere il suo sguardo. Sorrise amaramente, guardando le lingue di fuoco che divoravano la legna nel camino. “C’è dell’altro?”
“Sì,” proseguì Kenny. “Ero un minaccia, punto e basta. Scegliere di uccidermi sarebbe stato logico, semplice. Tipico di Rod, più di lì non può arrivare, troppo idiota. Io, invece, ho pensato che lo avessi fatto per comodità: sono l’unico al mondo che può tenerti testa e sai che se decidessi di ucciderti una seconda volta, non mi presenterei impreparato. Come alleato, però…” La guardia del corpo scrollò le spalle. “Ma io non sono qui per questo. Non c’è nessuna strategia ragionata dietro la scelta di volermi al tuo fianco. Il motivo per cui mi hai risparmiato è molto più irrazionale: lo hai fatto per andare contro qualcosa.”
Quelle parole presero Uri di sorpresa. “Spiegati.”
“Non lo so,” ammise Kenny. “Combatti contro qualcosa d’invisibile ogni minuto di ogni fottuto giorno. È uno dei motivi per cui mi affascini.”
Uri sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso. “Io ti affascino?”
Kenny gli lanciò un’occhiata eloquente, dalle sfumature divertite. “Sei l’essere più forte di questo mondo di merda e ogni volta che ti guardo hai quell’espressione impotente” disse. “Come faccio a indovinare i pensieri di una creatura come te?”
Uri non poteva dirgli che con quella conversazione aveva dimostrato di conoscerlo meglio di chiunque altro, persino di suo fratello. Non poteva perché Kenny aveva aggirato le sue difese senza sforzo e lui ancora - l’essere più potente di quel fottuto mondo, lo aveva chiamato e se non avesse avuto un nodo a stringergli la gola, avrebbe riso amarante - non era riuscito a fare breccia nel muro impenetrabile dell’assassino.
Kenny allungò il braccio sulla scacchiera e fece la sua ultima mossa. “Scacco matto,” disse con un ghignetto vittorioso, poi si alzò in piedi.
Uri lo guardò recuperare la giacca e il cappello. “Dove vai?” Domandò, anche se immaginava già la risposta.
“Nella Città Sotterranea,” rispose Kenny. Nessun dettaglio in più, nessuna spiegazione. Non era tenuto a dargliele. Era il Re, avrebbe potuto pretenderle ma sapeva che avrebbe dovuto pagarne il prezzo.
“Sai già quando tornerai?” Si limitò a chiedere Uri.
“Mi servono un paio di giorni.”
Il Re si limitò ad annuire.
“Sei di pessimo umore.” Negli anni, Rod aveva sviluppato un fastidioso talento nel diventare attento alle sue emozioni solo quando sarebbe stato meglio lasciarlo in pace.
Di fatto, Uri ignorò deliberatamente il commento. “Per quale ragione devi lasciare qui Frieda?” Domandò, anche se sarebbe stato più corretto chiedere quale amante. “Dov’è Urklyn?”
“Con sua madre.”
Il Re inarcò le sopracciglia. “E perché Frieda non può restare con la madre?”
La cameriera - una fanciulla che non poteva avere nemmeno vent’anni - intervenne sulla scena per servire la colazione. La risposta di Rod tardò ad arrivare perché si premurò di studiarla con attenzione da capo a piedi.
“Che cosa c’è?” Domandò irritato, quando la fanciulla se ne andò e si ritrovò ad affrontare l’espressione giudicante di suo fratello.
Uri strinse le labbra e scosse la testa. “Dov’è Frieda?”
“Di sopra, nella sua stanza.”
“Non me l’hai nemmeno fatta salutare.”
“Ha la febbre. Si è addormentata in carrozza.”
Uri sgranò gli occhi. “Siamo quasi a novembre.”
“Sì e con questo?”
“L’ha portata fuori di casa con questo tempo mentre ha la febbre?”
“Mia moglie è incinta,” spiegò Rod, esasperato. “Non può stare con la bambina mentre è malata. È rimasta nei miei appartamenti fino a oggi, ma ho del lavoro da svolgere a Shiganshina e se non ci sono io, cerca te.”
Uri non sapeva se lo rendeva più perplesso la notizia della terza gravidanza di sua cognata o il fatto che Rod si stesse spingendo fino ai confini delle Mura per lavoro. Quest’ultima questione ebbe la meglio: “che cosa vai a fare a Shiganshina?”
Rod si versò una tazza di tè, poi si guardò intorno per assicurarsi che la sala da pranzo fosse vuota. Tanto per assicurarsi che nessuno udisse quella conversazione nemmeno per sbaglio, si sporse verso il fratello. “Il cane da guardia è fuori?”
“Sì, Rod, Kenny non è qui,” confermò Uri e il tono infastidito, seppur controllato, con cui lo disse diede a Rod un indizio sul motivo del suo malumore.
“Avete litigato?” Domandò suo fratello.
“No,” rispose Uri. Kenny aveva solo confessato di essere affascinato da lui prima di correre dalla sua amante nella Città Sotterranea. Non era una buona ragione per essere risentito, non quando erano l’uno per l’altro solo il Re e la sua guardia del corpo. Il fascino reciproco era una giustificazione più che sufficiente per spiegare come mai il tempo passato insieme fosse tanto piacevole.
C’era un’affinità, nulla di più. Kenny lo aveva saputo capire meglio degli altri perchè per sua natura era un uomo attento a tutto.
Se Uri provava dell’altro, era solamente colpa sua.
Rod storse il naso. “Ha fatto qualcosa che ti offes-?”
“Dimmi perché devi andare a Shiganshina,” insistette Uri.
“I miei uomini hanno trovato qualcosa d’interessante e voglio andare a controllare.”
Il giovane Re assottigliò gli occhi. “E perché non puoi aspettare che torni Kenny?”
“Non è un lavoro adatto al tuo cane da guardia.”
“Parla chiaro, Rod,” ordinò Uri. Non gli piaceva usare quel tono, specialmente con la sua famiglia ma suo fratello non si occupava mai di nulla che non gli portasse qualche guadagno.
“Ho trovato altri membri della famiglia Ackerman nelle vicinanze di Shiganshina,” confessò Rod con un ghigno vittorioso. “Non credo siano parenti diretti di Kenny, ma-“
“No.” Uri non lo lasciò nemmeno finire di parlare.
Rod sbatté le palpebre un paio di volte. “Cosa?”
Il Re scosse la testa. “Non farai niente a quelle persone,” disse Uri fermamente.
Suo fratello prese un respiro profondo, come se stesse perdendo la pazienza. “Uri-“
“Non uccideremo delle persone che non ci hanno fatto niente!”
Rod gli strinse il braccio. “Abbassa la voce!”
Uri si tirò indietro. “Mi fai male,” si lamentò, ma riuscì a liberarsi da solo. “Basta, Rod. Abbiamo massacrato quella famiglia abbastanza.”
Rod lo inchiodò con lo sguardo. “Non possiamo correre rischi!”
“Quali rischi? Gli Ackerman non ci hanno mai fatto niente. Non puoi condannare intere famiglie perché un uomo disperato ha tentato di-“
Rod si alzò con tanta violenza che la sua sedia cadde all’indietro. “Smettila di giustificarlo!” Urlò, fuori di sé. “Nemmeno lui dovrebbe essere qui! Avresti dovuto ucciderlo come il cane che è!”
Uri strinse le labbra. Rimase seduto ma i suoi occhi divennero gelidi, penetranti come due lame. “Non sono tenuto a giustificarmi,” disse. Non gli parlava più da fratello, ma da sovrano. “Kenny fa il lavoro sporco per me quanto per te. Pensi che non mi dica che tu gli abbia ordinato di chiudere la bocca a due delle tue amanti?”
Tutta l’aggressività sul viso di Rod sparì e prese ad aprire e chiudere la bocca come un pesce fuor d’acqua. “Non… Non avrebbe dovuto-“
“Certo che doveva!” Esclamò Uri. “Sei tu che lo consideri un cane, ma sceglie a chi essere leale e, credimi, non ti conviene alimentare la sua antipatia nei tuoi confronti.”
Rod reclinò la testa da un lato. “Ma di cosa stiamo parlando?” Era indignato. “È vivo per un tuo capriccio. È un nostro schiavo, non può decidere quali ordini eseguire e quali no!”
Spazientito, Uri si alzò dal suo posto. “Lo vedi? È per questo atteggiamento che i Reiss sono riusciti a inimicarsi gli Ackerman,” disse con voce amara. “E non posso nemmeno biasimarli.”
Per lui la discussione era finita, ma Rod aveva ancora qualcosa d’aggiungere. “Dov’è adesso Kenny?”
“Nella Città Sotterranea.”
“E perché?”
Uri non aveva una risposta a quella domanda. Se l’era posta innumerevoli volte e una donna era stata l’unica giustificazione che era riuscito a dare alle continue assenze di Kenny, ma questo a suo fratello non poteva dirlo. Rod non doveva sapere che c’erano aspetti della vita di Kenny che non conosceva, che lo turbavano, che si fidava di lui ma lo sentiva sfuggente.
Kenneth Ackerman era un uomo troppo pericoloso perché un Reiss - il Re stesso! - potesse avere tante titubanze nei suoi confronti. Rod non aspettava altro che mettere in discussione la sua decisione di tenere Kenny con sé e Uri non poteva permetterselo, non quando l’altro gli aveva promesso che sarebbe tornato in tre giorni e quello era il sesto che non si faceva vedere.
Se Uri avesse cominciato a dubitare di lui e se Rod fosse venuto a sapere della sua condotta, nemmeno un capriccio del Re lo avrebbe salvato dall’accusa di tradimento alla corona.
“Gli hai dato un consiglio su come sfogarsi,” gli ricordò Uri. “Lo ha colto al volo.”
A Rod quella risposta piacque tanto che rise. “Alla fine, anche Kenny lo Squartatore è un uomo come tutti gli altri.”
Uri credeva fosse migliore di molti ma non era la conversazione giusta per confessarlo. Si limitò a fare a pezzi il divertimento di suo fratello sul nascere. “Se un solo soldato lascia Mytras senza il mio permesso per andare a Shiganshina, lo verrò a sapere Rod,” lo avvisò. “E ci saranno delle conseguenze.”
Rod non lo prese sul serio. Tornò a interpretare il ruolo del fratello maggiore nel tentativo di rabbonirlo, superò il tavolo e gli strinse le spalle con affetto. “So che non mi faresti mai del male, fratello mio.”
Era vero. Uri, però, aveva ereditato dai Reiss la capacità di guardare altrove mentre il mondo cadeva a pezzi. “No, hai ragione,” disse, tristemente. “Ma anche il padrone con la mano più ferma ha difficoltà a tenere a bada un cane quando è arrabbiato.”
Il sorriso fraterno di Rod si spese in un battito di ciglia e anche le sue mani smisero di toccarlo. “Attento a chi scegli di avere vicino, Uri,” lo avvertì. “Io sono la tua famiglia. Quell’uomo è un assassino che si è macchiato di centinaia di morti.”
“Anche nostro padre era parte della famiglia,” replicò Uri con un freddezza che ebbe difficoltà a riconoscersi. “Non mi sono tirato indietro quando ho dovuto ucciderlo.”
Uri non era una vittima della sua famiglia. Suo padre non si era mai fatto scrupoli a preferirlo a Rod, ma era stato lui a iniettarsi il siero quando era arrivato il suo tempo. Nessuno lo aveva costretto.
Aveva scelto di essere Re. Aveva scelto di uccidere suo padre ed ereditare il suo potere. Aveva scelto di portare il peso di quella maledizione. Quella era la storia che sapevano tutti. Ciò di cui nessuno si era accorto era che Uri Reiss era morto nel giorno della sua incoronazione, insieme alla sua umanità.
A Kenny Ackerman, invece, era bastato guardarlo negli occhi per capirlo.
Quel pensiero lo tormentò per tutto il giorno che seguì la visita di Rod. Suo fratello gli aveva giurato che avrebbe rispettato il suo volere e non sarebbe andato a Shiganshina. Uri non si fidava. Non riusciva a farlo.
Rod aveva fatto appello al loro legame di sangue e, per tutta risposta, Uri aveva pensato che si sarebbe sentito più al sicuro con Kenny al suo fianco.
Kenny, però, non era lì. Gli aveva dato la sua parola che sarebbe tornato in tre giorni e non l’aveva rispettata. La ragione suggeriva a Uri che non era normale, che doveva essere successo qualcosa, ma quella emotiva non ne voleva sapere. Continuava a pensare a Kenny che smascherava la sua fragilità senza giudicarlo, poi si ricordava che aveva - lui, un uomo che non si era mai curato della scia di sangue che si era lasciato alle spalle - una buona ragione per ridiscendere all’inferno e Uri non sapeva nemmeno quale fosse.
“Sei triste, zio Uri?” Persino Frieda, con il faccino pallido e gli occhi azzurri lucidi per la febbre, riusciva a leggere nel suo sguardo meglio di suo padre, Rod.
Uri le rivolse un sorriso stanco, stirato. “Va tutto bene, piccola,” disse, rimboccandole le coperte. Aveva dato ordine alla balia di farlo chiamare se la febbre fosse salita. “Cerca di dormire.”
Le diede la buona notte con un bacio.
Nonostante la febbre, Frieda dormì. Il Re neanche un po’.
Nel cuore della notte cominciò a piovere.
Uri scese in cucina mentre la servitù era ancora a letto con l’intenzione di farsi qualcosa di caldo. Il tepore del fuoco lo accolse e lo prese di sorpresa non appena varcò la porta. Si guardò intorno ma non vide nessuno, solo entrando nella stanza si accorse della sedia posta di fronte al camino e della giacca madida che vi era appesa sullo schienale.
Vide il capello al centro del tavolo solo per ultimo e allungò la mano per toccarne il bordo bagnato. Un rumore dalla lavanderia seguito da un’imprecazione a bassa voce gli diede l’ultima conferma di cui aveva bisogno.
“Kenny?” Chiamò.
Dopo un attimo d’immobilità, l’uomo comparve sulla porta della lavanderia con solo i pantaloni addosso e i capelli bagnati tirati all’indietro. Suo malgrado, Uri fu divertito dall’espressione scocciata sul viso della sua guardia del corpo. “Sei stato sorpreso dal temporale.”
“Stavo cercando una camicia in lavanderia per non salire così,” disse, indicandosi. “Tu che cosa ci fai sveglio a quest’ora del cazzo?”
“Non riuscivo a dormire,” disse Uri, sinceramente.
Kenny superò il tavolo, passando alle spalle del sovrano, fermandosi di fronte al camino per scaldarsi.
“Sei scalzo,” notò Uri.
“Gli stivali sono ridotti una merda,” disse Kenny. “Chi la vuole sentire Margaret se sporco di fango il pavimento della sua cucina!”
“Chi è Margaret?”
Kenny fissò il sovrano con le sopracciglia inarcate. “Non conosci nemmeno i nomi di chi cucina il tuo cibo?”
Uri non aveva la risposta pronta: era una mancanza particolarmente grave quando si era a capo di una famiglia reale di cui la gente non conosceva l’esistenza.
La sua guardia del corpo fece una smorfia. “Se un pezzo di merda come me è riuscito ad arrivare direttamente a te e all’idiota, non dovrei sorprendermi.”
“Non sottovalutarti, se fossi stato umano non avrei avuto alcuna possibilità contro di te.”
“Fai del sarcasmo?”
“Forse…”
Kenny sorrise. Una ciocca corvina gli ricadde sul viso e si passò una mano tra i capelli per rimetterla al suo posto.
Quel sorriso. Quel maledetto, meraviglioso sorriso, promessa di una rivoluzione, di una libertà che Uri ancora non aveva il coraggio di assaggiare.
Il giovane Re dimenticò tutto e sorrise a sua volta.
Era stato così per generazioni, da quando Karl Fritz aveva fatto erigere le mura e i guerrieri che erano stati lo scudo e la spada della famiglia reale si erano tramutati nella miccia di un ribellione che aveva avuto vita breve. L’umanità aveva dimenticato in fretta che cosa fosse la libertà, ma non gli Ackerman.
Ci erano voluti generazioni per sterminarli tutti. Generazioni.
Nemmeno un secolo di massacro era servito a niente.
Kenny non era un mostro da favolo. No, era di carne e sangue, forza e rabbia ed era arrivato all’ultimo detentore della corona dei Reiss senza che nessuno se ne accorgesse. Kenny era bravo a sopravvivere, a uccidere e, dettaglio da non sottovalutare, non aveva paura dei mostri.
Se la pietà aveva spinto Uri a inginocchiarsi ai piedi di Kenny Ackerman, era il fascino che lo aveva convinto a tenerlo vicino. Tutta la questione che fosse il più forte guerriero vivente all’interno delle Mura era un dettaglio comodo per a Rod la presenza dell’assassino al fianco del fratello minore.
“Hai mai pensato che potrebbero essercene altri?” Esordì Rod quella mattina a colazione, Frieda seduta sulle sue ginocchia mangiava pigramente un biscotto al cioccolato. Una volta, la tenuta sul lago era stata la più quieta delle loro proprietà, ora lì il tempo veniva scandito dai colpi di pistola che Kenny sparava alle bottiglie vuote.
“Deve fare così tutte le mattine?” Aggiunse Rod, esasperato, indicando l’uomo vicino alla riva del lago. Il terreno su quel lato aveva ceduto, facendo scivolare una grande quercia verso l’acqua. Uno dei rami più bassi si estendeva sopra lo specchio come un davanzale sospeso a mezz’aria. Kenny vi posava sopra i suoi bersagli di vetro e si divertiva a vederli saltare per aria uno a uno.
“Sì, annoia,” lo giustificò Uri, senza togliergli gli occhi di dosso. “È cresciuto a due passi dalla morte, tutta questa tranquillità lo mette a disagio.”
“Se si annoia può divertirsi con una putt-“ le ultime parole di Rod si persero nel frastuono dell’ennesimo colpo di pistola.
Uri abbassò gli occhi azzurri su Frieda senza dire nulla e suo fratello si ricordò solo allora della sua presenza. “Frieda, tesoro, porta un biscotto a Urklyn e giocate insieme,” propose alle nipote.
Frieda era una brava bambina, prese il dolcetto con un gran sorriso e corse dal fratello, a distanza di sicurezza da discussioni non adatte ai bambini.
“Hai intenzioni di lasciarli qui anche stanotte?” Domandò Uri.
Rod alzò gli occhi al cielo. “Non stavamo parlando di quello.”
“Ti lamenti delle mie compagnie e poi lasci qui i tuoi figli per pensare ai tuoi affari,” replicò Uri. “Forse Kenny non è così pericoloso come vai a lamentarti.”
“Ti ho chiesto se ha mai preso in considerazione la possibilità che in giro ci siano altri Ackerman.”
Uri inspirò profondamente dal naso e tornò a guardare l’uomo che sollevava la pistola e sparava a un’altra bottiglia di vetro. “Non ho intenzione di dare inizio a una nuova persecuzione, se è quello che stai proponendo.”
Rod alzò le mani al cielo. “Nessuna persecuzione,” lo rassicurò. “Solo un controllo.”
“Sì, li troviamo, li identifichiamo, mettiamo nell’archivio della Polizia Militare tutto ciò che riusciamo a scoprire su di loro e uno a uno li facciamo morire tra un’incindente di caccia, uno per strada, una rapina finita male e cos’altro, Rod?”
Il maggiore dei fratelli Reiss sbuffò. “Non giocare a fare quello con una morale con me,” replicò, velenoso. “La tua guardia del corpo è un assassino seriale che continua a sporcarsi le mani di sangue per conto nostro.”
Sì, era vero e Uri non aveva nulla da dire in proposito. “Non ce ne sono altri come lui.”
“Come lo sai?”
“Lo so perché se così non fosse, saremmo morti tutti,” gli assicurò Uri. “Un esercito contro una famiglia può essere semplice, anche se a conti fatti dopo un secolo non abbiamo ancora estirpato il loro nome. Un Titano contro un uomo solo è facilissimo. Ora che i Reiss sono topolini impauriti che si nascondono dietro un fantoccio per non dover affrontare di petto il loro stesso mondo, che cosa possono contro dei gatti randagi che vivono ogni loro giorno come se fosse l’ultimo?”
Rod ingoiò a vuoto, visibilmente turbato da quell’aspettativa.
Uri ebbe pietà di lui e abbassò lo sguardo. “Stai tranquillo. Non ce ne sono altri come lui.”
“Papà! Papà! Urklyn vuole un altro biscotto!” Frieda saltellò fino al loro tavolo e il genitore gli passò quello che chiedeva.
“Questo è l’ultimo,” l’avvertì il padre.
Sotto la frangia di capelli corvini, Frieda s’imbronciò. “È lo zio il re, decide lui.”
Uri sorrise. “Dai retta a tuo padre, Frieda.”
La bimba sporse le labbra e se ne andò sconsolata, con la testa reclinata di lato per la delusione.
“Ci prova sempre con te,” notò Rod, tornando a bere il suo caffè.
Uri la guardò allontanarsi. “È così allegra e solare,” commentò. “È curiosa, vuole sapere tutto ed è impossibile mentirle.”
“Anche tu eri così, ti somiglia tanto,” disse suo fratello con inclinazione malinconica. “Sempre pronto a tediare nostro padre con teorie, quesiti... Eri pieni di entusiasmo, di voglia di fare, di cambiare le cose. Ora ti guardo e non so chi sei.”
Uri sorrise tristemente. C’era stato un tempo in cui lui e Rod erano stati complici, pronti a cambiare insieme quel mondo, a rivoluzionare quella prigione fatta di alte mura per restituire all’Umanità la sua dignitià e libertà. Tutto era finito il giorno in cui Uri era stato scelto come erede da suo padre e, uccidendolo, aveva assassinato anche una parte di lui.
“Temo di non saperlo più nemmeno io,” rispose, mentre un nodo gli stringeva la gola.
Altri tre colpi di pistola mandarono definitivamente in frantumi la pazienza di Rod. “Adesso basta!” Urlò, battendo entrambe le mani sul tavolo. “Vuoi darci un taglio, Kenny?!”
“Rod…” Uri allungò la mano per toccare il braccio del fratello, ma il danno era già fatto.
Kenny rifoderò la pistola e recuperò il capello abbandonato sull’erba. “Hai qualcosa problema, fratello del re?”
Uri gli lanciò un’occhiata storta: non gli piaceva quando usava il complesso d’inferiorità di Rod solo per dargli sui nervi.
Suo fratello fece il grave di errore di pensare di avere il coltello dalla parte del manico: “se ti annoi, vai in città e sfogati in un borde-“
La situazione precipitò velocemente: Kenny puntò la pistola sotto il mento di Rod, fissandolo dall’alto in basso con un ghigno derisorio. “Te lo ripeto: hai qualche problema?”
Uri si alzò in piedi e si frappose fra i due. “Basta così, Kenny,” con voce gentile ma ferma. “Ci sono i bambini.”
L’assassino lo guardò e tornò a indossare un’espressione annoiata. “Era per ridere.”
Si allontanò da Rod e questi dovette appoggiarsi al tavolo Perchè le gambe non lo reggevano. “Sei completamente malato di testa!”
“Può darsi…” Kenny si aggiustò il cappello sopra la testa. “Per la cronaca, non ho bisogno di pagare per svuotarmi le palle, a differenza tua, Rod. Maestà.” Lanciò uno sguardo a Uri. “Maestà.”
Non gli stava chiedendo il permesso e Uri non perse tempo a darglielo.
Kenny tornò sulla riva del lago a sparare alle sue bottiglie e nessuno osò lo disturbò più.
Che Kenny Ackerman non aveva bisogno di pagare perchè una donna gli concedesse le sue attenzioni, era una cosa che Uri aveva scoperto da solo.
Nonostante gli piacesse fare baccano e s’impegnasse molto per avere tutti gli sguardi su di sé quando entrava in una stanza - se erano scandalizzati o intimiditi ancor meglio - Kenny non era un tipo molto socievole. Uri era certo che perdesse tempo a fare una conversazione degna di tale nome solo con lui e questo, intimamente, lusingava il giovane Re.
Quando aveva bisogno di compagnia, però, non era affatto timido. Uri aveva cominciato a osservarlo da subito, ma Kenny non si era davvero sentito a suo agio tra le mura dei Reiss per diversi mesi. Non appena si era sentito padrone del territorio, Uri aveva cominciato a notare i primi cambiamenti. Alcune delle giovani donne della servitù quasi gli davano confidenza e, quando passava, le ragazzine lo guardavano di nascosto.
Kenny Ackerman era un bell’uomo nel fiore degli anni, che nulla aveva a che spartire con i nobili grassi e viscidi a cui le fanciulle della servitù erano abituate. Era alto, molto alto e quegli occhi di ghiaccio non erano qualcosa di comune. L’aria tenebrosa che si trascinava dietro, inoltre, non faceva che contribuire a quel fascino pericoloso che faceva rabbrividire le gran dame sotto i loro corpetti stretti, a braccetto di un marito che non si era mai disturbato a dare loro piacere.
A un certo punto, Uri aveva cominciato a contarle.
La lavandaia che appendeva il bucato sul retro della tenuta, a cui era saltato un bottone della camicetta. La governante, sempre impeccabile, che aveva sorpreso a metà giornata con un ciuffo di capelli in disordine - Uri non ricordava di averla mai vista senza il suo chignon. Una volta aveva chiesto a una delle cameriere di farlo chiamare e Uri aveva contato i minuti - ventidue per la precisione - che Kenny aveva impiegato per salire una rampa di scale di venticinque gradini. Quella volta, a Uri aveva dato fastidio e, anche se non glielo aveva detto, Kenny se ne era accorto e la cosa lo aveva divertito.
Uri non lo aveva mai beccato sul fatto e alla parte più immorale e meno ragionevole di lui dispiaceva. Aveva colto Kenny Ackerman nell’atto di ucciderlo, ora voleva beccarlo in un momento di totale vulnerabilità.
Uri non riusciva a immaginarsi Kenny vulnerabile. Qualcosa gli suggeriva che non perdesse il controllo nemmeno durante il sesso, ma erano solo sue supposizioni, nulla di più. Quel che era certo, e Uri ne aveva la prova sui visi delle donne con cui sapeva che la sua guardia del corpo si era intrattenuta, era che Kenny Ackerman sapeva fare l’amante.
Tra le sue conquiste non c’erano ragazzine facili da illudere, solo donne che sapevano quello che volevano e se lo prendevano pretendendo in cambio solo un amplesso che ne valesse la pena. Kenny doveva abbracciare la loro stessa filosofia riguardo al sesso perché le accontentava tutte e non si guardava mai indietro.
No, Kenny non aveva davvero bisogno di spendere soldi per avere un po’ di piacere quando ne aveva voglia, ma non si poteva dire che non lo facesse con buon senso.
A un certo punto, durante il processo che aveva spinto Uri a interessarsi all’uomo che si nascondeva dietro l’assassino, il giovane Re aveva deriso in segreto tutte le nobili che lasciavano gli occhi addosso alla sua guardia del corpo solo per rimanere a mani vuote. Giocare agli amanti con una donna di basso rango poteva essere divertente per entrambe le parti, ma Kenny conosceva la sua posizione al fianco di Uri e non l’avrebbe mai messo in ridicolo infilandosi nel letto di un nobile per capriccio.
Kenny non era come Rod. Non abusava del suo potere per ottenere tutto quello che voleva dalle donne senza temere le conseguenze. Il sesso non era diverso da un’arma nei salotti di corte e nei giochi di potere. Kenny si era preso gioco del governo troppo a lungo per farsi distrarre da una bella donna e perdere di vista l’obiettivo. Solo per una faceva un’eccezione, l’unica che Uri non aveva mai visto e se anche se non gli era fedele, le era legato abbastanza da tornare nella Città Sotterranea quasi tutte le notti.
Rod non era a conoscenza di quell’abitudine del suo cane da guardia o avrebbe sicuramente urlato al complotto. Uri non aveva ragione di dubitare di Kenny semplicemente perché non glielo nascondeva.
“Tornerò domani in mattinata,” diceva, prima di andarsene. Non gli chiedeva mai il permesso ma non tradiva mai la parola data.
Per quanto irragionevole suonasse alle orecchie di Rod, Uri si fidava di Kenny e alcuni atteggiamenti dell’Ackerman lo persuadevano a credere che il sentimento fosse ricambiato.
Una cosa era certa, qualsiasi legame si stesse creando tra loro, Kenny non aveva abbassato la guardia. Le sue amanti erano distrazioni, ma Kenny Ackerman non era mai distratto. Uri, al contrario, lo era eccome.
Quando Kenny non c’era, gli mancava.
Parlavano. Parlavano un sacco, l’erede dei Reiss e quello degli Ackerman e Uri si chiedeva se quel genere di affinità fosse la stessa che aveva tenuto vicine le loro famiglie per generazioni, prima delle persecuzioni, o se era solo una coincidenza. Nel suo piccolo, gli piaceva definirlo miracolo.
Un giorno, durante una partita a scacchi, glielo aveva detto.
“Miracolo?” Come previsto, Kenny lo guardò come se fosse un completo idiota. “Hai tutta la conosceva e la forza di questo mondo e riesci ancora a credere nei miracoli?”
Uri sorrise paziente, sporgendosi sulla scacchiera per fare la sua mossa. “Penso che la parte di me di crede nei miracoli sia l’unica che posso definire solo mia.”
Kenny lo guardò con le sopracciglia inarcate. “Stai di nuovo parlando di cose che puoi solo spiegare a metà e che mi danno sui nervi perché non le riesco a capirle?”
“Nemmeno io conosco tutto di te,” replicò Uri.
Kenny sbuffò. “Bugiardo…”
Il Re reclinò la testa da un lato. “Mi vuoi far credere che in questi mesi hai abbassato tutte le tue difese?”
La guardia del corpo ghignò. “Non ci provare.”
“Non posso farlo, Kenny,” replicò Uri. “Potrei con tutti ma non con te.”
Kenny mosse un pedone nero. “Per questo Rod voleva uccidermi prima di subito ma tu, no, perché giustiziare l’unico uomo su cui i tuoi poteri non hanno alcun effetto?”
“Ho deciso di darti fiducia.”
“E sei stato un folle.”
Uri inarcò un sopracciglio, divertito. “Stai dando ragione a mio fratello?” Era una novità.
“No, è solo molto facile prevedere i suoi pensieri,” spiegò Kenny. “Per questo tuo padre non lo ha scelto come erede.”
Uri mosse uno scacco a caso. Non gli importava della partita, voleva solo che la guardia del corpo continuasse a esporgli i suoi pensieri. “E i miei?” Domandò, studiando i lineamenti dell’altro alla luce del fuoco che scoppiettava nel camino. “Riesci a leggere i miei pensieri?”
Kenny ricambiò l’occhiata inquisitoria e smise di concedere alla scacchiera tutta la sua attenzione. “Quando ti sei inginocchiato, lo hai fatto per senso di colpa,” disse. “Non conosco il tuo potere e non credo che mi permetterai mai di farlo. Di due cose sono certo: su di me non ha effetto e su di te ha un potere distruttivo che a stento riesci a sopportare.”
A quel punto, Uri non riuscì a reggere il suo sguardo. Sorrise amaramente, guardando le lingue di fuoco che divoravano la legna nel camino. “C’è dell’altro?”
“Sì,” proseguì Kenny. “Ero un minaccia, punto e basta. Scegliere di uccidermi sarebbe stato logico, semplice. Tipico di Rod, più di lì non può arrivare, troppo idiota. Io, invece, ho pensato che lo avessi fatto per comodità: sono l’unico al mondo che può tenerti testa e sai che se decidessi di ucciderti una seconda volta, non mi presenterei impreparato. Come alleato, però…” La guardia del corpo scrollò le spalle. “Ma io non sono qui per questo. Non c’è nessuna strategia ragionata dietro la scelta di volermi al tuo fianco. Il motivo per cui mi hai risparmiato è molto più irrazionale: lo hai fatto per andare contro qualcosa.”
Quelle parole presero Uri di sorpresa. “Spiegati.”
“Non lo so,” ammise Kenny. “Combatti contro qualcosa d’invisibile ogni minuto di ogni fottuto giorno. È uno dei motivi per cui mi affascini.”
Uri sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso. “Io ti affascino?”
Kenny gli lanciò un’occhiata eloquente, dalle sfumature divertite. “Sei l’essere più forte di questo mondo di merda e ogni volta che ti guardo hai quell’espressione impotente” disse. “Come faccio a indovinare i pensieri di una creatura come te?”
Uri non poteva dirgli che con quella conversazione aveva dimostrato di conoscerlo meglio di chiunque altro, persino di suo fratello. Non poteva perché Kenny aveva aggirato le sue difese senza sforzo e lui ancora - l’essere più potente di quel fottuto mondo, lo aveva chiamato e se non avesse avuto un nodo a stringergli la gola, avrebbe riso amarante - non era riuscito a fare breccia nel muro impenetrabile dell’assassino.
Kenny allungò il braccio sulla scacchiera e fece la sua ultima mossa. “Scacco matto,” disse con un ghignetto vittorioso, poi si alzò in piedi.
Uri lo guardò recuperare la giacca e il cappello. “Dove vai?” Domandò, anche se immaginava già la risposta.
“Nella Città Sotterranea,” rispose Kenny. Nessun dettaglio in più, nessuna spiegazione. Non era tenuto a dargliele. Era il Re, avrebbe potuto pretenderle ma sapeva che avrebbe dovuto pagarne il prezzo.
“Sai già quando tornerai?” Si limitò a chiedere Uri.
“Mi servono un paio di giorni.”
Il Re si limitò ad annuire.
“Sei di pessimo umore.” Negli anni, Rod aveva sviluppato un fastidioso talento nel diventare attento alle sue emozioni solo quando sarebbe stato meglio lasciarlo in pace.
Di fatto, Uri ignorò deliberatamente il commento. “Per quale ragione devi lasciare qui Frieda?” Domandò, anche se sarebbe stato più corretto chiedere quale amante. “Dov’è Urklyn?”
“Con sua madre.”
Il Re inarcò le sopracciglia. “E perché Frieda non può restare con la madre?”
La cameriera - una fanciulla che non poteva avere nemmeno vent’anni - intervenne sulla scena per servire la colazione. La risposta di Rod tardò ad arrivare perché si premurò di studiarla con attenzione da capo a piedi.
“Che cosa c’è?” Domandò irritato, quando la fanciulla se ne andò e si ritrovò ad affrontare l’espressione giudicante di suo fratello.
Uri strinse le labbra e scosse la testa. “Dov’è Frieda?”
“Di sopra, nella sua stanza.”
“Non me l’hai nemmeno fatta salutare.”
“Ha la febbre. Si è addormentata in carrozza.”
Uri sgranò gli occhi. “Siamo quasi a novembre.”
“Sì e con questo?”
“L’ha portata fuori di casa con questo tempo mentre ha la febbre?”
“Mia moglie è incinta,” spiegò Rod, esasperato. “Non può stare con la bambina mentre è malata. È rimasta nei miei appartamenti fino a oggi, ma ho del lavoro da svolgere a Shiganshina e se non ci sono io, cerca te.”
Uri non sapeva se lo rendeva più perplesso la notizia della terza gravidanza di sua cognata o il fatto che Rod si stesse spingendo fino ai confini delle Mura per lavoro. Quest’ultima questione ebbe la meglio: “che cosa vai a fare a Shiganshina?”
Rod si versò una tazza di tè, poi si guardò intorno per assicurarsi che la sala da pranzo fosse vuota. Tanto per assicurarsi che nessuno udisse quella conversazione nemmeno per sbaglio, si sporse verso il fratello. “Il cane da guardia è fuori?”
“Sì, Rod, Kenny non è qui,” confermò Uri e il tono infastidito, seppur controllato, con cui lo disse diede a Rod un indizio sul motivo del suo malumore.
“Avete litigato?” Domandò suo fratello.
“No,” rispose Uri. Kenny aveva solo confessato di essere affascinato da lui prima di correre dalla sua amante nella Città Sotterranea. Non era una buona ragione per essere risentito, non quando erano l’uno per l’altro solo il Re e la sua guardia del corpo. Il fascino reciproco era una giustificazione più che sufficiente per spiegare come mai il tempo passato insieme fosse tanto piacevole.
C’era un’affinità, nulla di più. Kenny lo aveva saputo capire meglio degli altri perchè per sua natura era un uomo attento a tutto.
Se Uri provava dell’altro, era solamente colpa sua.
Rod storse il naso. “Ha fatto qualcosa che ti offes-?”
“Dimmi perché devi andare a Shiganshina,” insistette Uri.
“I miei uomini hanno trovato qualcosa d’interessante e voglio andare a controllare.”
Il giovane Re assottigliò gli occhi. “E perché non puoi aspettare che torni Kenny?”
“Non è un lavoro adatto al tuo cane da guardia.”
“Parla chiaro, Rod,” ordinò Uri. Non gli piaceva usare quel tono, specialmente con la sua famiglia ma suo fratello non si occupava mai di nulla che non gli portasse qualche guadagno.
“Ho trovato altri membri della famiglia Ackerman nelle vicinanze di Shiganshina,” confessò Rod con un ghigno vittorioso. “Non credo siano parenti diretti di Kenny, ma-“
“No.” Uri non lo lasciò nemmeno finire di parlare.
Rod sbatté le palpebre un paio di volte. “Cosa?”
Il Re scosse la testa. “Non farai niente a quelle persone,” disse Uri fermamente.
Suo fratello prese un respiro profondo, come se stesse perdendo la pazienza. “Uri-“
“Non uccideremo delle persone che non ci hanno fatto niente!”
Rod gli strinse il braccio. “Abbassa la voce!”
Uri si tirò indietro. “Mi fai male,” si lamentò, ma riuscì a liberarsi da solo. “Basta, Rod. Abbiamo massacrato quella famiglia abbastanza.”
Rod lo inchiodò con lo sguardo. “Non possiamo correre rischi!”
“Quali rischi? Gli Ackerman non ci hanno mai fatto niente. Non puoi condannare intere famiglie perché un uomo disperato ha tentato di-“
Rod si alzò con tanta violenza che la sua sedia cadde all’indietro. “Smettila di giustificarlo!” Urlò, fuori di sé. “Nemmeno lui dovrebbe essere qui! Avresti dovuto ucciderlo come il cane che è!”
Uri strinse le labbra. Rimase seduto ma i suoi occhi divennero gelidi, penetranti come due lame. “Non sono tenuto a giustificarmi,” disse. Non gli parlava più da fratello, ma da sovrano. “Kenny fa il lavoro sporco per me quanto per te. Pensi che non mi dica che tu gli abbia ordinato di chiudere la bocca a due delle tue amanti?”
Tutta l’aggressività sul viso di Rod sparì e prese ad aprire e chiudere la bocca come un pesce fuor d’acqua. “Non… Non avrebbe dovuto-“
“Certo che doveva!” Esclamò Uri. “Sei tu che lo consideri un cane, ma sceglie a chi essere leale e, credimi, non ti conviene alimentare la sua antipatia nei tuoi confronti.”
Rod reclinò la testa da un lato. “Ma di cosa stiamo parlando?” Era indignato. “È vivo per un tuo capriccio. È un nostro schiavo, non può decidere quali ordini eseguire e quali no!”
Spazientito, Uri si alzò dal suo posto. “Lo vedi? È per questo atteggiamento che i Reiss sono riusciti a inimicarsi gli Ackerman,” disse con voce amara. “E non posso nemmeno biasimarli.”
Per lui la discussione era finita, ma Rod aveva ancora qualcosa d’aggiungere. “Dov’è adesso Kenny?”
“Nella Città Sotterranea.”
“E perché?”
Uri non aveva una risposta a quella domanda. Se l’era posta innumerevoli volte e una donna era stata l’unica giustificazione che era riuscito a dare alle continue assenze di Kenny, ma questo a suo fratello non poteva dirlo. Rod non doveva sapere che c’erano aspetti della vita di Kenny che non conosceva, che lo turbavano, che si fidava di lui ma lo sentiva sfuggente.
Kenneth Ackerman era un uomo troppo pericoloso perché un Reiss - il Re stesso! - potesse avere tante titubanze nei suoi confronti. Rod non aspettava altro che mettere in discussione la sua decisione di tenere Kenny con sé e Uri non poteva permetterselo, non quando l’altro gli aveva promesso che sarebbe tornato in tre giorni e quello era il sesto che non si faceva vedere.
Se Uri avesse cominciato a dubitare di lui e se Rod fosse venuto a sapere della sua condotta, nemmeno un capriccio del Re lo avrebbe salvato dall’accusa di tradimento alla corona.
“Gli hai dato un consiglio su come sfogarsi,” gli ricordò Uri. “Lo ha colto al volo.”
A Rod quella risposta piacque tanto che rise. “Alla fine, anche Kenny lo Squartatore è un uomo come tutti gli altri.”
Uri credeva fosse migliore di molti ma non era la conversazione giusta per confessarlo. Si limitò a fare a pezzi il divertimento di suo fratello sul nascere. “Se un solo soldato lascia Mytras senza il mio permesso per andare a Shiganshina, lo verrò a sapere Rod,” lo avvisò. “E ci saranno delle conseguenze.”
Rod non lo prese sul serio. Tornò a interpretare il ruolo del fratello maggiore nel tentativo di rabbonirlo, superò il tavolo e gli strinse le spalle con affetto. “So che non mi faresti mai del male, fratello mio.”
Era vero. Uri, però, aveva ereditato dai Reiss la capacità di guardare altrove mentre il mondo cadeva a pezzi. “No, hai ragione,” disse, tristemente. “Ma anche il padrone con la mano più ferma ha difficoltà a tenere a bada un cane quando è arrabbiato.”
Il sorriso fraterno di Rod si spese in un battito di ciglia e anche le sue mani smisero di toccarlo. “Attento a chi scegli di avere vicino, Uri,” lo avvertì. “Io sono la tua famiglia. Quell’uomo è un assassino che si è macchiato di centinaia di morti.”
“Anche nostro padre era parte della famiglia,” replicò Uri con un freddezza che ebbe difficoltà a riconoscersi. “Non mi sono tirato indietro quando ho dovuto ucciderlo.”
Uri non era una vittima della sua famiglia. Suo padre non si era mai fatto scrupoli a preferirlo a Rod, ma era stato lui a iniettarsi il siero quando era arrivato il suo tempo. Nessuno lo aveva costretto.
Aveva scelto di essere Re. Aveva scelto di uccidere suo padre ed ereditare il suo potere. Aveva scelto di portare il peso di quella maledizione. Quella era la storia che sapevano tutti. Ciò di cui nessuno si era accorto era che Uri Reiss era morto nel giorno della sua incoronazione, insieme alla sua umanità.
A Kenny Ackerman, invece, era bastato guardarlo negli occhi per capirlo.
Quel pensiero lo tormentò per tutto il giorno che seguì la visita di Rod. Suo fratello gli aveva giurato che avrebbe rispettato il suo volere e non sarebbe andato a Shiganshina. Uri non si fidava. Non riusciva a farlo.
Rod aveva fatto appello al loro legame di sangue e, per tutta risposta, Uri aveva pensato che si sarebbe sentito più al sicuro con Kenny al suo fianco.
Kenny, però, non era lì. Gli aveva dato la sua parola che sarebbe tornato in tre giorni e non l’aveva rispettata. La ragione suggeriva a Uri che non era normale, che doveva essere successo qualcosa, ma quella emotiva non ne voleva sapere. Continuava a pensare a Kenny che smascherava la sua fragilità senza giudicarlo, poi si ricordava che aveva - lui, un uomo che non si era mai curato della scia di sangue che si era lasciato alle spalle - una buona ragione per ridiscendere all’inferno e Uri non sapeva nemmeno quale fosse.
“Sei triste, zio Uri?” Persino Frieda, con il faccino pallido e gli occhi azzurri lucidi per la febbre, riusciva a leggere nel suo sguardo meglio di suo padre, Rod.
Uri le rivolse un sorriso stanco, stirato. “Va tutto bene, piccola,” disse, rimboccandole le coperte. Aveva dato ordine alla balia di farlo chiamare se la febbre fosse salita. “Cerca di dormire.”
Le diede la buona notte con un bacio.
Nonostante la febbre, Frieda dormì. Il Re neanche un po’.
Nel cuore della notte cominciò a piovere.
Uri scese in cucina mentre la servitù era ancora a letto con l’intenzione di farsi qualcosa di caldo. Il tepore del fuoco lo accolse e lo prese di sorpresa non appena varcò la porta. Si guardò intorno ma non vide nessuno, solo entrando nella stanza si accorse della sedia posta di fronte al camino e della giacca madida che vi era appesa sullo schienale.
Vide il capello al centro del tavolo solo per ultimo e allungò la mano per toccarne il bordo bagnato. Un rumore dalla lavanderia seguito da un’imprecazione a bassa voce gli diede l’ultima conferma di cui aveva bisogno.
“Kenny?” Chiamò.
Dopo un attimo d’immobilità, l’uomo comparve sulla porta della lavanderia con solo i pantaloni addosso e i capelli bagnati tirati all’indietro. Suo malgrado, Uri fu divertito dall’espressione scocciata sul viso della sua guardia del corpo. “Sei stato sorpreso dal temporale.”
“Stavo cercando una camicia in lavanderia per non salire così,” disse, indicandosi. “Tu che cosa ci fai sveglio a quest’ora del cazzo?”
“Non riuscivo a dormire,” disse Uri, sinceramente.
Kenny superò il tavolo, passando alle spalle del sovrano, fermandosi di fronte al camino per scaldarsi.
“Sei scalzo,” notò Uri.
“Gli stivali sono ridotti una merda,” disse Kenny. “Chi la vuole sentire Margaret se sporco di fango il pavimento della sua cucina!”
“Chi è Margaret?”
Kenny fissò il sovrano con le sopracciglia inarcate. “Non conosci nemmeno i nomi di chi cucina il tuo cibo?”
Uri non aveva la risposta pronta: era una mancanza particolarmente grave quando si era a capo di una famiglia reale di cui la gente non conosceva l’esistenza.
La sua guardia del corpo fece una smorfia. “Se un pezzo di merda come me è riuscito ad arrivare direttamente a te e all’idiota, non dovrei sorprendermi.”
“Non sottovalutarti, se fossi stato umano non avrei avuto alcuna possibilità contro di te.”
“Fai del sarcasmo?”
“Forse…”
Kenny sorrise. Una ciocca corvina gli ricadde sul viso e si passò una mano tra i capelli per rimetterla al suo posto.
Quel sorriso. Quel maledetto, meraviglioso sorriso, promessa di una rivoluzione, di una libertà che Uri ancora non aveva il coraggio di assaggiare.
Il giovane Re dimenticò tutto e sorrise a sua volta.