[personal profile] odetjoy
[Cow-T Week 3/M1]



L'inverno era arrivato presto quell'anno: la prima neve era caduta a ottobre e non aveva più smesso. Per un popolo in guerra come quello di Eldia, quel manto bianco era come la mano della morte che si posava sulle loro teste e li invitava ad abbassarle prima del tempo. Solo con l’arrivo della stagione calda si sarebbe potuto fare un bilancio effettivo di quanto quel gelo avesse minato l’economia interna dell’isola di Paradise. Quello che era certo era che la situazione al fronte era invivibile: se le condizioni metereologiche lasciavano qualche giorno di respiro, ci pensava la diligenza con le provviste e i medicinali per i soldati ad arrivare tardi.
Eldia sopravviveva come aveva fatto in tutti quei secoli, ma la fortuna non era dalla parte della sua gente. Sebbene anche Marley stesse subendo le tragiche conseguenze di quell’inverno e avesse sospeso gli attacchi contro le coste di Paradise, la morte era volata su quel manto candido fino a raggiungere il cuore stesso di Eldia.
Ma non era stato il gelido vento dell’inverno a portarla fino a lì.
“Perdonami…” Uri passò la mano guantata sulla parte superiore della lapide per ripulirla dalla neve. “Ti porterei dei fiori ma il gelo li ucciderebbe…” Posò un ginocchio a terra sorridendo al nome tagliato con cura nella pietra: Kuchel Ackerman. 20 maggio 802 - 28 dicembre 825.
“È già passato un mese,” disse Uri con un sorriso triste, come se la sua amica fosse ancora lì e potesse udirlo. “Sembra molto di più, Kuchel. Ci manchi… Ci manchi tanto.”
La neve era alta intorno a lui: nessuno era tornato a prendersi cura della tenuta degli Ackerman dopo il massacro dei suoi signori. Tuttavia, l'ultimo erede della famiglia aveva preteso che sua sorella fosse sepolta a casa, dove era cresciuta e non in un cimitero di nobili che non avevano nulla a che fare con lei.
Uri lo aveva accontentato. Aveva voluto un funerale da nobile dama per la sua amica e nessuno aveva osato fare obiezioni. Ufficialmente, Kuchel Ackerman era morta di parto. Il processo era stato lungo e doloroso, avevano detto al resto della corte, e il bambino era nato sano e forte ma la madre era divenuta sempre più debole, ora dopo ora. Le sue condizioni erano peggiorate velocemente, al punto che il suo cuore aveva smesso di battere all'alba del terzo giorno di agonia.
Quella era la storia che il Re aveva scelto di definire verità e che gli era costata la persona più importante della sua vita insieme a Kuchel.
“Se ne è andato,” aggiunse, non sorrideva più. “È fuggito al fronte. Penso che lo abbia fatto per punirsi,” si umettò le labbra, “o per punire me. Oppure è scappato perchè non riesce ad affrontare la tua morte, non lo so più nemmeno io, Kuchel.”
Era troppo stanco per piangere ancora ma sapeva che le lacrime non erano finite, che non appena si fosse ritrovato da solo con i suoi pensieri, il dolore e la disperazione avrebbero avuto di nuovo il sopravvento. Solo una cosa convinceva Uri a restare in piedi e non gli apparteneva nemmeno.
“Sai…” Un altro, debole sorriso comparve sulle sue labbra. “In verità, ho cercato qualcosa da portarti nella serra del palazzo reale ma niente mi sembrava degno di te. Il fiore più bello di questo inverno lo hai regalato tu a noi.” Asciugò una lacrime sfuggita al suo controllo con il dorso della mano guantata. “Cresce…” Mormorò come se fosse una rassicurazione. “È bellissimo. È forte. Durante la notte, quando non riesco ad addormentarmi lo prendo in braccio, lo guardo e vedo te… E vedo lui.” Si umettò le labbra. “È proprio come dicevi tu: non ha importanza come sia stato concepito, in questa vita come nell'altra, quel bambino è figlio vostro. Vorrei solo che tu fossi riuscita a convincere tuo fratello di questo mentre eri ancora con noi,” un sospiro, “vorrei tanto mostrargli ciò che vedo io quando guardo Levi, Kuchel.”
La lapide di fronte a lui non gli offrì nessun consiglio nè alcuna rassicurazione. Kuchel Ackerman, la sola persona che gli fosse mai stata amica, non c'era più e la carezza gelida del vento invernale sulle sue guance non gli era di alcun conforto.
Udì la guardia che lo aveva accompagnato affondare gli stivali nella neve fresca e farsi più vicino. “Si sta facendo buio, Maestà.”
Uri annuì, si chinò e posò un bacio sulla pietra fredda. “Lo riporterò a casa,” promise, alzandosi in piedi. “Kenny crescerà Levi, te lo prometto.”


"Sei in ritardo." Lo accolse Rod. Era seduto sulla poltrona di fronte al caminetto e gli rivolgeva lo stesso sguardo che Uri aveva visto tante volte sul viso del padre di cui avevano provocato la morte.
Il giovane re non ebbe il tempo di replicare o di fingersi dispiaciuto per l'espressione annoiata che animava il viso di suo fratello, Frieda gli corse incontro accogliendolo con calore. "Zio Uri!" Cinguettò allegra. "Sei tornato!"
Uri la prese in braccio, la strinse. "Scusa il ritardo, Frieda."
"Non fa niente," disse la bambina, premendo le piccole mani contro le sue guance. "Sei freddo.”
Uri sorrise. "Nevica ancora fuori, l'auto ha fatto fatica lungo la strada."
Rod si alzò in piedi. "Vieni, Frieda, saluta tuo padre."
Uri la lasciò andare e la bambina si avvicinò al genitore ubbidientemente. Rod si chinò e posò un bacio sulla fronte di sua figlia, mentre Uri si guardava intorno, cercando la seconda persona a cui aveva affidato i bambini prima di andarsene. "Dov'è la balia?"
"Ha addormentato il piccolo e se ne è andata," rispose Rod distrattamente, posando una carezza tra i capelli corvini di Frieda per non essere costretto a guardare suo fratello negli occhi.
Uri le aveva ordinato di non lasciare i bambini da soli fino al suo ritorno e dubitava che Susan, fanciulla timida e gentile, gli avesse disubbidito di sua volontà. "Che cosa le hai fatto, Rod?"
Gli era sembrato naturale invitare suo fratello a passare del tempo con Frieda in sua assenza, ma non aveva considerato la pericolosità di lasciare una giovane innocente in compagnia di Rod.
"Niente," mentì suo fratello.
"Che cosa le hai fatto, Rod?"
"Papà se ne va, Frieda." Rod le diede un secondo bacio. "Perché non fai un bel disegno per la mamma la prossima volta?"
La mamma. La donna che aveva abbandonato la sua bambina in fasce alle cure del re perché nata femmina.
"Va bene, papà.” Frieda tornò ai suoi giocattoli sparsi sul tappeto di fronte al fuoco.
Uri non disse nulla di quello che avrebbe voluto, ma il suo sguardo fu sufficiente a far sentire Rod in difetto. "Non sei nella posizione di giudicarmi, Uri."
Il re si fece più vicino e controllò con la coda dell'occhio che Frieda non li stesse ascoltando. "Hai molestato quella ragazza mentre tua figlia era qui?"
"Non l'ho toccata con un dito. Ha solo frainteso le mie parole e se ne è andata."
Uri strinse le labbra e abbassò gli occhi sulla bambina che giocava alla luce del focolare: non era nè il luogo nè il momento per affrontare quella conversazione. "Buona notte, Rod," disse con la stessa cortesia che avrebbe rivolto a un estraneo. Eppure, c'era stato un tempo in cui erano stati fratelli e non solo per una questione di sangue. O, forse, non lo erano mai stati. Forse, come era accaduto con Kenny, Uri aveva sentito qualcosa che non era mai esistito.
Sorprendere se stesso a paragonare il suo uomo a suo fratello non gli fece piacere per niente. Rod, però, non lo torturò con la sua presenza ancora a lungo, si trattenne sulla porta il tempo necessario per dargli il colpo di grazia. "Notizie da Ackerman?"
Conosceva benissimo la risposta da sè, lo aveva domandato per il puro gusto di vedere gli occhi azzurri di Uri velarsi di dolore.
"No. Nessuna notizia dal fronte."
"Non era alla situazione al fronte che mi riferivo."
"È tardi, Rod," replicò Uri. "Devo mettere a letto Frieda e il sole sorgerà presto. L'inverno non è ancora finito e ci sono molte cose di cui mi devo occupare."
Come se si fosse ricordato solo in quel momento con chi stava parlando, Rod chinò la testa in segno di rispetto. "Maestà," lo salutò.
Non appena si richiuse la porta alle spalle, l'aria nella stanza divenne improvvisamente respirabile. Uri sospirò e s'inginocchiò sul tappeto, di fronte a Frieda. "Tesoro, Susan dove ha messo a dormire Levi?"
Il viso della bambina s'illuminò di colpo. Lasciò andare i suoi giocattoli e afferrò la mano dello zio. "Nella camera grande!"





La camera dei bambini era all'interno degli appartamenti privati che Uri aveva diviso con Kenny fin dall'adolescenza. In principio, anni prima dell'arrivo di Frieda e Levi, quella stanza era appartenuta al giovane Ackerman in quanto guardia del corpo dell'erede al trono. In seguito, con l'evolversi del loro legame, passare la notte in due camere differenti aveva smesso di essere una necessità. Anche ora, dopo la partenza di Kenny, Uri non dormiva solo: il destino gli aveva portato via un Ackerman solo per donargliene un altro.
La porta della stanza era socchiusa. Il Re la spinse con la mancina, la lampada a olio stretta tra le dita della mano destra: l'elettricità se ne era andata da settimane a causa della neve e anche al palazzo reale si erano dovuti adattare. Non appena vide due occhi assonnati guardarlo dal centro del grande letto, Uri sorrise. "Sei sveglio, Levi?"
Posò la lampada a olio sul comodino e si sedette di fronte al neonato. Frieda lasciò andare la sua mano per arrampicarsi sul materasso.
"Con gentilezza, Frieda," le ricordò Uri.
La bambina annuì distrattamente, guardando Levi che, ancora mezzo addormentato, si stiracchiava tra le sue copertine. Gli occhi incolori rivolsero a Frieda un'occhiata veloce, poi riservarono a Uri tutta la loro attenzione.
"Scusami," disse il giovane Re, coprendo con il palmo il piccolo petto. "Mi sono trattenuto con la mamma più del previsto."
"Sei andato a parlare con zia Kuchel?" Domandò Frieda.
Uri annuì, accarezzando i folti capelli corvini sulla testa del neonato.
"Ti manca?" Si preoccupò la bambina.
"Sì," ammise. "Mi manca molto." Anche la lontananza di Kenny sarebbe stata sopportabile con lei accanto. Uri scacciò quel pensiero con un sorriso triste: se sua sorella non fosse stata uccisa, il giovane Lord Ackerman non se ne sarebbe mai andato dalla corte di Paradise. Kenny aveva già abbandonato Kuchel una volta e le conseguenze gli avevano inferto una ferita di cui non si era mai lamentato ad alta voce ma che non era mai guarita del tutto. Kenny sarebbe rimasto per lei, avrebbe cresciuto Levi per amor suo. L'unica colpa di Kuchel, in quella vita come nella precedente, era quella di aver dato alla luce l'incarnazione delle Ali della Libertà. Uri era colpevole di peccati innominabili e quando a questi si era aggiunto anche l'omicidio dell'ultima Lady Ackerman, Kenny non era più riuscito a perdonarlo.
Levi era stato solo un evento collaterale di quella tragedia. Kenneth Ackerman non aveva abbandonato il figlio di sua sorella, non davvero, era Uri quello che stava punendo.
"Zio Uri?" Lo richiamò Frieda.
Levi aveva preso a studiare le sue dita con attenzione e il Re non smise di guardarlo mentre dava a sua nipote il permesso di parlare.
"Anche zio Kenny non torna più?" Domandò la bambina.
Il sorriso di Uri morì. "Frieda…" Non rispose alla sua domanda. "Vuoi dormire qui con me e Levi questa notte?"
La Principessa sorrise entusiasta.




Uri aspettò che entrambi i bambini si fossero addormentati profondamente prima di alzarsi dal letto. Recuperò la lampada a olio dal comodino e si sedette alla scrivania dal lato opposto della stanza. C'era ancora della carta da lettere nel cassetto e nessuno aveva spostato la boccetta d'inchiostro e la piuma d'oca dal loro posto.
Uri li ignorò entrambi per dei minuti infiniti, poi chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e, mentre intingeva la penna nella china nera, dimenticò la ragione, l'orgoglio e lasciò che a scrivere fosse il suo cuore infranto: caro Kenny.

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