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CowT#9 Settimana 7: M7 "Tempo"


Lo Huston Pub si trovava perfettamente a metà strada tra la Galaxy Garrison e la città da cui prendeva il nome. Non era nulla di speciale, solo il casolare di una vecchia fabbrica riadattato con un bancone da bar, qualche decina di tavoli, un paio di divanetti e un impianto dolby surround che, almeno una sera a settimana, emetteva quei suoni molesti che la nuove generazioni chiamavano musica e andava avanti fino al mattino.
Non era assolutamente il genere di posto che Adam amava frequentare. Quel venerdì sera non era previsto alcun intrattenimento tanto caotico da sfondare i timpani persino a un pilota abituato al rumore del motore di un jet, ma la sala era sovraffollata e l’aria era irrespirabile.
Eppure, Adam era lì proprio per quello, per coprire con il vociare di decine di sconosciuti la totale assenza di rumori che dominava il suo appartamento.
Gli dava fastidio tutto l’ordine che trovava ogni volta che rientrava dal suo turno di lavoro, gli chiudeva la bocca dello stomaco trovare ogni cosa dove l’aveva lasciata. Spesso nell’ultimo periodo si era ritrovato ad accendere il televisore senza guardarlo solo perchè il silenzio che lo circondava era assordante.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che Adam aveva avuto degli spazi personali, che non fossero condivisi con altri persone e risalivano ai giorni della sua pre-adolescenza, quando ancora aveva una camera tutta sua nella casa dei suoi genitori.
Arrivato alla Galaxy Garrison, aveva imparato a convivere con un’altra persona.
”Ciao, io sono Takashi… Takashi Shirogane, ma tutti mi chiamano Shiro.”
La sua fortuna era stata aver avuto più di un decennio per farci l’abitudine.
Quel venerdì sera, seduto al bancone di un pub dalle luci troppo basse per i suoi occhi stanchi, Adam si chiese se ci sarebbe voluto altrettanto tempo per farsela passare.
Tempo. Era la miglior medicina per tutto, dicevano.
Ma cosa intendevano realmente? Che sarebbe guarito o che si sarebbe abituato al dolore abbastanza da saperci convivere.
Tempo. Da ragazzino, trascinato dall’irrazionalità dell’adolescenza, si era fermato a guardare le stelle con Takashi ed aveva pensato che quel momento poteva essere eterno. Forse non quello in particolare, ma il sentimento che lo aveva caratterizzato sì. Aveva pensato, in un raro momento poetico, che fin tanto vi fossero state delle stelle in cielo, per lui e Takashi ci sarebbe stato ancora tempo per stare insieme, per viversi, per amarsi.
Pochi anni dopo avevano scoperto che a loro - a Takashi in particolare - non era concesso nemmeno quello necessario per invecchiare insieme.
Bevve l’ultimo sorso di birra in un colpo solo. Il bicchiere emise un rumore sordo quando lo poggiò sul bancone, ma Adam se lo rigirò tra le mani ancora per un po’. Poteva ordinare la sua terza birra della serata, oppure ammettere la sua sconfitta contro la solitudine e tornare a casa nella speranza che la stanchezza avesse la meglio prima del peso del silenzio.
Adam cercò di ricordare l’ultima volta che si era ubriacato e non sapersi dare una risposta precisa lo fece sentire molto più vecchio della sua età. Era uscito in auto e se non fosse stato in grado di guidare, avrebbe dovuto passare la notte sul sedile posteriore in un parcheggio buio nel bel mezzo del deserto.
Con un sospiro si alzò in piedi, prese la giacca dallo schienale dello sgabello e recuperò il portafoglio dalla tasca interna.
Meno di cinque minuti dopo, Adam era nel parcheggio buio del pub. Passare dal caldo soffocante all’aria fredda del deserto di notte lo fece rabbrividire e si strinse nelle spalle mentre camminava verso il vecchio pick-up. La doppia G arancione e bianca della Galaxy Garrison si leggeva appena sul lato dello sportello del guidatore, consumata dagli anni e dalla poca cura di tutti i suoi proprietari.
Quel ferro vecchio era diventato suo molto prima che potesse permettersi un auto di qualunque tipo. Adam lo aveva trovato per sbaglio nel deposito dei vecchi mezzi da smaltire dell’Accademia e aveva preteso di poterlo aggiustare.
“Se riesci a rimetterlo in moto è tuo,” aveva detto Iverson, certo del suo fallimento.
Era stata la prima e unica follia che Adam aveva fatto per amore.
”Hai mai sognato di fare l’amore sotto le stelle?”
Sospirò e i motivi che lo avevano condotto in quel pub a passare una squallida ora a bere birra da solo lo investirono per l’ennesima volta da quando il suo appartamento era divenuto la silenziosa tomba del suo cuore. Passò il palmo aperto sul logo scrostato, quasi stesse accarezzando un ricordo che faceva male ma che non aveva il coraggio di lasciare andare.
Non era certo di poterlo fare. Sì, c’erano persone che erano capaci di cancellare un’intera relazione con un colpo di spugna e sulla soglia dei venticinque anni, Adam aveva tutto il tempo di lasciare che il tempo facesse il suo corso. Tuttavia, la storia di cui aveva scritto la fine era quella di quasi la metà della sua vita. Dimenticare Takashi Shirogane equivaleva a dimenticare chi era Adam Wright e in che modo era diventato l’uomo di cui a stento vedeva l’immagine riflessa sul finestrino del pick-up.
Shiro faceva parte della sua vicenda umana, nel bene e nel male, e la ragione suggeriva ad Adam che il modo migliore per fare del bene a se stesso era imparare a convivere con il passato che avevano in comune e puntare al futuro senza voltarsi.
Ciò che lo fregava era il silenzio.
Il silenzio era divenuto il suo nuovo amante, era quello che lo accoglieva dentro casa alla fine di una giornata di lavoro, che lo svegliava al mattino e gli teneva compagnia nelle notti in cui gli era impossibile chiudere occhio.
Adam lo odiava ma quel venerdì sera aveva scoperto che nemmeno fuggire da esso, spezzarlo immergendosi in un ambiente saturo di voci, di odori, di vita, poteva servire da consolazione temporanea. Forse l’indomani le birre le sarebbe andate a comprare e se le sarebbe consumate sul divano, senza preoccuparsi che stordirsi troppo potesse rendere la sua guida pericolosa.
Adam doveva resistere fino a lunedì. Solo fino a lunedì, poi tutta quella storia avrebbe trovato una conclusione definitiva e allora si sarebbe costretto a muovere un passo in avanti.
Dopo il lancio, forse, il tempo sarebbe tornato a scorrere e lui avrebbe potuto cominciare a guarire.
Solo due giorni e dodici ore.
Allontanò la mano dal logo per infilarla in tasca e recuperare le chiavi.

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