The Gamore Chronicles: Premise
Feb. 9th, 2018 11:34 pmSua sorella Allura era nata sei anni prima di lui e tutti, alla corte di Altea, non facevano che ripetere quanto assomigliasse a sua madre. Lance, invece, non assomigliava a nessuno. Aveva due grandi occhi blu e la pelle ambrata ma i suoi capelli erano castani e non del regale candore che contraddistingueva la casa reale di Altea.
Non aveva mai conosciuto sua madre. Gli avevano detto che era morta poco dopo la sua nascita ma suo padre non parlava mai di lei in sua presenza, lo faceva solo con Allura. Molte volte, Lance si fermava davanti ai grandi ritratti di famiglia e si sedeva sul pavimento alla ricerca di una somiglianza, anche se piccola, con la donna che era stata la Regina di Altea.
Non aveva mai avuto fortuna. Avevano ragione i nobili di corte: Allura era il ritratto di sua madre.
E Lance continuava a non assomigliare a nessuno. Era un bambino amato, senza dubbio. Suo padre non perdeva occasione di giocare con lui, di mostrargli i suoi lavori. Nonostante fosse chiaro che Lance non sarebbe mai divenuto un grande chimico o uno spadaccino provetto, Alfor cercava d’insegnargli quello che sapeva, di coinvolgerlo anche quando non era necessario.
Allura, però, era diversa. Lei era l’erede e quando la guardava, gli occhi di Alfor s’illuminavano. Lance non percepiva quella stessa luce quando lo sguardo del Re si posava su di lui ed il sorriso amorevole che suo padre gli rivolgeva sempre non era sufficiente a cancellare quella differenza.
Lance amava Allura e sua sorella lo ripagava con lo stesso amore. Dove Lance, però, dimostrava devozione, Allura mostrava pazienza.
Nelle notti di tempesta, la Principessa accoglieva il fratellino nel suo petto e Lance sapeva di poter piangere tra le sue braccia, se ne aveva bisogno. Tutto ciò non bastava ad appianare la differenza tra di loro.
Allura era il sole e tutte le luci del Sistema di Altea. Lance era una stellina minuscola, visibile solo nelle notti più limpide e prive di luna.
Lance non odiava sua sorella. Non era colpa di Allura, se era migliore di lui e non era da biasimare se, invece di migliorarsi, Lance non faceva che collezionare un guaio dopo l’altro.
Di fronte all’ennesimo dei suoi fallimenti, Coran alzava gli occhi al cielo, suo padre gli concedeva una carezza e sua sorella lo aiutava a rialzarsi sorridendo. “Andrà meglio la prossima volta, Lance,” diceva.
E lui le credeva, anche se non accadeva mai.
Qualunque cosa facesse, rimaneva sempre la stellina che riusciva a brillare a stento. Così divenne più sorridente, più vivace, più rumoroso. Fece di tutto per farsi guardare, anche a costo di risultare noioso, irritante.
Essere mal giudicato non lo spaventava quanto essere invisibile.
Fu l’amicizia, però, a salvarlo dalla solitudine.
Keith fu il primo ad arrivare e l’ultimo con cui riuscì davvero a parlare. Arrivò al Castello di Altea stringendo saldamente la mano di Shiro –figlio adottivo di uno degli ambasciatori di Daibazaal e cresciuto un po’ tra i Galra ed un po’ tra gli Altean– e a nulla servirono i sorrisi incoraggianti di Lance, Keith continuò a nascondersi dietro al bambino più grande con caparbietà.
Shiro aveva l’età di Allura. Erano quasi cresciuti insieme ed erano molto amici.
Quando sua sorella giocava con Shiro, Lance sapeva di non doversi intromettere. Avrebbe voluto, però: Shiro gli piaceva e gli sorrideva sempre gentilmente quando lo salutava.
Con l’arrivo di Keith, quei pomeriggi di giochi tanto attesi da sua sorella finirono. Allura accettò di buon grado la presenza del nuovo bambino –era nato sulla Terra come Shiro, aveva detto Coran, ma era Galra per metà–, Keith non fu altrettanto democratico nell’accettare lei.
Mentre Lance instaurava un saldo legame di amicizia con Hunk e Katie, figli di due alchimisti della corte di suo padre, Allura pretese che suo fratello interpretasse il ruolo del diversivo per staccare –letteralmente– Keith da Shiro.
Funzionò… A metà.
Keith si convinse che il Principe di Altea non era poi una compagnia così noiosa e riuscì a provare simpatia anche per Katie e Hunk. Tutto questo a non più di dieci metri di distanza da Shiro.
Le giornate di sole che Allura e Shiro avevano condiviso fin da piccoli, divennero un caos di bisticci ed inseguimenti –la maggior parte delle volte, tra Lance e Keith. Da due, divennero un gruppo di sei… Sette, quando Matt, fratello maggiore di Katie e promessa dell’alchimia di Altea, si univa a loro e distoglieva l’attenzione di Shiro da Allura più di quanto Keith non facesse già.
Infine, arrivò Lotor.
Lotor, Principe dei Galra, unico figlio del Re Zarkon e della sua sposa Honerva, erede al trono di Daibazaal e futuro signore di tutte le colonie conquistate da suo padre. La prima volta che lo vide, Lance fece proprie emozioni come invidia e disprezzo. Non li aveva mai provati davvero, nemmeno noi confronti della sua amatissima sorella, nè per quell’antipatico di Keith.
Lotor era tutto quello che non ci si aspettava da un Principe Galra. Era alto ma non gigantesco, aveva lunghi capelli bianchi e due occhi color indaco che, sommati al potere persuasivo della sua voce, potevano incantare chiunque. Era viola, primo ed unico dettaglio che tradiva le sue origini Galra. Accanto a Zarkon, suo padre, creava un contrasto che era difficile non commentare.
Eppure, nel suo essere diverso, difettoso agli occhi del suo popolo, Lotor era la perfetta incarnazione del titolo di Principe. Era quello che Lance voleva essere e non sarebbe stato mai.
Prima di diventare Regina di Daibazaal al fianco di Zarkon, Honerva era stata la più grande alchimista di Altea.
Coran aveva raccontato a Lance e sua sorella che se non fosse stato per Alfor, quei due non si sarebbero mai sposati. Di fatto, Alfor era stato amico di entrambi per una vita ma erano state circostanze completamente diversi ad unirli: il talento e la passione per l’alchimia avevano fatto incontrare Alfor e Honerva e, per questioni politiche, la strada del vecchio Principe di Altea aveva inevitabilmente incrociato quella del giovane signore di Daibazaal.
“Si può quasi dire che se non fosse stato per Alfor, Lotor non sarebbe mai nato,” aveva scherzato Coran, una volta.
A Lance quel pensiero non piaceva. Era già difficile accettare che la sua corte avesse sotto gli occhi un Principe degno di tale nome, biasimare suo padre per la sua esistenza era più di quello che poteva sopportare.
Dopotutto, pur non vantando nessun diritto di eredità sul trono, Lotor apparteneva era un figlio di Altea almeno quanto lo erano Lance ed Allura.
Sua sorella aveva quattordici anni, Lance otto e mentre Shiro scivolava via lentamente dalla quotidianeità della Principessa, Lotor ne prendeva il posto.
Tuttavia, non con gli stessi effetti.
Allura e Lotor si tolleravano. In quanto eredi di due Regni alleati, erano costretti a farlo, a rivolgersi l’una all’altro con classe e diplomazia. Lance, alle volte, aveva occasione di assistere ai loro dialoghi di cortesia ed aveva l’impressione che, se avessero potuto, si sarebbero saltati alla gola a vicenda.
Per quanto riguardava lui, Lotor ignorava deliberatamente la sua presenza o, semplicemente, dimenticava che Lance esistesse e basta.
Il piccolo Principe era certo che se la sua mano non fosse stata stretta in quella di sua sorella durante tutti i loro incontri, Lotor lo avrebbe calpestato e si sarebbe scusato sostenendo di non averlo visto.
C’era qualcos’altro, però, che indispettiva Allura più della mera presenza del Principe dei Galra: questi e Shiro andavano molto d’accordo.
In quanto figlio di un ambasciatore di Daibazaal, Shiro aveva avuto occasione di passare tanto tempo con Lotor quanto con Allura.
A peggiorare la situazione era Keith. Il piccolo Galra non provava particolare simpatia per il suo Principe –non che fosse una grande novità– ma erano entrambi mezzo-sangue e tutti e due avevano particolare talento per la spada.
A otto anni, Lance si era spesso trovato affacciato alla balconata che dava sui giardini del Castello di Altea, mentre Shiro e Lotor insegnavano a Keith l’arte della scherma, del combattimento corpo a corpo e tutto quello in cui lui non sarebbe mai stato bravo. Per tutto il tempo, Allura era con lui e guardava il trio di Daibazaal con un’espressione che, ad otto anni di età, Lance non sapeva come interpretare.
Solo più avanti, crescendo, Lance si sarebbe reso conto che quelli erano di occhi con cui un cuore spezzato guardava il suo primo amore.
La svolta avvenne l’inverno successivo: Lotor venne richiamato da suo padre per partecipare ad alcune campagne di conquista e Shiro rimase alla corte di Altea.
Lui ed Allura avevano ormai quindici anni e capitava spesso che Lance e Keith si ritrovassero a giocare da soli quando sarebbero dovuti essere in compagnia degli altri due.
“Chissà perchè si nascondono sempre,” si chiese Lance sollevando gli occhi verso le grandi finestre della sua camera. Lui e Keith erano seduti a terra, circondati da decine e decine di pastelli colorati e fogli da disegnare.
Nulla era riuscito a privare Keith dell’espressione arrabbiata con cui fissava il suo disegno, quasi che quello fosse da biasimare per il suo malumore. Impugnava il suo pastello rosso come se fosse un’arma e Lance lo fissava dispiaciuto. “Keith, Shiro torna,” lo rassicuro. “Starà un po’ con Allura e poi torneranno insieme. Lo fanno sempre.”
“Lo so,” disse il bambino Galra con voce incolore.
“Allora calmati,” disse Lance sorridendo. “Loro giocano insieme e noi giochiamo insieme. Sono più grandi e Coran dice che è normale.”
Keith sollevò i grandi occhi viola. Come con Lotor, quel colore era la sola cosa che, ad occhio nudo, tradiva la sua appartenenza al popolo di Daibazaal.
“Shiro non vuole più giocare con me,” disse Keith. “Dice bugie solo per stare da solo con Allura.”
Lance alzò gli occhi al cielo. “Te l’ho spiegato il perchè!”
“Ma perchè dire bugie?” Domandò Keith con aria ferita. “Perchè non possiamo stare comunque insieme? Loro fanno i loro giochi da grandi e noi facciamo i nostri!”
Lance ci pensò su, poi sorrise con entusiasmo. “Non è una cattiva idea!” Esclamò abbandonando il suo pastello blu ed alzandosi in piedi. “Vado a dirlo ad Allura, aspetta qui!”
La stanza di sua sorella era proprio accanto alla sua e Lance trotterellò per tutti e tre i metri e mezzo che lo separavano dal display per aprila. Al primo tentativo, l’accesso gli fu negato.
Il piccolo Principe fissò la spia rossa con aria smarrita e tentò una seconda volta. Ottenne lo stesso risultato.
“Allura?” Chiamò. “Allura, sono Lance. Keith chiede se possiamo giocare tutti insieme!”
Nessuno venne ad aprirgli e nessuno gli rispose.
Lance si accigliò e provò ad alzare la voce. “Allura!”
Ancora nulla.
Incuriosito ed un po’ scocciato da quel silenzio, Lance premette l’orecchio contro la porta. Dovette concentrarsi parecchio per udire qualcosa. Riconobbe la voce di sua sorella e, pur avendo la certezza che fosse lei, gli suonò estranea.
Non stava parlando. Gli parve di udire il nome di Shiro ma Lance non riuscì a distinguere nessun’altra parola.
L’idea di essere ignorato così deliberatamente da sua sorella, fece ribollire Lance di una rabbia che non aveva mai provato. “Allura!” Chiamò prendendo a pugni la porta.
Ancora una volta, nessuno ascoltò la sua voce.
Tornò in camera sua sul piede di guerra e Keith lo fissò perplesso, mentre attraversava la stanza ed apriva la porta finestra che dava sulla balconata.
“Dove vai?” Domandò il bambino Galra.
“Aspettami qui!” Esclamò Lance arrampicandosi sul parapetto.
Keith sgranò gli occhi e gli corse incontro. “Che cosa fai?” Urlò.
“Shhh!” Lance si premette l’indice contro le labbra. “L’ho già fatto. Stai lì e stai zitto!”
Il piccolo Galra s’imbronciò ma non obiettò.
Lance camminò agilmente sul cornicione e arrivò al balcone della camera da letto di Allura. Non appena lo vide scendere dal parapetto di fronte, Keith lasciò andare un sospirò. “Lance…” Chiamò.
Il Principe si voltò e gli fece di nuovo cenno di stare zitto, poi si sporse in avanti per dare un’occhiata alla scena che si stava svolgendo dietro le alte vetrate. Quello che vide non seppe come interpretarlo: il letto era in disordine e Shiro era seduto sul bordo del materasso senza la maglietta addosso ma non vedeva sua sorella.
Allura comparve sulla scena di colpo, attraversò la stanza raccogliendo i lunghi capelli tra le mani per liberare il viso. Era completamente nuda. “Penso abbia rinunciato,” la sentì dire.
Shiro si voltò a guardarla. “Dovremo tornare da loro.”
Sua sorella sorrise e lo raggiunse sul letto. “Aspetta,” disse mettendosi a cavalcioni su di lui. “Ancora qualche minuto, ti prego…”
Shiro le afferrò i fianchi e si fece spingere sul letto. Allura rise.
Lance si voltò e non guardò oltre.
Tornato dall’altra parte, Keith gli afferrò la mano. “Che cosa hai visto?”
Il Principe scosse la testa. “Lascia perdere.”
Lance non parlò con nessuno di quello che aveva visto e quella notte, raggomitolato sotto le coperte del suo letto, scoppiò a piangere senza sapere perchè. Una parte di lui si sentiva tradita e l’altra era in completa confusione.
Non riuscì a guardare in faccia sua sorella per settimane e quando Shiro portava Keith a giocare con lui, Lance prendeva il piccolo Galra per mano e correvano alla ricerca di Hunk e Katie. Non poteva stare vicino alla stanza di sua sorella, non dopo aver scoperto cosa accadeva dietro quella porta chiusa. Non voleva vedere o sentire niente nemmeno per sbaglio e fece tutto per impedire che Keith avesse ragione di sentirsi tradito da Shiro come lui si sentiva tradito d’Allura.
Ne avrebbero parlato, sì, ma solo molti anni dopo.
Quasi un anno dopo la sua partenza, Lotor tornò in visita alla corte di Altea.
Allura aveva sedici anni e Lance ne aveva dieci.
I Galra erano usciti vincitori dalle loro campagne di conquista ed il Re Alfor decise di organizzare un banchetto in onore di Zarkon e di suo figlio, in nome della loro lunga amicizia.
Quella fu la notte in cui cambiò tutto.
Nei giorni che precedettero il banchetto, Shiro ed Allura non avevano avuto modo di stare molto insieme. Lui, però, aveva smesso di venire al Castello insieme a Keith già da qualche tempo. Lance lo aveva notato perchè, suo malgrado, il piccolo Galra gli mancava ed anche a Hunk e a Katie.
Non ne aveva parlato con sua sorella, però. Non aveva fatto domande perchè Allura gli era sembrata strana in quei giorni, come se qualcosa la preoccupasse al punto da perdere il sonno. Lance aveva notato che aveva spesso gli occhi gonfi, che era pallida e non brillava più della luca che la contraddistingueva.
Per breve tempo, Lance prese in considerazione l’idea che Shiro le avesse fatto del male. A quella prospettiva, un vocina maligna nei recessi nella sua mente rise vittoriosa e se ne vergognò. Non voleva che Allura soffrisse, ma lui era rimasto a piangere da solo per tanto di quel tempo che gli sembrò giusto.
Avevano entrambi il cuore spezzato e nella sua mente di bambino, questo significava che erano pari.
In ogni caso, la sera del banchetto erano entrambi silenziosi. Entrambi vestiti di azzurro per richiamare il colore della corte e dei loro occhi, ma nessuno dei due era in vena di festeggiamenti.
Zarkon e Alfor sedevano al centro del tavolo più corto, quello posto in fondo alla sala dei banchetti. Lotor era alla destra di suo padre e seguiva sua madre, Honerva.
Allura sedeva a fianco ad Alfor, poi venivano Lance e Coran.
Ai lati della grande sala erano state preparate due lunghe tavole alla quale sedevano le più importanti personalità della società Galra e di quella Altean.
Lance riconobbe i leader della Lama di Marmora, l’ordine di guerrieri speciali di Zarkon. Si occupavano delle missioni segrete, della sicurezza della famiglia reale e delle faccende politiche più delicate. Lance sapeva che Keith era figlio di una Lama, che sua madre era morta quando era ancora piccolo e lui era stato affidato ad Ulaz e Thace, gli stessi tutori di Shiro.
Del Terrestre, il padre di Keith, Lance non sapeva nulla. Gli avevano raccontato che Shiro si era distinto da bambino in un centro di addestramento Galra sulla Terra e che Ulaz lo aveva preso con sè perchè divenisse una Lama. Dai racconti di Keith, Lance sapeva che i veri genitori di Shiro non c’erano più da molto tempo, ma che delle Terra ricordava quasi tutto.
“È un pianeta azzurro,” gli aveva detto Keith. “Un po’ come Altea ma molto più piccolo e meno importante.”
Lance sapeva che Katie era stata sulla Terra insieme alla sua famiglia, ma non aveva mai lasciato la base in cui erano atterrati e non gli aveva mai fornito dettagli interessanti di quel viaggio. Ogni volta che il Principe provava a chiedere, la bambina si perdeva in discorsi sull’alchimia che lui riusciva a capire solo a metà e Keith per niente. Hunk era sempre l’unico veramente interessato del gruppo.
Lance li cercò con lo sguardo e li vide seduto sul tavolo opposto a quello dei Galra, entrambi seduti con i loro genitori ed i loro fratelli. Sembravano sereni.
L’ultimo che cercò fu Shiro. Lo trovò accanto a Kolivan con il mento appoggiato al pugno chiuso e gli occhi grigi persi nel vuoto. Se Allura era ferita, Shiro non versava in una condizione migliore.
Lance non riusciva a comprendere. Se stavano entrambi male perchè non potevano guarirsi a vicenda? Lui litigava con Keith continuamente ma non avevano mai smesso di essere amici.
Non poteva saperlo, ma avrebbe impiegato ancora qualche anno per interpretare le faccende del cuore, quelle da adulti e, col senno di poi, avrebbe compreso la natura del guaio in cui sua sorella ed il suo giovane amante si erano cacciati.
Sì, un giorno Lance avrebbe capito tutto e, sebbene al tempo fosse solo un bambino, si sarebbe sentito in colpa per tutta la vita per non aver aiutato sua sorella.
Lance vide Shiro alzarsi in piedi ed abbandonare la sua tavola. I suoi tutori e Keith lo guardarono ma non lo seguirono, nè tentarono di fermarlo.
Allura finì di bere il contenuto del suo calice, poi si alzò in piedi. “Con permesso, padre,” disse frettolosamente. Alfor la guardò perplesso, non ebbe il tempo di darle alcun permesso ma nemmeno la fermò.
Lance la seguì con lo sguardo. Superò il tavolo e si spostò a lato della sala, verso l’uscita da cui era sgattaiolato via Shiro.
Arrivò solo a metà del percorso, poi collassò a terra.
Per un attimo, tutta i presenti nella sala rimasero immobili, come congelati.
Lotor fu il primo a reagire, ad alzarsi in piedi. “Madre!” Chiamò inginocchiandosi a terra e sollevando la Principessa da terra. “Non respira!”
Honerva ed Alfor si precipitarono vicino ad Allura.
Lance osservò la scena con gli occhi sgranati, le piccole dita ancora strette intorno al suo calice. Fu Zarkon a farlo cadere a terra con un brusco gesto della mano. “Non bevete niente!” Tuonò alzandosi in piedi.
Coran afferrò il piccolo Principe per le spalle invitandolo ad alzarsi. “Andiamo Lance!” Lo esortò. “Non devi vedere!”
Lance, però, vide. Vide tutto.
Mentre Coran lo trascinava fuori dal salone dei banchetti, Lance si voltò e vide suo padre stringere Allura al petto chiamando disperatamente il suo nome.
Il corpo di sua sorella era scosso da violenti colpi di tosse ed il corpetto azzurro del suo bel vestito era sporco di sangue.
Coran aveva ordinato a Lance di restare nella stanze di suo padre e a Keith di fargli compagnia. Con il caos che si era creato in tutto il palazzo, non fu difficile per i due bambini sgattaiolare fuori.
Le urla di dolore di Allura si udivano fin dalle scale.
Lance si bloccò a metà di una rampa e Keith gli prese una mano per fargli coraggio. “Vuoi tornare indietro?” Propose.
Il piccolo Principe scosse la testa ed andarono avanti.
La luce che proveniva dalla porta aperta della camera da letto di Allura era la sola ad illuminare in corridoio.
Lance e Keith si nascosero dietro ad una delle colonne decorative per osservare la scena. Alfor aveva la schiena appoggiata all’architrave della porta e sul viso aveva un’espressione che Lance non sarebbe mai riuscito a dimenticare. Un condannato a morte non avrebbe guardato il proprio patibolo con altrettanta disperazione.
Coran gli stringeva una spalla rivolgendogli parole d’incoraggiamento a cui il Re non prestava alcuna attenzione.
In fondo al corridoio, nell’ombra, Lotor parlava con suo padre ma Lance non poteva udire quello che si stavano dicendo. Immaginò che stessero riflettendo sul probabile colpevole di un simile atto.
Honerva comparve in corridoio e gli occhi tutti furono su di lei.
“Che cosa le hanno fatto?” Domandò Alfor con voce tremante. “Che cosa hanno fatto a mia figlia?”
Honerva gli strinse le braccia e si rivolse a Coran. “Prendi l’abito della Principessa e fallo analizzare ed interroga le sue guardie, le due dame, chiunque… Ricostruisci i suoi spostamenti nelle ultime ore, devo capire che cosa le hanno somministrato.”
Coran annuì ed entrò nella camera da letto solo per uscirne con il vestito sporco di sangue stretto al petto.
Lance e Keithi premettero la schiena contro la parete e, complice il buio del corridoio, l’Altean non li vide.
“Zarkon, Lotor, per favore... “ Aggiunse Honerva rivolgendo uno sguardo al marito e a suo figlio.
I due Galra non fecero domande e si allontanarono. Ancora una volta, i due bambini riuscirono a nascondersi.
Keith li seguì con lo sguardo per assicurarsi che se ne fossero andati, Lance non distolse il suo da suo padre e dalla Regina di Daibazaal.
“Che cosa succede?” Domandò Alfor. Riusciva a mantenere a stento la calma.
La donna dischiuse le labbra, poi abbassò lo sguardo con aria grave.
“Honerva, ho bisogno che di sapere!” Esclamò il Re con voce rotta.
La Regina annuì. “Allura aveva un amante, Alfor?” Domandò con un filo di voce, come se avesse paura dell’effetto delle sue stesse parole.
Keith inarcò le sopracciglia. “Che cos’è un amante?” Domandò perplesso.
Lance ripensò a quanto aveva visto attraverso le finestre della camera di sua sorella. Rivide Allura senza alcun vestito addosso spingere Shiro a stendersi sul suo letto. Scosse la testa. “Non lo so,” mentì.
Alfor aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi scosse la testa. “Non starebbe così per un aborto spontaneo!” Ringhiò allontanandosi dalla Regina.
Honerva prese un respiro profondo. “Rispondi alla mia domanda, Alfor,” lo incalzò.
Il Re si prese la testa tra le mani. “Non mi ha mai detto il suo nome,” confessò. “Non le ho proibito nulla. Le ho solo detto di fare attenzione ma lei… Lei non ha mai voluto dirmi il suo nome…”
Honerva annuì. “Capisco…”
Alfor la guardò disperatamente. “Dimmi che qualcuno ha voluto di farle del male,” la pregò. “Dimmi che c’è qualcuno d’accusare. Non dirmi che mia figlia si è fatta del male pur di non parlare con me!”
Honerva scosse la testa. “Non era incinta,” chiarì. “Forse, credeva di esserlo… Forse…”
“Padre…”
Nell’udire la voce di sua sorella, Lance avvertì un brivido gelido corrergli lungo la schiena. Suo padre ed Honerva sparirono dentro la camera da letto ed il piccolo Principe si alzò in piedi. Prontamente, Keith afferrò l’orlo del suo mantello. “Dove vai?”
Lance lo guardò ma non rispose. Non sapeva spiegare come si sentiva ma doveva avvicinarsi, doveva vedere. Era certo che sarebbe stato come in un incubo, come quando sognava di cadere nel vuoto e, di colpo, si ritrovava a sicuro, nel proprio letto.
Forse, se avesse visto la cosa che più gli faceva paura, si sarebbe svegliato e tutto sarebbe finito. Stringendo quella speranza al petto, si affacciò oltre lo stipite della porta.
Aveva solo dieci anni, Lance e nulla poté prepararlo a quello che vide.
“Padre…” Allura piangeva. I suoi bei capelli erano in disordine, umidi di sudore. “Padre, perdonami…”
Una volta, la sottoveste che aveva addosso doveva essere stata bianca ma ora era un trionfo di macchie rosse.
Suo padre la stringeva a sè e non riusciva a dire niente, solo a piangere e ad accarezzarle i capelli.
“Bambina…” Honerva si sedette sul bordo del materasso –era sporco di sangue anche quello– e passò una panno umido sul viso terribilmente pallido di sua sorella. “Ho bisogno che tu mi dica che cosa hai fatto. Non vergognartene, non ce ne è ragione.”
“Ho perso il bambino?” Domandò Allura.
Alfor le baciò i capelli.
Honerva scosse la testa. “Non c’era alcun bambino, tesoro.” Le spiegò.
Gli occhi di Allura divennero grandi. “Ma io… Io pensavo…”
“Shhh…” Mormorò Alfor. “Non devi dare spiegazioni.”
“Allura,” Honerva si fece più vicina. “Hai preso del veleno perchè credevi di essere incinta? Devi dirmi quale, cara.”
Allura scosse la testa. “No…” Singhiozzò. “Non volevo fargli del male… Non volevo…”
Honerva ed Alfor si lanciarono un’occhiata.
“Allura, a chi altri lo hai detto?” Domandò Alfor. “Chi altri sapeva?”
Dalla bocca di Allura uscì solo un altro urlò di dolore ed altro sangue si riversò sulla sua sottoveste. “Padre, ti prego, fa così male!”
“Honerva, qualcosa per il dolore!” Ordinò Alfor.
La Regina di Daibazaal scosse appena la testa. Allura si raggomitolò su se stessa, come se qualcosa stesse cercando di uscire da lei a forza.
Seguì altro sangue, poi ancora urla.
Lance, però, non le udì. Non voleva continuare a guardare, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo. Tutti i rumori del mondo arrivavano alle sue orecchie ovattati, come se lui non fosse davvero lì ma su un altro piano, un’altra dimensione.
Si rese conto che stava piangendo quando una mano gli afferrò il braccio bruscamente.
“Che cosa fai qui?”
Lo sguardo furibondo del Principe dei Galra lo riportò alla realtà.
Lance aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua ma Lotor non gli diede il tempo di dire nulla. “Non dovreste essere qui!” Esclamò.
Il piccolo Principe si accorse che l’altro che aveva già afferrato Keith e se l’era caricato in spalla.
“Non dovete vedere!”
Lance non riuscì ad opporre alcuna resistenza. Lotor lo trascinò via mentre sua sorella continuava ad urlare per il dolore.
A metà della rampa di scale, Lance si accorse che qualcun altro stava salendo. Sollevò gli occhi blu e, per un istante, incrociò quelli grigi di Shiro.
Lotor s’arrestò per guardarlo e Lance lo vide scuotere la testa: fu un consiglio silenzioso da parte di un amico.
Shiro lo ignorò e continuò a salire le scale.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che Lance lo avrebbe visto alla corte di Altea.
Lotor portò lui e Keith nello studio di suo padre e rimase con loro.
Il piccolo Galra si addormentò sul divano e, nel sonno, si acoccolò contro di lui alla ricerca di calore. Rintanato contro i grandi cuscini, Lance non lo scansò via.
Lotor si tolse il mantello dalle spalle e lo usò per coprire tutti e due.
Per una frazione di secondo, gli occhi dei due Principi s’incontrarono. Lance fu il primo ad abbassarli e Lotor tornò vicino alla porta.
Con gli occhi blu fissi sulla sua schiena, Lance si addormentò.
Perse conoscenza solo per poche ore.
Alle prime luci dell’alba, un mormorio lo spinse ad aprire gli occhi.
“È stato terribile…”
Lotor continuava a dargli le spalle e Honerva gli stringeva le braccia. Gli occhi di lei erano gonfi, rossi.
“Ha sofferto tanto, povera bambina.”
Lance si sentì gelare e non osò muoversi dalla posizione in cui era. Non voleva che l’altro Principe e la Regina si accorgessero della sua presenza.
“Shiro?” S’intererrò il Principe dei Galra.
Honerva scosse la testa di nuovo. “Non andarlo a cercare, Lotor. Non ora.”
Il Principe annuì.
“Tu sapevi qualcosa?” Domandò sua madre. “Di Shiro ed Allura… Lui ti aveva detto qualcosa?”
Lance non udì il giovane Galra rispondere ma l’espressione di Honerva gli suggerì che il silenzio di suo figlio era una risposta sufficiente.
“Che cosa è stato?” Domandò Lotor a bassa voce. “Che cosa ha ucciso Allura?”
Lance artigliò la stoffa ricamata d’oro del grande cuscino su cui era steso.
Non era vero, si disse. Non poteva essere vero, stava solo facendo un brutto sogno e tutto sarebbe finito presto.
Allura sarebbe entrata nella sua camera a svegliarlo e tutte le brutte scene a cui aveva dovuto assistere sarebbero scomparse dalla sua mente, mentre giocavano insieme. Poi shiro e Keith li avrebbero raggiunti ed anche Hunk e Katie.
Ci sarebbe stato il sole ed avrebbero giocato tutti insieme nei giardini reali.
Sì, sarebbe andata così.
Lance doveva solo chiudere gli occhi ed aspettare che tutto svanisse con il sorgere del sole.
“Honerva!”
Keith si svegliò e saltò a sedere dallo spaventò e Lance non riuscì più a fingere di essere addormentato. Zarkon era comparso sulla porta e l’espressione orripilata sul suo viso squadrato terrorizzò Lance al punto da spezzargli il respiro.
Come poteva succedere qualcosa di peggiore di quello che era già accaduto?
“Devi vedere,” disse il Re dei Galra rivolgendosi alla moglie. “Devi vedere assolutamente!”
Honerva non fece domande e seguì Zarkon fuori dalla stanza.
Lotor rimase dov’era, si voltò verso il divano e si accorse che erano svegli. “Keith…” Disse con tono incolore, avvicinandosi. “Perchè tu ed il Principe non andate a-”
Lance non rimase per ascoltare la sua proposta. Corse fuori dallo studio di suo padre e lo fece abbastanza velocemente che Lotor non riuscì ad acciuffarlo.
Le stanze sue e di Allura erano silenziose ed il corridoio era illuminato dalla luce dorata del sole appena sorto. Era tutto così diverso dalla notte precedente, come se l’incubo fosse davvero svanito.
“Che cosa hai fatto?” Sentì la voce di Honerva provenire dalla camera di sua sorella. “Che cosa hai fatto, Alfor?”
Lance esaurì la distanza tra sè e quella stanza in un battito di ciglia. Quella volta, non si preoccupò di non essere visto e gli occhi di tutti i presenti furono immediatamente su di lui.
Zarkon era quello più vicino alla porta e Coran quello più lontano. Di fronte al grande letto a baldacchino, suo padre lo guardò come se non lo riconoscesse e, stringendo con rabbia il colletto della tunica del Re, Honerva lo fissò come se fosse un fantasma.
Quell’espressione, però, non era per lui.
“Lance?” Allura era seduta sul bordo del materasso. Le lenzuola era ancora sporche di sangue e così la sottoveste che aveva addosso. Sua sorella, però, non soffriva più.
I suoi capelli erano di nuovo perfettamente ondulati e lucenti ed il suo viso era fresco, riposato.
Era come se il sangue che aveva addosso non fosse suo.
“Perchè stai piangendo, Lance?” Domandò Allura alzandosi in piedi.
Sì, Lance piangeva ma non sapeva perchè. Sarebbe dovuto essere felice perchè il suo desiderio si era realizzato, eppure provava paura ed essa gli impediva di muoversi, di dire qualsiasi cosa.
“Va tutto bene, Lance, “ sua sorella s’inginocchiò di fronte a lui e lo strinse a sè. Era calda. Era viva. Eppure, Lotor aveva detto che l’avevano uccisa.
“Non c’è nulla di cui aver paura, Lance.” Allura gli baciò la guancia. Il suo sangue gli sporcò il viso ed il vestito azzurro che aveva addosso. “Sono qui, va tutto bene.”
Lance non ricambiò l’abbraccio.
C’era qualcosa di sbagliato… Di terribilmente sbagliato.
Il suo desiderio non si era avverato: il sole era sorto ma l’incubo non era sfumato via, aveva solo trovato un modo per continuare a vivere alla luce del giorno.
[6 anni dopo]
[Daibazaal]
Keith si svegliò tremando.
Si era addormentato senza renderesene sul retro della nave d’assedio durante il viaggio di ritorno a Daibazaal. Il tremore che lo scuoteva da capo a piedi, però, era sintomo di qualcosa di più serio del freddo. Doveva avere la febbre.
Infilò le dita tra i lunghi capelli corvini e liberò il viso. Era caldo e sudava.
Sbuffò. Se Kolivan fosse venuto a sapere del suo stato di salute, lo avrebbe escluso dalle missioni per settimane.
“Sei sveglio?”
Il giovane mezzo Galra aprì gli occhi. Lotor era seduto accanto a lui: aveva uno zigomo gonfio e un taglio profondo sopra il sopracciglio.
“Stai sanguinando,” gli fece notare Keith.
L’espressione del Principe non cambiò di una virgola. “Ti porto da mia madre,” disse alzandosi in piedi.
Keith si sollevò a sedere velocemente e questo gli costò un gran capogiro. “Maledizione…” Sibilò reggendosi la fronte.
“Per quanto tempo sei stato al fronte?” Domandò Lotor. “Due? Tre mesi?”
Keith non ne era sicuro. Gli sembrava di combattere quella guerra contro Altea da tutta la vita. “Vittoria o morte, no?”
Fu il turno di Lotor di sbuffare. “Non essere ridicolo,” disse. “Alzati.”
Keith si strinse nelle braccia per combattere un brivido di freddo. “Perchè mi state tutti addosso?” Si lamentò.
“Diventa Principe e poi potrai lamentarti di avere tutti addosso,” replicò Lotor afferrandolo per il cappuccio della divina da Lama di Marmora.
Keith fu costretto ad alzarsi per non cadere all’indietro ed evitare di essere trascinato come un sacco. Se le gambe non lo avessero retto, Lotor non si sarebbe scomodato a caricarselo in spalla ed avrebbe pulito tutti i corridoi dell’hangar al laboratorio della Regina con il suo fondo schiena.
“Perchè mi stai addosso tu?” Domandò Keith irritato cercando di liberarsi dalla presa del Principe. Tirato in quel modo, non riusciva a camminare guardando davanti. “Hai una squadra tua. Non ti basta?”
“Proprio perchè ho un rapporto di stima e fiducia con uno degli uomini della mia squadra mi sento moralmente obbligato a non farmi morire di stenti.”
“Puoi anche dire l’unico uomo della tua squadra!” Esclamò Keith con sarcasmo.
Lotor lasciò la presa sul suo cappuccio ed il giovane mezzo Galra cadde sul sedere a metà della rampa della nave.
Fu veloce a tirarsi in piedi e, col viso rosso per l’imbarazzo, si guardò intorno per controllare che nessuno avesse assistito alla scena. Quello che vide non gli piacque affatto. Il pavimento dell’hangar era ricoperto di sacchi neri e Keith era dolorosamente consapevole del loro contenuto.
Lotor si voltò a guardarlo e non potè non notare l’espressione sul suo viso. “Keith, avanti…” Lo incalzò, sebbene nella sua voce non ci fosse alcuna urgenza.
Keith si tirò il cappuccio sopra la testa e lo raggiunse. “Quanti?” Domandò.
“Non deve interessarti,” rispose Lotor camminando tra i corpi dei soldati caduti come se la cosa non lo riguardasse. “Sei un membro dell’Ordine della Lama di Marmora ed il numero di soldati deceduti è un’informazione riservata a me, al Re ed ai-”
“Quanti?” Lo interruppe Keith fermamente guardandolo dritto negli occhi.
Il Principe ricambiò lo sguardo. “Un’intera flotta,” rispose. “Più o meno.”
Il più giovane abbassò lo sguardo immediatamente e prese a camminare più velocemente. Lotor sospirò e allungò il passo a sua volta. “Sei troppo emotivo.”
“Non ho fatto niente,” replicò la giovane Lama.
“È una guerra, Keith,” gli ricordò Lotor. “I soldati muoiono in guerra, è inevitabile.”
“No, non hai capito!” Keith strinse i pugni. “Ero lì… Ero lì, come tutti loro!”
“Ma a differenza loro, sei vivo!” Lotor lo afferrò per un braccio. “Vuoi onorare la loro memoria? Restaci.”
Keith non disse una parola di più, fino a che non arrivarono all’ascensore. I suoi occhi viola non si allontanarono dalla distesa di sacchi neri fino a che le porti scorrevoli non si richiusero. “I loro scudi non cedono mai,” disse con un filo di voce.
“Lo so,” disse Lotor fissando il proprio riflesso nella parete dell’ascensore.
Keith emise un ringhio frustrato. “L’esercito di tuo padre non ha mai conosciuto una sconfitta,” disse.
“Questa guerra contro Altea sta cambiando le carte in tavola,” disse Lotor. “Mia madre conosce la fonte di energia di cui dispongono i nostri nemici ma non riesce a ricrearla su questo pianeta. Fino a che non troviamo il modo di costruire un’arma al livello della loro, possiamo solo resistere.”
“Sì ma a che prezzo?” Domandò Keith.
Lotor non rispose.
L’ascensore si fermò e la giovane Lama aggrottò la fronte. “I laboratori di tua madre non si trovano su questo livello,” notò.
Il Principe gli rivolse un sorrisetto beffardo. Se avesse potuto, Keith lo avrebbe preso a pugni.
Non appena le porte scorrevoli si aprirono, gli occhi grigi di Shiro trafissero la giovane Lama sul posto.
Il ghignetto di Lotor si fece ancor più divertito. “Ha la febbre,” disse spingendo il ragazzo contro il petto del suo Generale. Keith non riuscì ad opporre resistenza e si ritrovò con il naso premuto contro i pettorali di Shiro.
“Credo che abbia delle vecchie ferite che non sono mai state medicate come si deve,” aggiunse Lotor e Keith gli lanciò un’occhiata tagliente da sopra la spalla. “Dovresti essere in grado di gestire la situazione ma non esitare a portarlo da mia madre, se dovesse peggiorare.”
Shiro annuì due volte. “Ti ringrazio.”
“Dovere,” rispose Lotor. “Avvertirò io Thace ed Ulaz e mi assicurerò che Kolivan non lo richiami al fronte per parecchio tempo.”
Gli occhi di Keith divennero enormi. “Non puoi rinchiudermi a palazzo!” Esclamò, gli occhi ardenti d’ira rivolti verso il Principe.
La sua rabbia non servì a scalfire il sorrisetto beffardo di Lotor. “Oh, non preoccuparti,” disse con sarcasmo. “Non sarò io a trattenerti.”
Le porte dell’ascensore si richiusero.
Se Keith avesse potuto, le avrebbe riaperte di forza, avrebbe trascinato Lotor fuori tirandolo per quei suoi capelli ridicolmente lunghi e poi avrebbe…
“Keith.”
Il giovane mezzo Galra sollevò gli occhi viola e quelli grigi di Shiro rispose al suo sguardo con espressione severa. Suo malgrado, Keith dovette mettere da parte i suoi propositi di vendetta contro Lotor. “Non volevo deluderti,” disse abbassando il viso. “Stavo solo cercando di fare del mio meglio.”
Shiro sospirò ed un sorriso gentile addolcì i suoi lineamenti. “Non mi hai deluso,” disse circondandogli le spalle con un braccio. “Mi fai solo morire di preoccupazione,” aggiunse conducendolo nelle sue stanze.
I Generali di Lotor avevano un quartiere loro, all’interno del palazzo reale e quando Shiro vi si era trasferito, Keith aveva stilato una lista mentale di cento modi in cui farla pagare a Lotor e riuscire a farla franca. Lo aveva fatto con furbizia: ne aveva scelti cinquanta che avrebbero divertito Honerva ed altri cinquanta che Zarkon avrebbe approvato.
Aveva dovuto cambiare idea quando quel cambiamento si era rivelato utile. Shiro non aveva mai dato problemi ai suoi tutori, Keith non faceva che darne da quando era bambino e questo gli aveva fatto guadagnare un sacco di attenzione speciali –che non voleva–, compresi molti occhi pronti a seguirlo in ogni suo spostamento.
Aveva perso il conto delle volte che Kolivan aveva giurato di buttarlo fuori dalle Lame di Marmora. Keith era arrivato alla conclusione che non sarebbe mai successo: dopo che Shiro aveva lasciato l’ordine per servire Lotor come suo braccio destro, era lui il guerriero migliore di cui Kolivan disponeva e nemmeno tutta la rabbia dell’universo lo avrebbe convinto a fare a meno di lui.
La febbre, però… Quella sì.
Poteva disubbidire agli ordini, spingere i suoi superiori sul principio di attacco isterico e portare a termine una missione a modo suo ma non poteva ferirsi gravemente, non poteva avere la febbre.
Aveva sedici anni e Keith cominciava a chiedersi quanti ancora ce ne sarebbero voluti perchè Kolivan, Thace, Ulaz e tutti gli altri lo considerassero un adulto.
Da quel punto di vista, Shiro era l’unico a portargli rispetto ma la loro era una situazione diversa.
Non appena la porta della camera da letto si richiuse, Shiro si avvicinò al più giovane per aiutarlo a liberarsi dell’armatura. “Voglio vedere le ferite,” disse.
Keith non oppose alcuna resistenza mentre lo spogliava.
Shiro lasciò cadere l’armatura a terra ed abbassò la zip della tuta scura. Le pelle candida della schiena di Keith era ricoperta di lividi e tagli poco profondi ma che cominciavano a mostrare i primi segni d’infezione.
Shiro serrò i pugni sulla stoffa della tuta. “Keith…”
“Nel Sistema di Naxela, i soldati tornano dalle battaglie fatti a pezzi,” si giustificò Keith voltandosi. Si strinse le braccia intorno al corpo, come per coprirsi. “Io no. Io torno sempre sulle mie gambe e li vedo… Sono sempre a centinaia e molti non si riescono a salvare perchè i curatori non sono in numero sufficiente, perchè le medical-pod sono tutte occupate o non sono sufficienti a ripare i danni!” Un nodo gli strinse la gola ma non gli importò. “Io torno solo con dei graffi.”
Shiro strinse le labbra, invitò il più giovane a rilassare le braccia lungo il corpo e gli sfilò il resto della tuta.
Il corpo di Keith era massacrato. Non c’era un modo diverso di descrivere lo stato in cui era ridotta la sua pelle. Il giovane Galra guardava da un’altra parte, ben consapevole di quello che avrebbe trovato sul viso di Shiro. Le dita calde del Generale gli sfiorarono il viso e scivolare sul retro del suo collo, tra i capelli corvini in disordine.
“Keith…” Mormorò Shiro. “Guardami, per favore.”
La giovane Lama non riuscì a dirgli di no. Non riusciva mai a negargli nulla.
Erano gentili e colmi di tristezza, gli occhi di Shiro. “Vieni, Keith.” Gli afferrò una mano e si voltò verso il bagno.
Keith gliela strinse. “Non è necessario, Shiro. Posso...”
“Poco importa,” rispose il Generale fermamente. “Voglio farlo. Non puoi farti una doccia ridotto in quello stato, il getto d’acqua potrebbe peggiorare lo stato delle ferite.”
Keith annuì docilmente e si fece portare in bagno.
Keith s’immerse nella vasca lentamente. Quando le ferite ancora aperte entrarono in contatto con l’acqua calda e presero a bruciare, Keith strinse le labbra ma non si lamentò. Sapeva che era un dolore buono: Shiro aveva versato un olio nell’acqua che lo avrebbe aiutato a disinfettare le ferite trascurate troppo a lungo.
Si sedette sul fondo della vasca ed incrociò le braccia sulle ginocchia.
Shiro s’inginocchiò alle sue spalle e gli spostò i lunghi capelli corvini su di una spalla per liberare il collo. “Farà un po’ male,” lo avvertì il Generale.
Keith si prese il labbro inferiore tra i denti e quando avvertì l’ago della siringa bucargli la pelle, fece il possibile per restare fermo.
“Questo è per la febbre,” disse Shiro. “Combatterà l’infezione delle ferite e aiuterà gli ematomi a guarire. Lo ha sintetizzato Honerva.”
Keith annuì. “Lo so,” disse con un sospiro stanco. “Lotor ne ha portate molte dosi al fronte, prima dell’ultima battaglia.”
Sentì gli occhi severi di Shiro fissargli con insistenza la nuca. “E non ha mai pensato di far-?”
“Sono finite in poco tempo!” Si giustificò Keith. “Te l’ho detto! Nelle ultime settimane, Naxela è divenuta una macelleria! È l’orgoglio che ci fa resistere, Shiro, perchè di forza… La forza non ce l’abbiamo più,” concluse con un filo di voce.
Shiro posò la siringa sul pavimento, poi si sporse in avanti e posò un bacio nel punto in cui aveva conficcato l’ago. Keith s’irrigidì e si allontanò immediatamente. “Shiro, sono stato al fronte per settimane e…” Arrossì per la vergona. “Non credo di avere un buon odore.”
Shiro sorrise teneramente ed afferrò la bottiglietta dello shampoo dal bordo della vasca. “Non stare rigido con il collo,” lo avvertì versandosi il liquido profumano sul palmo della mano.
Non appena avvertì quelle dita tra i suoi capelli, Keith chiuse gli occhi e si sciolse completamente sotto le loro attenzioni. Scivolò più vicino al bordo della vasca e a Shiro. Il Generale sorrise e gli posò un altro bacio leggero sul lato del collo.
Keith sollevò appena le palpebre ma non obiettò, non quella volta. Cercò di ricordarsi che si era lasciato il fronte alle spalle –almeno, per il momento– e permise a Shiro di prendersi cura di lui. Gli era mancato così tanto…
Per due anni, Shiro era andato e venuto da Daibazaal per combattere quella maledetta guerra contro Altea e Keith non aveva potuto fare altro che aspettarlo con il cuore in gola per tutto il tempo. Ora, finito il suo addestramento, a Keith era concesso di combattere al suo fianco ma nessuno dei due aveva controllo sugli ordini dei loro superiore.
In quanto braccio destro di Lotor, i doveri di Shiro erano diversi da quelli della giovane Lama. Quelle settimane erano state interminabili ma Keith aveva di nuovo le mani del suo uomo su di sè e non voleva pensare ad altro.
“Lotor mi ha detto che, dopo che mi hanno richiamato su Daibazaal, non ti sei preso più cura di te stesso,” disse il Generale invitandolo a reclinare la testa all’indietro per lavare via il sapone dai capelli corvini.
Keith spalancò gli occhi ed aggrottò la fronte. “Non gli basta essere un Principe?” Ringhiò. “Deve essere anche una fottuta spia?”
“Keith…”
Il giovane Galra si mise a sedere con la schiena dritta e guardò il Generale dritto negli occhi. “Glielo hai chiesto tu?”
“Non disturberei mai Lotor con le mie preoccupazioni,” disse Shiro ed il più giovane gli credette. C’era un motivo per cui Lotor aveva scelto il suo uomo come braccio destro e non era per la sua diversità dal popolo Galra, come molte male lingue sostenevano.
Sì, a Lotor piaceva circondarsi di guerrieri abili ma diversi dagli standard del Regno ma Shiro era un Terrestre ed era stato capace di brillare in un mondo in cui solo pochi aveva scommesso su di lui. Era impossibile non stimarlo e Keith era orgoglioso di lui.
“Le tue preoccupazione disturbano Lotor, però,” replicò la giovane Lama. “E le tue compagne! Ogni volta che una di loro veniva convocata su Naxela, me la ritrovavo davanti! È già difficile vivere agli ordini di Kolivan!”
Shiro sorrise sommessamente e pensò che avrebbe dovuto ringraziare il suo Principe e le ragazze quanto prima. “Immagino di non essere bravo a fingere…”
Keith lo guardò da sopra la spalla. “Che vuoi dire?”
Shiro scosse la testa ma sorrideva ancora. Keith adorava quel sorriso. Quando quegli occhi grigi lo guardavano in quel modo, persino il fronte non gli sembrava più così terribile.
“Potresti passarmi un asciugamano, per favore?” Domandò Keith mettendosi in ginocchio.
Shiro annuì e si alzò in piedi. “Fai attenzione a non scivolare.”
Keith sorrise per quell’eccessiva premura e lasciò che Shiro gli avvolgesse l’asciugamano intorno alle spalle, insieme alle sue braccia. Gli baciò di nuovo di nuovo il collo. “Ti medico le ferite che non si sono rimarginate del tutto e poi ti fai una bella dormita,” disse Shiro. “Non tornerai al fronte tanto presto.”
Keith sorrise amaramente. “Per quando sarò di nuovo in forze, potrebbe non esserci più un fronte.”
Shiro affondò il viso tra i capelli umidi. “Siamo orgogliosi, no?” Gli ricordò cercando di suonare ottimista. “Due anni di guerra contro una fonte di energia impossibile d’abbattere e Naxela è ancora nostra. Per quanto l’Imperatrice sia sicura di sè, dopo l’ultima battaglia sarà costretta a fare un passo indietro.”
Keith annuì distrattamente rilassando la nuca contro la spalla del Generale. Shiro era bravo con le faccende politiche almeno quanto lo era sul campo di battaglia. In quanto ambasciatore su Altea, Ulaz gli aveva insegnato tutto quello che sapeva in materia e Shiro aveva appreso senza sforzo. Pur avendo passato su Altea gran parte della sua infanzia, Keith non si era mai interessato alla politica. Quello che Shiro e Lotor avevano cominciato nei giardini reali del Castello di Re Alfor, Thace e Kolivan lo avevano completato mettendogli tra le mani una vera spada e, successivamente, la Lama che lo identificava come membro dell’ordine.
“Perchè l’ha fatto?” Domandò Keith. “Perchè Allura ha voluto distruggere la coalizione?”
Alle sue spalle, Shiro si fece serio. “Non lo so,” disse ma era solo metà della verità. “Mi hanno insegnato che il potere corrompe l’anima delle persone.” Un sorriso malinconico gli illuminò il viso di una pallida luce. “Ti manca Altea?”
Keith conosceva la risposta senza bisogno di rifletterci su. La sua infanzia era stato un sogno dorato fatto di lunghi corridoi dalle parete bianche in cui correre e giardini reali pieni di fiori colorati in cui giocare a nascondersi. C’erano stati i mille e più bisticci con Lance e tutti i momenti condividi con Katie e Hunk.
Sì, era stato lo stesso periodo della sua vita in cui aveva imparato che non poteva far ruotare tutto il suo mondo intorno a Shiro –e a sedici anni, ancora non aveva imparato adeguatamente la lezione–, ma era stato anche l’unico in cui non si era mai ritrovato da solo.
“No,” rispose tenendo lo sguardo basso.
Shiro non gli credette ma non insistette sull’argomento.
[Altea]
Il sole era caldo ed il cielo terso si specchiava nelle acque quiete del lago dei giardini reali.
Il Principe riemerse a pochi metri del pontile e si passò una mano tra i corti capelli castani per liberare il viso. Sorrise, felice per il semplice fatto di star nuotando. Era la più grande espressione di libertà di cui poteva godere, non sarebbe riuscito a vivere senza.
Nuotò fino al pontile e si arrampicò sulla scaletta per uscire dall’acqua. La brezza estiva gli accarezzò la pelle e lo fece rabbrividire ma era una bella sensazione, elettrizzante.
Indossò la vestaglia azzurra e si alzò in piedi.
Non c’era nessuno lì a guardarlo, a giudicare la sua apparenza ed era felice così. Aveva chiesto a Coran di servirgli qualcosa di fresco nella veranda ed il Principe fu felice di vedere che il vecchio maggiordomo lo aveva accontentato, nonostante si fosse lamentato di quanto era cresciuto viziato.
Quando, però, vide che al centro del tavolino rotondo vi erano due bicchieri, il Principe sollevò un sopracciglio con fare perplesso.
”Lance…”
Due mani calde lo afferrarono per i fianchi e sobbalzò.
“Scusami,” disse il giovane uomo dai capelli corvini e gli occhi grigi. “Non volevo spaventarti.”
Il Principe Lance di Altea sorrise. “Sven! Non credo ai miei occhi!”
“Allora credi a questo.” Sven si chinò per rubargli un bacio a fior di labbra.
Lance gli circondò il collo con le braccia. “No, non riesco ancora a crederci,” mormorò, mentre il suo amante appoggiava la fronte alla sua. “Quando sei tornato?”
“Ieri, al tramonto,” rispose Sven accarezzando il marchio azzurro pallido a forma di petalo sullo zigomo destro del Principe.
Lance gonfiò le guance. “E perchè non hai passato la notte nel mio letto?”
“Ho dovuto incontrare i miei clienti,” si giustificò Sven.
“Altri affari segreti di cui non mi puoi parlare?” Domandò il Principe con un sorrisetto malizioso.
“Mi pagano per la mia discrezione,” gli ricordò Sven.
Lance si voltò verso il tavolino rotondo. “Sei anche riuscito a superare la guardia serrata di Coran,” disse divertito. “Come lo hai corrotto?”
“Mi piace pensare di averlo fatto con la tua felicità,” disse Sven afferrando la bottiglia di Nunvil, prima che ci arrivasse la mano del giovane Altean. “Servirti, però, è una delle condizioni su cui credo non sorvolerà mai.”
Lance sorrise accomodandosi sul divano privo di schienale accanto al tavolino. Era stato il Principe a pretenderlo così, con due grandi braccioli morbidi come cuscini. Coran si era interrogato molto su quella scelta, quando Lance era stato bandito dalla corte e si erano entrambi trasferiti nella piccola reggia vicino al lago.
Il Principe aveva preferito non chiarire i suoi dubbi ma aveva spiegato a Sven il perchè della sua preferenza senza bisogno di usare parole.
Afferrando il suo bicchiere di Nunvil, Lance pensò che gli sarebbe piaciuto spiegarglielo di nuovo. Piegò le gambe sul divano e l’orlo della sottoveste blu gli scoprì le cosce.
Sven se ne accorse e gli rivolse un sorriso complice.
“Mi hai guardato nuotare?” Domandò Lance.
Il suo amante prese un sorso dal suo bicchiere. “Ti sentivi osservato?”
“No,” il Principe allungò il bicchiere sul tavolino. “Mi chiedevo solo perchè non mi hai raggiunto.”
Sven si sedette sul divano e posò la mano sulla coscia del giovane Altean. “E rovinare tanta bellezza?”
Lance sorrise, piegò il gomito sul bracciolo e si sorresse la testa col pugno chiuso. “Mi sei mancato.” Lo disse dolcemente, coprendo la mano del Terrestre con la sua.
Sven fece intrecciare le loro dita. “Non ti mancherei più, se venissi con me…”
Il sorriso del Principe si spense un poco. “Cosa c’è?” Domandò forzando un sorriso lascivo. “Gli altri tuoi amanti sparsi per lo spazio non sono alla mia altezza?”
Sven si fece serio di colpo. “Lo sai che non c’è nessun altro.”
Lance non riuscì a fingere oltre. “Sono un Principe, Sven,” disse con fermezza ma cercando di non suonare troppo duro. “Non mi piace ricordartelo ma tu devi smettere di dimenticarlo.”
Sven posò il suo bicchiere sul tavolo e si portò alle labbra la mano dell’Altean. “Non posso promettere che non continuerò ad insistere.”
Sul viso di Lance calò un velo di tenerezza misto a malinconia. “Vieni qui…”
Sven non si fece pregare: l’ultima battaglia nel Sistema di Naxela li aveva costretti a stare separati troppo a lungo per poter aspettare un istante di più.
“Togliti questa tunica o rischio di bagnarti!” Esclamò Lance ridendo afferrando l’orlo dell’indumento.
Sven si fece spogliare, mentre Lance scivolata sul divano, sotto di lui. Abbassò la vestaglia blu che a stento copriva il corpo del Principe in un seducente gioco di vedo, non vedo. Baciò la pelle ambrata tracciando una linea invisibile tra la spalla ed il collo.
Lance reclinò la testa da un lato e chiuse gli occhi. Era passato troppo tempo, quella volta sarebbe stata dura fingere di non amarlo.
“Sei ancora bagnato…” Commentò Sven con voce roca contro la pelle della sua gola.
“T’infastidisce?” Domandò Lance divaricando le gambe per permettere all’amante di stendersi meglio sopra di lui.
Sven sorrise contro la sua bocca, prima di baciarlo. “No, ma sono curioso…”
Lance lo guardò incuriosito strofinando la punta del suo naso contro la sua. “Che cos’è che ti stuzzica, Sven?”
Il Terrestre fece scivolare una mano tra le sue gambe. Gli occhi blu di Lance divennero grandi, poi si chiusero nuovamente. “Sven…” Chiamò con voce rotta.
“Shhh…” Sussurrò l’altro contro il suo orecchio prendendo tra i denti la piccola punta con gentilezza. “Sei bagnato anche qui, ne sono onorato.”
Lance abbandonò la nuca contro il bracciolo del divano, il labbro inferiore stretto tra i denti. Le dita di Sven gli sfioravano i testicoli ed accarezzavano la calda apertura al di sotto senza penetrarla.
“Così mi uccidi,” mormorò Lance con voce tremante.
“Ti ho già detto che amo l’anatomia Altean?” Sven gli mordicchiò il mento.
Lance ridacchiò. “In realtà, quasi tutte le razze dell’universo si sono evolute per ovviare ad incovenienti come questo.”
“Ahimè, i Terrestri non sono tra questi.”
Il Principe cercò alla cieca la cintura dell’amante e se ne liberò velocemente. Sven lo aiutò ad abbassare i pantaloni. Lance si umettò le labbra con anticipazione, mentre le sue dita si chiudevano intorno al sesso dell’uomo che non sarebbe mai stato il suo compagno, non come Sven avrebbe voluto o come lui negava di volere.
“Sven, ti prego…” Lance non voleva che finisse in fretta ma era passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che si erano sfiorati. Aveva bisogno di quel calore, di quell’amore.
Sven lo baciò e si prese tutto il tempo per divorare quelle labbra con languore. Le sue dita osarono di più e varcarono la soglia umida del sesso del Principe con gentilezza.
Lance s’irrigidì, poi gemette e si sciolse sotto quelle mani esperte.
Sven diceva di non avere nessuno, all’infuori di lui ed il Principe non era certo di potergli credere, non con la vita da avventuriero che aveva scelto per sè. Quel che era certo era che Lance era un nome su una lunga lista, Sven invece era il primo ed unico amante del Principe di Altea.
Sven era la ragione per cui Allura lo aveva cacciato dalla corte etichettando la sua condotta sconveniente e scandalosa per un Principe, un figlio di Alfor. Lance avrebbe potuto replicare in modo velenoso a quell’accusa, gli sarebbe bastato pronunciare il nome di Shiro per vincere quella battaglia. Sua sorella, però, aveva deciso di umiliarlo pubblicamente e Lance non aveva potuto infrangere il giuramento che suo padre lo aveva obbligato a fare.
“Non dire niente di quello che hai visto quella notte, piccolo,” lo aveva pregato Alfor stringendolo a sè. “Dimentica, Lance. Dimentica tutto.”
Lance non aveva dimenticato nulla.
Allura, invece, sembrava aver perso il suo cuore nell’oscuro processo che l’aveva strappata alla morte.
Le mani di Sven lo liberarono dalla stoffa della vestaglia definitivamente. Lance si aggrappò alle sue spalle e scacciò via ogni pensiero, mentre il suo uomo lo penetrava lentamente, attento a non fargli male.
“Sven…” Gemette il Principe inarcando la schiena ed andando incontro al suo amante. “Sven…” Non poteva non chiamare il suo nome, non quando sapeva che il loro tempo era limitato. “Sven…”
Lui non smise di baciarlo nemmeno per un istante. Il collo, il viso, le labbra… Sven era bravo a fargli dimenticare il mondo che lo circondava, a portarlo in una realtà in cui esistevano solo loro due. “Guardami,” ordinò il Terrestre, la voce resa più profonda dal piacere crescente. “Guardami, Lance.”
Il Principe obbedì e Sven gli sorrise appoggiando la fronte alla sua. “Sei bellissimo,” soffiò contro le sue labbra.
Quella volta, fu Lance a divorargli le labbra. “Vieni dentro di me…” Suonò come una preghiera disperata e lo era. Lance gli circondò la vita con gambe e la sua testa scivolò giù dal bracciolo, mentre Sven si sollevava sulle ginocchia e gli afferrava i fianchi.
Lance tremava. Artigliò la stoffa della vestaglia su cui era steso ma non fu un appiglio sufficiente. Si aggrappò al bracciolo del divano sopra la sua testa. Il suo corpo era la corda tesa di uno strumento ad arco ed ogni vibrazione era una scarica di piacere che lo faceva tremare da capo a piedi.
I suoi gemiti ed i sospiri di Sven erano la melodia più bella dell’universo. Lance non avrebbe voluto ascoltare altro per tutta la vita ma anche quella composizione era destinata a finire.
Sven fece aderire il palmo al petto di Lance, fece scorrere le dita sull’addome e prese il suo pene tra le dita.
“Sì!” Lance aprì gli occhi. “Sì, Sven! Sì!”
L’unico rimpianto di Sven era di non poterlo baciare in quella posizione. “Lance… Lance, io ti…”
Il Principe mise a tacere quella confessione con un gemito più lungo degli altri. Il suo seme si riversò tra le dita del Terrestre.
Sven chiuse gli occhi, abbandonò la ragione si perse completamente nel calore bagnato del suo corpo. Nel sentirlo riversarsi in lui, le labbra di Lance si piegarono in un sorriso stanco. “Non uscire,” lo pregò con un filo di voce, le braccia abbandonate pigramente sopra la testa e gli occhi ancora chiusi. “Voglio sentirti ancora un po’.”
Sven si mosse in modo da potersi stendere su di lui.
Non appena sentì le labbra dell’amante sulle sue, Lance lo strinse a sè. Il Terrestre gli passò una mano tra i capelli ancora umidi e sollevò la palpebre.
Il blu dei suoi occhi si fuse all’argento di quelli di Sven. “Ho una confessione da farti,” disse quest’ultimo.
Lance sospirò con aria malinconica. “Sven…”
“Lo so, è contro le regole dirti che ti amo,” lo anticipò il Terrestre. “Non puoi impedirmi di essere innamorato dei tuoi occhi, però.”
Le gote di Lance si colorarono ed la curva delle sue labbra si addolcì. “È l’unica cosa che ho ereditato da mio padre, lo sai? I miei occhi e questi…” Passò la punta delle dita sul marchio azzurro sullo zigomo sinistro. “Mia sorella ha qualcosa di lui ma, in generale, è identica a sua madre.”
Sì, sua madre, la Regina di Altea, la donna che aveva dato alla luce Allura ma non lui. Alfor lo aveva imboccato di segreti dal giorno della sua nascita, per questo non gli era stato difficile pretendere che dimenticasse tutto della notte in cui sua sorella era morta.
Perchè sua sorella era morta.
Non era sopravvissuta miracolosamente al veleno, come avevano raccontato a tutta la corte. Suo padre aveva fatto qualcosa… Qualcosa d’imperdonabile ma Lance non sapeva cosa.
“Ehi…” Sven lo riportò alla realtà con una carezza. “Ci soffri ancora?”
Lance non aveva mai condiviso con il suo amante gli orrori di quella notte: sarebbe stato troppo pericoloso per Sven. Tuttavia, non era a sua sorella che il Terrestre si riferiva.
Lance scrollò le spalle. “Sapere di essere un figlio illegittimo non ha cambiato di molto la mia posizione,” disse. “Non appena sono venuto al mondo, sono stato legittimato e mio padre non mi ha mai fatto pesare le circostanze della mia nascita e nemmeno Allura.” Suo malgrado, questo Lance doveva riconoscerlo. “Non è essere figlio di una Terrestre qualunque che mi ha reso indegno agli occhi della Regina.”
Suo padre aveva abdicato in favore di Allura da due anni e lei si era subito distinta disintegrando completamente i rapporti con il Regno dei Galra e cercando di appropriarsi del Sistema di Nacxela. Alfor si era opposto con tutte le forze a quella decisione folle e, per tutta risposta, sua sorella gli aveva riservato la stessa cortesia che aveva avuto nei confronti del fratello: aveva cacciato il padre che aveva sempre adorato dalla sua corte, come se fosse un fastidio.
“Lance…” Sven gli baciò il collo lentamente ed il giovane Altean sorrise.
“Questa notte, ti voglio nel mio letto,” ordinò il Principe.
Il Terrestre sorrise contro la pelle delle sua gola. “Come desiderate, Altezza..”
Confinati in cucina per loro scelta, Hunk stava passando il momento peggiore di tutta la giornata e Katie, al contrario, si stava gustando il momento.
“Forse, dovremmo portare loro degli stuzzichini,” disse il buon, vecchio Coran aprendo la credenza in cerca d’ispirazione. “Lance ha mangiato così poco a pranzo! Anzi… Ultimamente, mangia troppo poco tutti i giorni! Sì, sono necessari degli stuzzichini!”
Occupata a sorseggiare il suo tè caldo per nascondere il suo sorrisetto beffardo, Katie non disse nulla. Il povero Hunk, al contrario, impallidì di colpo. “Coran, sono certo che Lance ci avrebbe chiesto di preparare a lui e Sven qualcosa, se…”
“Lance mangia troppo poco!” Insistette il vecchio Altean recuperando ingredienti alla rinfusa dalla credenza per preparare qualcosa che lui –e solo lui– avrebbe trovato delizioso. “Ordinare del cibo è l’ultimo dei suoi pensieri.”
“Eccome se lo è,” mormorò Katie con un sorrisetto sadico, “sta facendo una dieta speciale.”
“Signorina!” Coran gli puntò il dito contro. “Parla chiaro o non parlare per niente!”
Katie tornò a bere il suo tè trattenendo una risata. Hunk le diede una gomitata sotto il tavolo e la pregò con lo sguardo di dargli man forte. Ovviamente, non accadde.
“Coran, Lance non apprezza la tua cucina e lo sai!” Non era nelle intenzioni del povere Hunk essere sgarbato ma era assolutamente necessario che il vecchio Altean se ne stesse lontano dalla veranda il più possibile, fino a che non era il Principe a richiedere la loro presenza.
Coran non se la prese. Al contrario, non esitò a replicare. “Come se non lo sapessi!” Esclamò. “Sarai tu a preparare qualcosa?”
Hunk s’indicò. “Io?”
Per poco, Katie non si strozzò con il mio tè.
“Lance si lamenta della mia cucina, si lamenta se entro in una stanza in cui c’è anche Sven… Oh! Si lamenta di tutto, quel ragazzo! Però, mio giovane Hunk, non si lamenta di te!” Concluse Coran.
Il viso di Hunk assunse delle preoccupanti sfumature blu. “Io? Devo andare in veranda? Io?”
Coran annuì con fermezza. “Fai il suo sandwich preferito, avanti!” Ordinò indicando il bancone della cucina. “Solo tu sai come mettere insieme quella schifezza! Ah, i giovani d’oggi...”
Hunk impiegò venticinque minuti a preparare un panino e si decise a portarlo a termine solo quando Coran cominciò ad urlargli contro che stava calando il sole e che Lance non poteva rovinarsi l’appetito per l’ora di cena.
Ci mise il doppio del tempo necessario per attraversare la reggia e raggiungere la veranda.
Per sua fortuna, quando varco l’ingresso, la cintura dorata della vestaglia blu di Lance era stretta saldamente intorno alla sua vita ed anche Sven aveva tutti i vestiti addosso.
“Hunk!” Il Principe si alzò dal divano e gli rivolse un gran sorriso. “Tempismo perfetto! Stavo morendo di fame!”
Hunk forzò un sorriso, annuì e s’impegno a non svenire sul pavimento della veranda.
[Daibazaal]
Zarkon era fuori di sè. “Una cosa dovevi fare!” Ringhiò camminando avanti ed indietro per il laboratorio. “Una sola ma hai deciso comunque di fare di testa tua!”
“Fermo, Lotor,” ordinò Honerva afferrando il mento del figlio. Gli stava medicando i tagli sul viso da qualche minuto e non era riuscita a dire una parola: suo marito non la smetteva di borbottare e sbraitare da quando il loro unico erede aveva rimesso piede su Daibazaal.
Lotor lo ignorava deliberatamente con espressione annoiata.
Stanco di urlare, Zarkon lo squadrò con espressione severa. “Non hai nulla da dire in tua difesa?”
Mentre finiva di disinfettare il taglio più profondo al di sopra del sopracciglio chiaro, Honerva guardò il figlio dritto negli occhi, lanciandogli un messaggio silenzioso. Non lo sfidare, dicevano i suoi occhi. Non fatevi la guerra come al solito.
Lotor rispose allo sguardo e ne comprese il significato senza sforzo ma era troppo ostinato per piegare la testa, anche di fronte al suo Re. “Mi spiace,” disse con sarcasmo, “mio padre mi ha insegnato a non essere un codardo. Quello da biasimare è lui.”
Honerva chiuse gli occhi con rassegnazione e si allontanò dal figlio portando con sè il cotone ed il disinfettante. Contò fino a tre e la voce di Zarkon spezzò il silenzio, più iraconda di prima: “non ti permettere, ragazzino!”
“Ragazzino…” Sussurrò Honerva con una smorfia facendo ordine sul suo tavolo da lavoro.
Lotor si alzò dalla sedia su cui sua madre lo aveva spinto e fece per andarsene.
“Non osare uscire da quella porta!” Ringhiò Zarkon puntandogli l’indice contro. “Hai detto di non essere un codardo, allora affronta le conseguenze delle tue azioni!”
Lotor si voltò e resse lo sguardo del padre senza problemi. “Siamo onesti,” disse allargando le braccia. “Hai veramente pensato che avrei consegnato le dosi di quel farmaco al fronte e che sarei tornato a casa come era nei piani?”
“Sì, perchè questi erano gli ordini!” Esclamò il Re dei Galra con rabbia. “Se io ti do un ordine, io mi aspetto che tu lo rispetti!”
“Allora hai aspettative molto poco realistiche!” Replicò Lotor con forza.
Honerva gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla: era sempre così controllato, fino a che non si ritrovava faccia a faccia con suo padre.
“Il fronte stava per cedere!” Aggiunse il Principe. “Era mio dovere restare lì e fare qualcosa!”
“Non sei ancora Re, ragazzino!”
“Forse dovrei diventarlo!” Sbottò Lotor esasperato. Se ne pentì immediatamente.
Honerva sollevò gli occhi su entrambi e vide che l’espressione di suo figlio era cambiata drasticamente, come quella di suo marito. C’era del senso di colpa riflesso negli occhi color indaco di Lotor ma non avrebbe mai dato voce a quel sentimento per troppo orgoglio. In questo, come in molte altre cose, padre e figlio erano identici: non si disturbavano a chiedere il permesso e nemmeno chinavano la testa per scusarsi.
Honerva sospirò ed aggiustò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. “Il consiglio di guerra deve essere riunito,” disse voltandosi. “Vai, Lotor. Pensaci tu e non dimenticare di contattare i Comandanti che sono ancora a Nacxela.”
Lotor avrebbe voluto dire altro ma si limitò ad annuire ed accettare la via di fuga che sua madre gli stava offrendo.
Non appena il Principe uscì dal laboratorio, Zarkon si massaggiò la fronte stancamente. Sentiva gli occhi di sua moglie su di sè ma reggere lo sguardo di Lotor era già stato abbastanza faticoso e sapeva che Honerva sapeva essere decisamente più ostinata. “Che cosa c’è?” Domandò fissando un punto qualunque del pavimento.
Honerva non accettò quella finta nonchalance. “Ti ha ferito,” disse. “E tu hai ferito lui.”
Suo malgrado, Zarkon cercò i suoi occhi. “Come lo avrei ferito, di grazia?”
“Nessuno dei due ha detto quello che pensa davvero!” Esclamò Honerva incrociando le braccia sotto al seno. “Perchè non sei sincero con lui? Perchè non gli dici quello che ti passa per la testa?”
“Che cosa dovrei dirgli, Honerva? Non riesco ad aprire bocca senza che lui mi butti fango addosso?”
“Che sei orgoglioso di lui!” Rispose sua moglie con fermezza. “Digli che hai paura ogni volta che non torna a casa quando ce lo aspettiamo ma che sei orgoglioso di lui!”
Zarkon scosse la testa e si voltò per non doverla guardare e Honerva seppe di averla avuta vinta. Come sempre, del resto. Sospirò e si portò davanti a suo marito, poco le importava che lui continuasse a tenere lo sguardo puntato altrove.
“Lotor non voleva dire quello che ha detto,” disse Honerva. “Quando perde la calma, non ragione… Esattamente come te.” Sorrise.
“Questo non cambia il fatto che io lo pensi,” disse il Re con espressione malinconica. “Quando ha sviluppato il piano politico con cui ora gestiamo le nostre colonie, era solo un ragazzino.” Sbuffò. “Ha cambiato completamente il modo dei Galra di scrivere la storia e non ha ancora la corona. Non posso competere con lui.”
Honerva si umettò le labbra. “Ti prego, Zarkon, non farlo,” disse prendendo una delle sue grandi mani nelle sue. “Lotor è capace ma è giovane e non ha così tanta fretta di divenire Re. Ha detto quel che ha detto solo perchè era arrabbiato e voleva provocarti.”
L’espressione di Zarkon si addolcì. “Non temere, mia adorata,” la rassicurò. “Abdicare in un momento come questo sarebbe una dimostrazione di debolezza imperdonabile. Altea può infierire su di noi e continuare a piegarci ma noi non ci spezzeremo. Per uscire da questa situazione di stallo, la figlia di Alfor dovrà fare un passo indietro.”
Il sovrano di Daibazaal si rifiutava di chiamarla Regina.
[Altea]
Su Altea, il concilio di guerra contava solamente due persone.
“E questo è quanto,” concluse il Generale Hira appoggiando entrambe le mani sul tavolo. Sopra di esso, un grande ologramma del Sistema di Nacxela era l’unica fonte di luce nella stanza del consiglio. “I Galra cadono a centinaia ogni giorno, mia signora ma sono più difficili da sconfiggere di quel che avevamo previsto.” Non le faceva piacere ammetterlo. Non le piaceva tornare ad Altea con quella che non era nè una vittoria nè una sconfitta.
La Regina Allura sedeva in fondo al lungo tavolo ed osservava lo schema di colori dell’ologramma. C’era troppo viola per i suoi gusti.
“Se continuiamo di questo passo,” disse. “Del sistema di Nacxela non rimarranno altro che macerie e tutta questa guerra sarà stata per niente.”
Hira annuì con aria grave. “Vi chiedo perdono, Maestà.”
Allura scosse la testa. “No, non c’è nulla che debba essere perdonato,” disse. “I Galra rappresentano l’unica minaccia degna di nota nell’universo conosciuto. Zarkon è ancora a capo della coalizione di cui faceva parte anche mio padre. Non ha ancora chiesto l’intervento degli altre Re alleati e questo mi turba.” Appoggiò le spalle all’alto schienale della sua sedia. “Senza contare che la Regina di Daibazaal conosce tutta la teoria alla base della quintessenza.”
“Tuttavia, non la stanno usando,” notò Hira.
“No,” le labbra di Allura si piegarono in un sorriso beffardo. “Devono essere le complicazioni etiche e morali ad impedire alla Regina Honerva di fare quel passo.”
“Abbiamo delle complicazioni belle grosse anche noi,” disse una terza voce, quella di un uomo.
Allura tornò seria di colpo. “Non ti ho sentito entrare,” disse ma non si voltò. Non le serviva.
Hira chinò la testa con rispetto. “Maestà.”
Alfor si fece avanti ed entrò nel cerchio di luce che circondava il tavolo. Allura allontanò lo sguardo dall’ologramma e lo guardò: suo padre sorrideva e pareva divertito.
“Il buon vecchio Zarkon non cambierà mai,” disse nostalgico. “Non ti sta rendendo le cose facili, vero?”
Non appena gli occhi di Alfor incrociarono quelli della figlia, quest’ultima voltò il viso con un movimento veloce. “Non vi ho chiesto di venire a corte, padre,” gli fece notare. Secondo la legge, avrebbe potuto buttarlo fuori da quella sala e dal castello stesso, se solo lo avesse voluto.
Tuttavia, non dimostrare il massimo rispetto per chi l’aveva preceduta sul trono di Altea non era saggio. Ufficialmente, era stato Alfor a decidere di lasciare la corte per vivere il resto della sua vita in tranquillità. Lo aveva fatto per proteggerlo, perchè sarebbe stato pericoloso confessare di fronte ai nobili che la nuova, giovane Regina aveva bandito suo padre in un impeto d’ira.
Allura non aveva avuto gli stessi problemi con Lance. Suo fratello era stato bravo ad offendere la moralità della corte abbastanza da rendere il suo esilio necessario agli occhi di tutti gli Altean. Con Alfor la questione era più complessa. Aveva abdicato in suo favore, certo ma Allura sapeva che non sarebbe mai stata la sola a sedere sul trono di Altea fino a che suo padre era ancora in vita.
“Ho saputo dell’ultima battaglia su Nacxela ed ero preoccupato per mia figlia,” disse Alfor con un sorriso gentile. “Non sarò più il Re ma ho ancora il diritto di essere tuo padre.”
Allura riportò gli occhi sull’ologramma. “Non ero su Nacxela, non avevi ragione di preoccuparti per me.”
Alfor si avvicinò e sfiorò i lunghi capelli della figlia con il dorso della mano. “Sarò sempre preoccupato per te,” disse con malinconia. “È il prezzo da pagare per essere un genitore.”
Allura si sottrasse a quella carezza e lo guardò negli occhi. “Sei qui per dare dare voce al tuo disappunto ancora una volta, padre?”
Alfor scosse la testa. “Nessun disappunto,” disse sedendosi sul bordo del tavolo. In quel modo, dava le spalle a Hira e la escludeva definitivamente da quella conversazione.
Il Generale e la giovane Regina si scambiarono un’occhiata ma rimase in silenzio.
“Voglio solo aiutarti a fare il punto della situazione,” chiarì Alfor. “Sei intelligente ma ho la saggezza della vecchiaia dalla mia parte. Permettimi di dipingere il quadro generale per te, così che tu possa scegliere più facilmente il tuo prossimo passo.”
Allura storse la bocca in una smorfia. “Ho ben chiaro il quadro generale, padre,” replicò. “Siamo in una situazione di stallo. I Galra dovevano essere sconfitti nell’ultima battaglia. Non è stato così, Nacxela è ancora loro ma attaccare ancora significherebbe distruggere ciò per cui abbiamo investito vite, risorse materiali ed energia.”
Alfor annuì. “Non puoi più usare la forza,” disse. “A meno che non voglia giocarti l’appoggio del popolo e della nobiltà e non sei sul trono da abbastanza tempo per permetterti un passo tanto azzardato. Questa guerra di conquista è il primo capitolo del tuo regno. Il tipo di Regina che sarai per la tua gente sarà determinato dal modo in cui lo chiuderai.”
Suo malgrado, Allura non potè obiettare. “Arrendersi o rinunciare mi condannerebbe,” disse. “Non posso apparire debole agli occhi della coalizione di Zarkon.”
“E, come abbiamo già detto, insistere danneggiare la tua immagine agli occhi degli Altean,” sottolineò nuovamente Alfor.
Allura si massaggiò la fronte. “È una situazione di stallo.”
“No, se cambi prospettiva,” disse Alfor con leggerezza, come se la soluzione fosse proprio sotto il naso della giovane Regina e lei non riuscisse a vederla. “Puoi fare un passo indietro ma senza piegare la testa di fronte ai Galra.”
Allura inarcò le sopracciglia. “In che modo?”
Alfor sorrise, soddisfatto di aver ottenuto la completa attenzione di sua figlia. “Esistono altri modi per fare propri i territori di qualcun altro,” disse. “Modi che non richiedono inutili spargimenti di sangue.”
Sven si era addormentato nel suo letto e, steso accanto a lui, Lance lo guardava con gli occhi pieni di amore. Quando l’altro non rispondeva al suo sguardo, poteva permettersi di farlo. Non erano riusciti ad aspettare il calare della notte per fare di nuovo l’amore.
La seconda volta, era stata più dolce, lenta, con Sven seduto contro il grandi cuscini del letto ed il Principe di Altea su di lui. Si erano baciati per tutto il tempo e Sven l’aveva stretto tanto forte da fargli male. In principio, anche Lance si era addormentato, cullato dal calore dell’amante. Era stato un brivido a svegliarlo: nel sonno, Sven si era allontanato da lui.
La luce del tramonto illuminava la stanza di una tiepida luce ed era difficile combattere il desiderio di chiudere gli occhi e lasciarsi andare tra le braccia del sonno.
Lance non voleva addormentarsi. Non voleva perdersi neanche uno di quei momenti in cui poteva aprire il suo cuore a Sven in silenzio, con uno sguardo sincero ed una dolce carezza tra i suoi capelli corvini.
Se il Terrestre era consapevole della profondità del sentimento che il Principe provava per lui, non ne aveva mai fatto parola. Forse, nonostante il suo spirito d’avventura, si era reso conto anche lui dell’impossibilità di costruire un futuro insieme.
Lance sapeva di essere egoista.
Se lo avesse amato davvero come credeva, lo avrebbe lasciato libero di vivere la sua vita e di scrivere la sua storia con qualcuno che potesse seguirlo e renderlo felice per davvero. Tuttavia, Sven ricambiava il suo amore senza paura nè pretese e Lance ne aveva bisogno come l’aria che respirava.
Se nella sua prigione dorata gli fosse stato negato anche quello spiraglio di libertà, sarebbe morto.
Sven lo amava ma non poteva salvarlo. Lance era prigioniero fin dalla nascita e come tale avrebbe vissuto il resto della sua vita. Era una prospettiva terribile ma a cui si era rassegnato da tempo.
Era nato per errore, Lance e lo avevano cresciuto per cortesia, perchè suo padre era sempre stato troppo nobile per non affrontare le conseguenze delle sue azioni.
La sua esistenza, tuttavia, non era nè importante nè necessaria.
“Lance…”
Ancora assorto nei suoi pensieri, Lance si voltò senza pensare.
Sua sorella era sulla porta della camera da letto o lo guardava con disappunto. Imbarazzato, Lance si strinse le coperte al petto. “Allura…” Riuscì a mantenere un tono di voce basso per non svegliare il Terrestre che dormiva accanto a lui.
“Rivestiti, dobbiamo parlare,” disse Allura. “Ti aspetto di là.”
Lance aspettò che la porta si richiudesse, poi scivolò fuori dalle coperte. Non perse tempo a recuperare i suoi vestiti, si limitò ad indossare la vestaglia blu abbandonata in fondo al letto. Le visite di Allura non duravano mai per più di qualche minuto ed il Principe aveva premura di tornare a letto prima che il suo amante si risvegliasse.
Come la sua stanza, anche il salottino privato adiacente era illuminato dalla vivace luce del tramonto. Sua sorella osservava il lago fuori dalle grande finestre, le braccia incrociate sotto al seno ed il viso congelato in un’espressione austera.
Incapace di sopportare quella vista, Lance abbassò lo sguardo. Non sapeva dove era finita la fanciulla gentile con cui era cresciuto ma era certo che non l’avrebbe trovata negli occhi blu della giovane donna che aveva davanti.
“Di che cosa volevi parlarmi, Allura?” Domandò il Principe.
Lei non si voltò. “Tutto qui il rispetto che mostri alla tua Regina?”
Lance strinse le labbra e chinò la testa. “Perdonatemi, Maestà. Qual è la ragione che vi ha spinto ad onorarmi con la vostra presenza?” Se c’era del sarcasmo nella sua voce, non poteva farci niente.
Allura non disse nulla in proposito. “Nuoti ancora nudo nel lago?”
Lance lanciò un’occhiata allo specchio d’acqua visibile dalle finestre. “Non siamo a corte,” le ricordò. “Qui non c’è nessuno che si preoccupa a scandalizzarsi per la mia condotta poco opportuna.”
“I miei uomini hanno sentito alcuni dei nobili più giovani commentare beffardamente questa tua abitudine,” replicò la Regina.
Lance sgranò gli occhi ed impallidì. “Pensavo che vi fossero delle guardie a protezione di questa reggia.” La sola idea che qualcuno lo spiasse nei suoi momenti di libertà lo spingeva a provare una rabbia a cui non era abituato e che non gli piaceva affatto.
“Devono averle evitate,” disse Allura con tono incolore. “Dopotutto, non vi è l’intero esercito a vostra protezione.”
“E sono io a venir biasimato per il loro comportamento?” Domandò Lance con le lacrime agli occhi. “Se solo dimostrassi un po’ di rispetto per me…”
“Rispetto?” Alla fine, Allura si voltò e lo guardò con astio. “Ti ho trovato che facevi sesso con un Terrestre sul trono di Altea e nella notte della mia incoronazione. È troppo tardi per chiedermi di provare del rispetto per te.”
Non urlò, la Regina. No, gli ricordò il suo crimine con calma freddezza.
Lance non lo sopportò. “Perchè non sei onesta? Perchè non ammetti semplicemente che la cosa che ti disturba di più è il fatto che Sven assomigli a Shiro?”
Lo schiaffo che si abbatté sulla sua guancia non lo sorprese ma non fece meno male per questo.
Lance si portò una mano al viso. Piangeva ma non se ne vergognava: aveva il diritto di disperarsi per quel che sua sorella era diventata.
“Non pronunciare il suo nome,” sibilò Allura.
Lance non replicò, lo sguardo basso. “Pensi ancora a lui…” Non era una domanda.
“Insisti, Lance?” La Regina era adirata. “Non perderò tempo a parlare con te di un errore della mia fanciullezza.”
Lance si massaggiò la guancia distrattamente. “Lo amavi,” le ricordò. “Come può essere un errore?”
Per un attimo, temette che sua sorella lo colpisse di nuovo ma non accadde. “Tu ami il tuo Terrestre?” Domandò.
Lance la guardò con occhi pieni di paura. “Non prendertela con Sven, ti prego,” disse con voce rotta dal pianto. “È tutto quello che ho, Allura. Tutto quello che ho,” singhiozzò, “e so che non durerà per sempre. Non portarmelo via prima che sia lui a decidere di dimenticarmi, ti scongiuro.”
Insensibile alla sua disperazione, Allura sospirò con aria annoiata. “Temo che dovrai biasimare nostro padre per questo.”
“Cosa?” Lance non poteva credere alle sue orecchie. Non era mai stato il figlio preferito del Re di Altea ma suo padre non gli aveva mai fatto nulla di male… A parte coinvolgerlo nei suoi scomodi segreti.
“Devi sapere che la guerra ha subito una battuta d’arresto,” disse Allura. “Non abbiamo sconfitto i Galra e, pur avendo i mezzi per farlo, se ci riprovassimo, la corona di Altea potrebbe uscirne danneggiata.”
Lance ascoltò comprendendo solo metà di quello che gli veniva detto: non era stato educato per essere un guerriero nè un politico e la guerra era una di quelle faccende che mai lo avevano sfiorato.
“Dobbiamo aspettarci un attacco Galra?” Domandò timoroso.
Allura scosse la testa. “No, non ancora.”
Lance aggrottò la fronte. “Che significa non ancora?”
“Nessuno dei due può fare un passo in avanti,” spiegò Allura. “E nessuno dei due vuole fare un passo indietro. Riesci a capire cosa significa questo, Lance?”
Il Principe sbatté le palpebre un paio di volte. “Vuoi fare un accordo con Zarkon?”
Allura gli rivolse una smorfia derisoria. “Bravo, Lance, vedo che sei attento.”
Il giovane Altean strinse le labbra e si costrinse a non risponderle a tono: la guancia bruciava ancora. “Che cosa ha a che fare tutto questo con me?” Domandò, invece.
Gli occhi blu di Allura si accesero. “Nostro padre mi ha giustamente ricordato che esistono altri modi per fare proprio un Regno nemico. In particolare, vi è un modo che ci richiederà il minimo sforzo e poco impegno economico.”
Lance la osservò con fare guardingo. “Ovvero?”
La giovane Regina si avvicinò di un paio di passi, quelli necessari per poter posare una carezza tra i capelli castani del fratello minore. “Ho bisogno che sposi il Principe di Daibazaal.”
Lance non reagì immediatamente. Per un attimo, non comprese nemmeno il significato delle parole che sua sorella gli aveva rivolto. Quando la sua mente riuscì ad incastrare i pezzi, l’espressione del Principe divenne ancora più confusa. “Che cosa stai dicendo, Allura?”
“Che, finalmente, siamo riusciti a trovarti un’utilità,” rispose sua sorella. “Alla fine, hai l’occasione di servire Altea come si richiede ad un Principe degno di questo nome.”
Lance scosse la testa. “Non ha senso quello che dici.”
Allura ridacchiò. “Suvvia, Lance. Avvengono accordi di questo genere dall’alba dei tempi. Non sei nè il primo nè l’ultimo ad unirti ad un’altra famiglia reale attraverso un matrimonio combinato.”
“Allura, quello che dici non ha senso,” ripetè il Principe. “Sei tu la Regina! Altea è tua e non mia!”
“Per questo sarai tu a sposare Lotor,” disse Allura. “Fin tanto che sarò in vita, nessun Galra potrà vantare alcun diritto sul trono di Altea… E conto di restare viva molto a lungo.”
“E perchè la casa reale di Daibazaal dovrebbe accettare un accordo simile?” Domandò Lance. “Che cosa otterrebbero?”
“La nostra parola che non li distruggeremo dal primo all’ultimo, tanto per cominciare. Cedendo loro il nostro adorato Principe, dovranno crederci per forza.”
“Allura, questo piano non ha alcun senso!” Sbottò il Principe esasperato. “Sono sterile, te lo ricordi? Sei tu che mi hai costretto a fare quei test, dopo che mi hai visto con Sven! Sei tu che ti preoccupavi che un altro Principe bastardo potesse infangare la reputazione della casa reale di Altea! Sei tu che mi hai sbattuto in faccia la verità sulla mia nascita!”
Allura gli afferrò la gola e lo costrinse contro la parete alle sue spalle. Era più alta di lui, sua sorella ed era infinitamente più forte. Lei era un’Altean puro sangue e Lance no.
“Stammi a sentire, fratellino,” disse lei con le labbra piegate nell’oscura parodia di un sorriso dolce. “Non possiamo permetterci di continuare la guerra contro Zarkon e Lotor e ancor meno di permettere ad entrambi di riunire la coalizione contro di noi. Vuoi che il nostro mondo venga distrutto, Lance? Sai come sono i Galra, sei cresciuto con loro… Non hanno alcuna pietà sui loro nemici e ne hanno ancor meno contro chi nutrono un forte sentimento di vendetta. Li decimiamo da due anni, Lance. Due anni di guerra ininterrotta. Li abbiamo massacrati, umiliati, sconfitti e piegati ma non riusciamo a spezzarli.”
Le dita di Allura gli strinsero il collo e Lance le afferrò il polso in un gesto meccanico: gli mancava l’aria.
“Vuoi davvero che il nostro popolo conosca la portata della loro rabbia?” Domandò Allura. “Vuoi essere la causa della nostra caduta, Lance?”
Piangendo, il Principe scosse la testa disperatamente.
“Bene…” La Regina lo lasciò andare.
Lance scivolò seduto sul pavimento. Si portò una mano alla gola e, tra un colpo di tosse e l’altro, cercò di ricomporsi, di riprendere fiato. “Allura…” Chiamò.
Sua sorella aveva già recuperato il lungo mantello blu dallo schienale del divano. Gli concesse un’ultima occhiata dall’alto al basso.
“Quando Lotor scoprirà che non posso dargli dei figli, mi ripudierà senza pensarci due volte,” disse singhiozzando. “O farà anche di peggio.”
Allura non parve preoccupata da quella possibilità. “Allora è nel tuo interesse mantenere quel segreto il più a lungo possibile, Lance.” Detto questo, se ne andò e lasciò suo fratello piangere sul pavimento.
[Gamora]
Quello di Gamora era un piccolo sistema al confine tra i territori degli Altean e quelli dei Galra.
Negli anni, Alfor e Zarkon avevano usato il piccolo pianeta da cui prendeva il nome come punto d’incontro per discutere le questioni della coalizione che avevamo creato insieme.
Honerva non aveva mai pensato che ci avrebbe rimesso piede ma la guerra contro Allura aveva spazzato via molte cose che la Regina di Daibazaal aveva sempre giudicato indistruttibili. Prima tra tutte, l’amicizia tra suo marito ed il Re di Altea.
Suo malgrado, pur essendo una donna di scienza, aveva imparato ad accettare che il destino era imprevedibile ed in particolare quello delle famiglie reali.
Dopo due anni di assoluto silenzio e guerra contro Altea, Honerva si aspettava di tutto dai loro vecchi alleati, meno di trovare un messaggio cifrato tra i file del suo laboratorio. Aveva superato facilmente tutti i sistemi di controllo informatico creati da lei e Lotor e Honerva aveva intuito la sua provenienza ancor prima di leggerlo.
Una volta letto il messaggio, aveva eliminato tutte le tracce che si era lasciato dietro ed era uscita dal laboratorio senza farsi vedere da nessuno. Zarkon e Lotor erano ancora chiusi nella sala del consiglio a cercare di venire a capo a quella guerra insensata. Questo le dave almeno un paio d’ore di vantaggio, prima che si accorgessero della sua assenza.
Se tutto andava secondo i piani, sarebbe tornata prima che suo marito avesse perso la testa.
Il castello che Zarkon ed Alfor usavano per le loro riunioni giaceva in stato di abbandono. Sotto alcuni aspetti, il pianeta di Gamora sembrava una miniatura di Altea. Scesa dalla sua navicella, Honerva vide di fronte a sè solo le macerie di un’era già conclusa.
Strinse le labbra ed entrò nell’edificio a sguardo basso. Non c’era nessun soldato ad attenderla e questo la rasserenò un poco ma non abbastanza da spingerla ad abbassare la guardia.
L’uomo che le aveva spedito quel messaggio criptato l’attendeva in una sala più grande delle altre. Quella in cui, un tempo, soleva radunarsi il consiglio di un sistema di alleanze che aveva fatto della libertà dell’universo la sua priorità.
Non appena la vida, Alfor le sorrise come si soleva fare con una vecchia amica. “Honerva…” Fece un passo in avanti.
La Regina di Daibazaal sollevò il braccio destro mostrando la blaster stretta nel pugno.
Alfor sgranò gli occhi e si arrestò. “Oh, giusto,” sollevò entrambi le mani per dimostrare che non era armato e non aveva brutte intenzioni, “sei la Regina dei Galra.”
“Che cosa vuoi?” Domandò Honerva freddamente.
Alfor, però, continuò a sorriderle. “Sei sei qui, significa che ricordi ancora il nostro codice segreto.”
Honerva si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. “Le pensavi tutte pur di distrarmi dalle lezioni di alchimia.”
“Ehi, era la migliore ed io dovevo pur difendermi in qualche modo!” Si giustificò Alfor allegramente.
“Te lo chiederò solo un’altra volta, Alfor,” disse la Regina di Daibazaal. “Che cosa vuoi?”
“Parlare,” rispose l’uomo che era stato il Re di Altea. “E ti sarei grato se potessimo farlo senza armi nel mezzo.”
Honerva inspirò profondamente dal naso ed riabbassò il braccio lungo il fianco. “Non ti cederò la mia arma,” lo avvisò.
“No, certo che no,” disse Alfor. Se lo era aspettato. “Mi accontento di non avere quella cosa puntata in faccia.”
“Dunque?” Insistette Honerva.
“Posso avvicinarmi?” Domandò Alfor.
Lei annuì. “Attento a quello che fai.”
“Sono qui per proporti una soluzione, Honerva.”
Il viso della Regina dei Galra divenne una maschera di rabbia. “Una soluzione?” Sibilò. “Non siamo noi ad aver cominciato questa guerra, Alfor!”
L’ombra del senso di colpa rese più scuro il viso del Re di Altea. “Mi disp-”
“Non osare!” Gli ordinò Honerva. “Non hai cercato di fermare tua figlia! Non hai fatto niente per impedire che il lavoro tuo, di Zarkon e dei vostri alleati andasse completamente in pezzi.”
Alfor sospirò. “Non è così semplice, Honerva.”
“Sono una madre ed una Regina, non perdere tempo a farmi lezioni su cosa è facile e non lo è nel crescere un erede al trono!”
Alfor annuì. “Sto cercando di rimediare, Honerva.”
“Come hai fatto la notte in cui è morta Allura?” Domandò lei.
L’Altean strinse i pugni e, per un attimo, anche la sua espressione s’indurì. “Sei una madre, eppure continui ad accusarmi per quello che ho fatto.”
“Se pensi che commetterei l’errore di trasformare Lotor in un mostro e farlo passare come disperato atto d’amore, ti sbagli di grosso!”
Alfor la guardò dritto negli occhi. “Qualcuno mi dice che Zarkon non sarebbe d’accordo.”
Honerva strinse le labbra e rimase in silenzio.
“Ho ragione, vero?” Alfor si avvicinò ancora di un passo. “Vi conosco entrambi da tutta la vita e non ho difficoltà ad immaginare cosa farebbe Zarkon, se suo figlio morisse urlando di dolore tra le sue braccia.”
“Zarkon perde la testa ogni volta che Lotor mette piede su Nacxela.”
“Lo so,” Alfor annuì. “Per questo sono qui e ho bisogno che mi ascolti.”
“Perchè io?” Domandò Honerva. “Perchè non Zarkon?”
“Prima di tutto, non sapevo come arrivare a lui senza che tutto il Regno dei Galra lo sapesse,” rispose Alfor. “Secondo, perchè sei un Altean e sei una madre.”
Honerva inarcò le sopracciglia. “Che cosa centra questo?”
“Ho convinto Allura a fare un passo che porrà fine alla guerra e non posso rischiare che Zarkon rifiuti la sua proposta per orgoglio.”
“Vai avanti,” gli concesse la Regina.
Alfor sorrise. “Vorrei concedere la mano del mio Lance al tuo Lotor.”
Honerva inarcò le sopracciglia fino a che le fu fisicamente possibile. “Prego?”
“Sono serio!” Esclamò Alfor. “Il mio Lance è un dolce e vivace ragazzino ed il tuo Lotor un grande guerriero ed uno stratega brillante. Saranno una coppia meravigliosa!”
Honerva lo guardò come se fosse completamente impazzito. “Fammi capire,” disse massaggiandosi la fronte. “Tu vuoi mettere una piccola copia di te con la versione per metà Altean di Zarkon?”
Alfor aggrottò la fronte. “Lotor mi è sempre parso abbastanza manipolatorio, tipo te.”
La Regina incassò l’insulto involontario alzando gli occhi al cielo. “Altean per metà, Alfor. Altean per metà…”
“Io e Zarkon funzionavamo!” Esclamò Alfor come se fosse una giustificazione. “Anche io e te funzionavamo.”
“Come alleati!” Replicò Honerva con forza. “Amici! Compagni sul campo di battaglia! Come due Re che vivono ognuno sul proprio pianeta!”
“Honerva, rifletti,” la pregò Alfor. “Un matrimonio sistemerebbe ogni cosa e la coalizione tornerebbe ad esistere e più forte di prima.”
Honerva scosse la testa. “Lotor non mi perdonerà mai, se lo costringo a fare questo.”
Alfor sorrise con malinconia. “E così non mi perdonerà Lance,” ammise. “Tuttavia, sono nati Principi, Honerva ed è una maledizione da cui non possono liberarsi.”
La Regina di Daibazaal incrociò le braccia sotto al seno. “Cosa mi dici del tuo Lance?” Domandò con voce più gentile. “Ricordo che era molto legato al piccolo Keith.”
“Sì,” confermò Alfor. “Dovrebbero avere la stessa età.”
“Lui e Lotor si saranno parlati un paio di volte in tutti quegli anni?” Ipotizzò Honerva scuotendo la testa. “Vuoi veramente costringere il minore dei tuoi figli ad un matrimonio combinato?”
“Sembri più preoccupata per mio figlio che per il tuo.”
“Sarà Lance a ritrovarsi in un pianeta sconosciuto,” disse Honerva. “E sarà Lance a divenire il Principe Consorte di un popolo che non è il suo. Anni fa, ho scelto lo stesso destino da donna adulta e non è stato semplice, Alfor. Sarà una tortura per un ragazzino che non può far valere la propria volontà.”
Alfor abbassò lo sguardo per un istante. “Lo so,” disse con tono grave. “Ma Allura ha i mezzi per spazzare via il Sistema di Daibazaal. Questo la condannerebbe come Regina ma è l’unico pensiero a fermarla. Non possiamo permetterci di sfidarla ulteriormente.”
Honerva inarcò le sopracciglia. “Possiamo?” Ripetè perplessa. “Da quando sei coinvolto nella difesa del popolo dei Galra?”
“Non sono più un Re, Honerva,” le ricordò Alfor. “Mio malgrado, non è il popolo di nessuno che sto cercando di proteggere, non ne ho più il potere.”
Honerva lo guardò dritto negli occhi. “Che cosa stai cercando di fare davvero, Alfor?”
Alfor si fece immediatamente serio. “Vorrei chiederti un favore d’amico, Honerva...”
[Altea]
Quando la notizia arrivò ufficialmente alla reggia sul lago dei giardini reali di Altea, Coran portò i due più cari amici del Principe in cucina e spiegò loro quanto stava per accadere a Lance.
“Non ho capito,” disse Hunk, quando il vecchio Altean ebbe finito di parlare.
“Hai capito benissimo, invece,” replicò Katie, era sconvolta almeno quanto lui.
Coran sospirò. “La decisione è stata presa ieri al tramonto,” spiegò. “Pare che Alfor abbiamo incontrato la Regina Honerva di nascosto e che lei abbia accettato la sua offerta.”
Hunk scosse la testa. “Io continuo a non capire,” ammise. “Lance non ha mia avuto nessun ruolo nei giochi politici, senza contare il modo in cui la nobiltà parla di lui.”
“Non è neanche vergine,” aggiunse Katie. Hunk le diede una gomitata. “Ehi!” Esclamò lei irritata. “Non era un giudizio nei confronti di Lance! Dico che è un requisito richiesto nei matrimoni combinato… Oppure no?” Si rivolse a Coran.
Il vecchio Altean sospirò. “Simili costumi sono superati ma, di solito, il matrimonio è preceduto ad un periodo di fidanzamente in cui ci si assicura che il Principe o la Principessa Consorte non sia… Avete capito!”
Hunk tornò a scuotere la testa. “No, non capisco!” Esclamò esasperato.
“E Sven?” Domandò Katie. “Che ne sarà di Sven?”
Coran non ebbe il cuore di risponderle ed abbassò lo sguardo.
I due giovani amici di scambiarono un’occhiata allarmata.
“Ma così il cuore di Lance finirà in frantumi,” disse Hunk.
Katie abbassò lo sguardo. “Che crudeltà è mai questa?” Domandò con le lacrime agli occhi. “Non è giusto… Non è giusto…”
Coran si sporse sul tavolo della cucina, afferrò una delle piccole mani di Katie e strinse la spalla di Hunk. “In quanto amici, tutto quello che potete fare è stargli vicino.”
“Ma se ne andrà…” Mormorò il ragazzo tirando su col naso.
“Un Principe Consorte non lascia mai la propria casa da solo,” disse Coran. “Sarà mio dovere accompagnarlo a Daibazaal per servirlo e non c’è ragione per cui la Regina debba negare lo stesso onore anche a voi.”
I due giovani annuirono.
“Dov’è Lance?” Domandò Hunk preoccupato. “Non è il caso di lascialo da solo…”
Coran si fece indietro. “Sta parlando con Sven,” rispose. “Diamo loro tutto il tempo di cui hanno bisogno.”
I due amanti erano seduti in fondo al pontile del piccolo lago.
Sven se ne stava con i piedi sospesi sullo specchio d’acqua e fissava gli alberi sulla sponda opposta. Lance aveva le ginocchia strette al petto e guardava il profilo del suo uomo mentre le lacrime gli rigavano le guance.
“Il Principe dei Galra…” Mormorò Sven. “Hanno ceduto la tua mano al Principe dei Galra.” Stentava a crederlo.
Lance strinse gli occhi e nascose il viso braccia. Non riusciva a parlare, non riusciva a pensare. Non ricordava di aver mai provato tanta disperazione in vita sua, nemmeno quando si era svegliato nello studio di suo padre ed aveva udito la Regina di Daibazaal dire a suo figlio che Allura era morta.
Quell’incubo era stato breve. No, aveva assunto un’altra forma.
Da quella condanna, però, Lance non riusciva a trovare una via d’uscita. “Mi dispiace, Sven,” disse con voce rotta dal pianto. “Mi dispiace per tutto quanto.”
Il Terrestre lo guardò. Non piangeva ma il Principe vide nei suoi occhi grigi la stessa disperazione che gli stringeva il cuore.
“Fuggiamo insieme!” Propose Sven avvicinandosi a lui.
Lance scosse la testa. “Sven…”
“So come far perdere le mie tracce, Lance,” disse il Terrestre stringendogli le mani. “Possiamo andarcene ora e non tornare mai più!”
“Sven, ti prego!” Urlò Lance, poi si lasciò andare ai singhiozzi. “Non rendere tutto più difficile, ti scongiuro…”
Sven non si mosse. “Tu vuoi sposare il Principe dei Galra?”
“No!” Sbottò Lance esasperato. “Ma si tratta del mio popolo, capisci? Non riguarda solo me, mia sorella e mio padre! Sto parlando della mia gente, di persone che non hanno mai fatto nulla di male… Non posso condannarle a morte, Sven! Non lo sopporterei.”
Il Terrestre abbassò lo sguardo, lasciò andare le mani del Principe e si arrese. “Lance…”
“Dimenticami, Sven,” lo pregò Lance. “Dimenticami e sii felice. È tutto quello che ti chiedo.”
Gli occhi grigi si fissarono in quelli blu un’ultima volta.
Sven prese il viso del Principe tra le mani. “Temo di non poterti accontentare, Lance.”
Le loro labbra s’incontrarono in un bacio d’addio al sapore di lacrime.
Lance non ebbe il coraggio di guardarlo mentre si allontanava. Non appena le loro mani smisero di toccarsi e gli occhi grigi di Sven di staccarono dai suoi, il giovane Altean nascose il viso tra le mani e pianse tutte le lacrime che gli erano rimaste.
Non seppe per quanto tempo rimase lì, a piangere da solo.
Non udì i passi dell’uomo che camminò lungo il pontile e lo raggiunse ma sobbalzò, quando la sua mano lo toccò.
Lance sentì il respiro venire meno nel riconoscere il viso dell’uomo che era stato il Re di Altea. “Padre,” mormorò.
Alfor si sedette di fronte a lui con un sospiro stanco. “Tu non hai idea di quanto mi faccia male vederti così.”
Lance affondò le unghie nelle sue stesse gambe e voltò lo sguardo. “E non provavi nulla mentre proponevi ad Allura di spingermi tra le braccia del nemico?”
Alfor allungò una mano per fargli una carezza ed il Principe si fece indietro per evitarla.
Il Re non insistette oltre. “Mi fido di Zarkon e Honerva,” disse. “Nonostante le azioni di tua sorella, non si vendicheranno su di te. Questo posso giurartelo, Lance!”
Lance fissò la superficie del lago senza vederla davvero. “Puoi anche giurarmi che sarò felice al fianco di Lotor?” Domandò freddamente. Non era nella sua natura essere così. L’invidia verso sua sorella lo aveva spinto a commettere molte sciocchezze e, fin da bambino, aveva collezionato un gran numero di guai. Perdonare, però, era sempre stato facile per Lance.
Bastava un sorriso da parte di suo padre o di Allura ed il giovane Principe era capace di dimenticare qualsiasi torno subito. Non era una persona rancorosa, Lance. Aveva solo un disperato bisogno di amore.
E la sua famiglia gli stava negando anche quello. Sì, Allura ed Alfor lo stavano condannando ad una vita senza amore, recluso in mezzo ad un popolo che non sarebbe mai riuscito a sentire come proprio.
Alfor impiegò un istante, prima di rispondergli. “Perchè non gli dai una possibilità, Lance?” Propose. “Siete entrambi Altean per metà. Lotor conosce il mondo in cui sei nato e non sarà difficile per lui comprendere le tue abitudini. Inoltre, era un bellissimo fanciullo. Quando lui e Shiro camminavano fianco a fianco nei corridoi del castello, persino il sole sembrava oscurarsi. Ora, immagino sia divenuto un bellissimo uomo.”
Lance fece una smorfia. “Io amo già un bellissimo uomo, padre,” disse. “E sai qual è la cosa peggiore? Non ho mai potuto dirglielo. Ho continuato a fingere che la nostra storia fosse una cosa da poco perchè sapevo di non potergli promettere nulla,” si asciugò il viso con il dorso della mano. “Lui però lo ha capito. Ha saputo leggere nel mio cuore meglio di quanto io sia in grado di fare con me stesso. Non mi ha mai accusato di fargli mancare qualcosa, di essere un bastardo egoista. Si è accontentato di quello che potevo dargli e, in cambio, non si è mai risparmiato con me. Mi ha dato tutto quello che ho sempre desiderato… Tutto e molto di più.”
Il Principe fissò gli occhi in quelli di suo padre. “Il destino mi ha concesso quello di cui avevo bisogno per essere felice, padre ed ho dovuto rinunciarci perchè sono figlio di un Re,” sorrise tristemente. “Il figlio bastardo e per metà Terrestre nato per errore e legittimato per senso di colpa. Comprendi la portata della mia maledizione, padre? Non sarò mai un Re, non sarò mai padrone della mia vita e l’unico modo che ho per dare un senso alla mia esistenza è accettare di essere venduto all’erede al trono di un popolo nemico.” Una serie di singhiozzi sfuggì alle sue labbra tremanti. “Non venire qui con il tuo ottimismo a cercare di farmi sentire meglio. Tu e mia sorella mi avete spezzato il cuore per l’ultima volta e non credo tornerà più integro.”
Il viso di Alfor era quello di un uomo distrutto. A Lance ricordò l’espressione che gli aveva visto in volto la notte in cui la tragedia si era abbattuta sulla loro famiglia. Il Re di Altea aveva assistito alla morte di entrambi i suoi figli ed era rimasto ad assistere impotente in entrambe le occasioni.
“Ascolta, Lance,” disse dolcemente. “Voglio farti un dono per il tuo matrimonio. Qualcosa del Regno di Altea che possa essere tuo per sempre.”
Lance non era interessato e non fece domande.
“Voglio che il Sistema di Gamora o quello di cui fa parte la Terra siano tuoi.”
Gli occhi blu del Principe si fecero grandi. “Cosa?”
“La Terra è il pianeta su cui sei nato,” spiegò Alfor. “Penso che la cosa più giusta sia donarla a te. Gamora è un piccolo Sistema al confine tra il nostro Regno e quello dei Galra e per te sarà facile da raggiungere, una volta che andrai a vivere su Daibazaal. Il pianeta da cui prende il nome è molto simile ad Altea e se ti mancherà la tua casa, lì potrai trovare un po’ di conforto.”
Lance non sapeva cosa dire. In un’altra occasione, sarebbe stato grato di quel dono fino alle lacrime ma le sue guance erano già bagnate e non per la gioia e la commozione. “È la mia dote?” Domandò.
Alfor scosse la testa. “No, non faranno parte dei territori del Galra, a meno che tu non lo voglia. Saranno solo tuoi e di nessun altro.”
Lance comprese che suo padre gli stava concedendo un piccolo Regno simbolico, uno spiraglio da usare per evadere dai suoi doveri. Quel regalo era un po’ come il piccolo lago sotto i suoi occhi: una libertà illusoria di cui godere quando il peso sulle sue spalle sarebbe divenuto difficile da sopportare.
“Grazie, padre,” mormorò il Principe di Altea senza guardare il genitore negli occhi.
Quel giorno, pur avendo un cuore gentile, Lance non sapeva se sarebbe mai riuscito a perdonare Alfor.
[Daibazaal]
Zarkon strabuzzò gli occhi. “Che cosa hai fatto?”
Honerva sospirò e fece appello a tutta la sua pazienza per il lungo discorso che stava per seguire. Il fatto che fossero sposati da abbastanza tempo da avere un figlio adulto, fu l’unica cosa che impedì al Re dei Galra di urlare contro.
“Zarkon, ascoltami,” disse la Regina salendo le scale che la separavano dal trono in cui era seduto suo marito. “È la cosa giusta da fare.”
A Zarkon doveva essersi bloccata la mandibola, perchè continuava a fissarla con la bocca spalancata da un intero minuto. “Mia moglie riceve un messaggio in codice dal Re contro cui stiamo combattendo una guerra…”
“Ad essere precisi, questo conflitto è contro la Regina Allura e non Alfor.”
“...E torna a casa annunciando che nostro figlio è improvvisamente divenuto il promesso sposo del Principe di Altea!” Concluse sbraitando il Re.
Honerva non perse la sua compostezza. “Zarkon…”
“Ti sei vista in segreto con Alfor!”
“Potresti dirlo senza farla passare come una tresca clandestina?” Domandò la Regina con sarcasmo.
Il sovrano dei Galra era fuori di sè dalla rabbia e quella battuta non contribuì a migliorare il suo umore. “Non sei divertente!”
“Non sono qui per scherzare,” replicò Honerva sedendosi sul bracciolo del grande trono. “Rifletti, Zarkon. Sei un Re e sei un grande stratega ma l’orgoglio non ci terrà in piedi in eterno e Kolivan ha già detto che le truppe al fronte sono sfinite. Se Allura ci attacca nuovame-”
“Lo so,” la interruppe il Re.
“Ci aspettavamo che avrebbero fatto qualcosa,” aggiunse Honerva. “Alfor mi ha offerto questo accordo ed io ho accettato. Per il bene della nostra famiglia e della nostra gente, ho dovuto farlo, Zarkon.”
“E se fosse tutta una scusa per prendere tempo?” Ipotizzò Zarkon. “Quel moccioso non ha mai avuto alcun valore sul piano politico. Anche se lo tenessimo come ostaggio, nulla impedirebbe alla Regina di spazzarci via.”
“Non accadrà,” lo rassicurò Honerva. “Fino a che Alfor avrà vita, Allura non ci toccherà più.”
“Come fai ad esserne certa?”
“Mi ha dato la sua parola.”
“La parola di un traditore, Honerva!” Sbottò Zarkon. “Avremo la pace, certo, ma solo per il tempo necessario a quella mocciosa per recuperare le forze!”
Honerva si sporse verso il marito. “E se sfruttassimo questo tempo anche noi?” Propose. “Nella nostra attuale situazione, non siamo in grado di fare niente. Però, se avessi più tempo, Zarkon, potrei arrivare a capo del mistero della quintessenza ed usarla come Allura ha fatto contro di noi.”
Suo malgrado, Zarkon si ritrovò a prendere in considerazione quella possibilità. “Tu credi alla parola di Alfor?”
“Ho le mie buone ragioni per credergli, sì,” disse Honerva.
“E non hai intenzioni di dirmi queste buone ragioni?”
“Prova ad immaginare il contrario,” ipotizzò Honerva. “Se Lotor andasse a vivere alla corte di Altea per un matrimonio combinato, che cosa avrebbe la priorità? Dimmelo: il potere o la salvezza di nostro figlio?”
Zarkon sbuffò. “Perchè mi fai queste domande assurde, ora?”
“Perchè Alfor mi ha risposto in modo molto convincente,” rispose Honerva. “Fino a che avrà fiato in corpo, impedirà ad Allura con tutto quello che ha di venire meno al patto di pace. Il Principe Lance è la nostra unica possibilità di salvezza. Se, alla morte di Alfor, Allura decidesse che non le pesa sacrificare suo fratello per il potere, noi saremo pronti a contrattaccare e su questo sono io a darti la mia parola.”
Zarkon la fissò a lungo. La rabbia era sbiadita e Honerva vide nei suoi occhi tutto l’amore che provava per lei.
Il Re dei Galra prese con delicatezza la mano della sua Regina nella sua e si appoggiò stancamente allo schienale del suo trono. “Perchè tutto questo accada ci rimane d’affrontare un’ultima prova, quella più difficile.”
Honerva inarcò le sopracciglia. “Sarebbe?”
Zarkon la guardò con espressione sconsolata. “Chi lo dice a Lotor?”
Keith entrò nel salone dei duelli nel bel mezzo di una sessione di allenamento del Principe dei Galra con l’unico Generale uomo della sua squadra.
“Micino!” Ezor fu la prima ad accoglierlo abbracciandolo tanto forte che Keith sentì qualche osso scricchiolare.
“Ezor, lasciami andare!” Sbottò la giovane Lama cercando di togliersela di dosso.
“No! Sei così carino!” Gli urlò lei in un orecchio.
Fu Acxa a salvarlo. “Ezor, lascialo andare, lo stai soffocando.”
Seduta sul pavimento, Zethrid rideva sguaiatamente e Narti si era voltata verso il gran baccano provocato dall’entrata in scena del piccolo Galra.
Pur con il broncio, Ezor ubbidì all’ordine della sua superiore.
Acxa si avvicinò al fanciullo. “Cercavi Shiro?” Chiese con quello che sarebbe potuto essere il suo tono gentile.
Keith scosse la testa. “Ho un messaggio per Lotor.”
Il Generale inarcò un sopracciglio. “Da parte di chi?”
“Di Zarkon,” rispose Keith con nonchalance. “Vengo ora dalla sala del consiglio.”
Acxa annuì e si voltò verso i due duellanti.
Lo scontro era finito: Shiro era a terra e Lotor gli stava porgendo una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Non appena fu in piedi, gli occhi grigi del Terrestre incontrarono immediatamente quelli della giovane Lama. “Keith!” Chiamò con un sorriso luminoso.
”Keith!” Gli fece il verso Ezor sbattendo le ciglia in direzione delle compagne. “Che dolce!”
Zethrid sghignazzò e Narti rimase in silenzio.
“Ezor…” La rimproverò Acxa passando una borraccia piena d’acqua al Galra dai capelli corvini. “Penso sarà più felice di averla da te.”
Keith arrossì frustrato e si voltò appena in tempo per ricevere un bacio a stampo da parte di Shiro.
“Ciao,” disse quest’ultimo con il fiato ed un sorriso dolce ad illuminargli il viso.
Per un lungo minuto, la mente di Keith smise di funzionare. Fissò il suo uomo con gli occhi sgranati e gli passò la borraccia piena d’acqua.
“Grazie,” disse Shiro prendendola tra le dita.
Keith accennò un timido sorriso.
Lotor diede a Shiro una pacca sulla schiena e lo superò ridacchiando. “Attento, Campione, non vogliamo che la tua lunga fila di ammiratrici ed ammiratori rimanga delusa perchè baci un gatto randagio.”
Keith tornò subito in sè e lanciò al Principe un’occhiata tagliente. Fu allora che ricordò il motivo per cui aveva disturbato la sessione di allenamento dell’erede al trono e dei suoi Generali. “Ho un messaggio per te,” disse la giovane Lama con un ghignetto beffardo. “Da parte di tuo padre.”
Lotor accettò la borraccia che Acxa gli porgeva e si voltò verso il piccolo Galra. “Che genere di messaggio?” Domandò bevendo un sorso d’acqua.
“Mi ha detto di avvisarti che ti stai per sposare!” Disse Keith a gran voce.
Per tutta risposta, Lotor gli sputò in faccia l’acqua che aveva in bocca.
Ezor scoppiò a ridere sorreggendosi contro la spalla di Zethrid, che batteva il pugno sul pavimento divertita.
“Ke-Keith…” Balbettò Shiro. Acxa gli lanciò un asciugamano e lo afferrò al volo. “Mi dispiace, Keith,” disse, come se fosse stato lui a sputargli addosso e prese ad asciugargli il viso ed il capelli.
Da parte sua, Keith era come divenuto di pietra e Lotor lo fissava come se gli fossero spuntate due teste.
“Che cosa hai detto?” Domandò il Principe, l’espressione sul suo viso era a dir poco orripilata.
Keith aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi serrò i denti sul labbro inferiore e sollevò il pugno destro in un gesto rabbioso e minaccioso al contempo.
“Calmo, Keith,” disse Shiro afferrandogli il polso.
“Ma questo bastardo mi ha sputato addosso!” Sbottò la giovane Lama.
“Ti ho detto di ripetermi il messaggio di mio padre!” Intervenne Lotor con altrettanta rabbia.
“Ha detto che stai per sposarti! Sei sordo, oltre che un grandissimo stronzo? Ti stai per sposare!” Non appena Keith chiuse la bocca, un pesante silenzio cadde nella sala dei duelli.
Shiro passò gli occhi sgranati dal viso del suo compagno a quello del suo Principe un paio di volte. Acxa fissava il profilo di Lotor senza proferire parola. L’espressione sul viso dell’erede al trono di Daibazaal era indescrivibile.
L’unica a reagire fu Ezor. “Lotor si sposa!” Esclamò applaudendo. “Un matrimonio reale! Ho sempre desiderato poterne vedere uno con i miei occhi!”
Zethrid si grattò il retro di un orecchio con espressione perplessa. “Sì, ma con chi si sposa?” Domandò al piccolo Galra.
Keith scosse la testa. “Non me lo hanno detto.”
Lotor storse la bocca in un’espressione beffarda. “È uno scherzo?”
Il fanciullo dai capelli corvini lo guardò indignato. “Ti sembro tanto idiota da fare certe scherzi?”
No, fu la risposta che si diede Lotor. Keith aveva tanti difetti ma essere simpatico non era la caratteristica dominante della sua personalità.
“Ridicolo…” Ringhiò a bassa voce. Spinse la borraccia contro il petto di Keith ed uscì dalla sala dei duelli sul piede di guerra.
“Lotor, aspetta!” Esclamò Ezor correndogli dietro. “Vogliamo sapere con chi ti sposi!”
“E così abbiamo deciso,” concluse Zarkon guardando il leader dell’ordine della Lama di Marmora dritto negli occhi. “Lotor sposerà il Principe Lance ed avremo la nostra pace… Temporanea, perlomeno.”
Kolivan annuì. “Comprendo, Maestà.”
Zarkon si massaggiò la fronte. “Ho mandato Keith perchè lui e Lotor si conoscono da tutta la vita ed il ragazzino non avrà alcun problema ad informarlo dei fatti.”
“Non gli avete parlato del Principe Lance,” gli fece notare Kolivan
“Quando arriverà qui, glielo dirò di persona. Ho il mal di testa al solo pensiero.”
“Coraggio,” sospirò Honerva poggiando una mano sulla spalla del marito. “Sei un guerriero e hai visto centinaia di campi di battaglia.”
“E sarei disposto a combattere su altrettanti, pur di non fare questa cosa… Kolivan! Dove credi di andare?”
Il leader della Lama di Marmora si era spostato davanti alla porta. “Con tutto il rispetto, Maestà,” disse con la sua solita voce atona. “Qualcuno deve sopravvivere per badare ai vostri uomini.”
Kolivan non ebbe il tempo di battere in ritirata. Lotor entrò nella sala del consiglio aprendo la porta con una tale violenza che per poco non lo investì.
“Che cosa significa questa storia?” Sbraitò il Principe battendo entrambi i pugni sul lungo tavolo.
Zarkon si coprì gli occhi con una mano. Almeno non si è presentato armato, pensò trovando in sè la forza di reggere lo sguardo furente di suo figlio. Non appena sollevò il viso, le persone presenti nella stanza erano drasticamente aumentate di numero.
Alle spalle di Lotor erano comparsi i suoi Generali ed il giovane Keith.
“Si è portato l’esercito…” Disse Zarkon a bassa voce.
Non comprendendolo, Honerva lo fissò perplessa.
“Si può sapere che cosa sta succedendo?” Tuonò Lotor con ira.
Zarkon si sollevò in piedi. “Calmati immediatamente, Lotor.”
“Che cos’è questa storia del matrimonio?” Domandò il Principe.
“Lotor…” Honerva si alzò in piedi ed esaurì la distanza tra sè ed il figlio. “È l’unico modo per risolvere il conflitto con Altea senza spargere altro sangue.”
Lotor sgranò gli occhi. “Altea?”
Alle sue spalle, Shiro sentì il respiro venire meno per un istante. Keith, invece, fece un passo avanti. “Che cosa centra Altea? Li sconfiggeremo uno per uno gli uomini di Altea!”
“Keith, contegno,” ordinò Kolivan con voce pacata.
Lotor scosse la testa inorridito. “Se pensate che accetterò che quella donna fac-”
“Non si tratta di Allura,” lo interruppe Honerva prendendogli le mani. “Il tuo promesso sposo è il Principe Lance.”
“Lance!” Esclamò Keith strabuzzando gli occhi. “Volete far sposare Lance con questo str-”
“Keith.” Shiro lo mise a tacere con un’occhiataccia. La giovane Lama smise di parlare ma questo non gli impedì di assumere un’espressione contrariata. “Lance non può venire qui,” disse a voce più bassa. “Non può divenire il Principe Consorte di Daibazaal, Shiro.”
Il suo uomo si limitò a stringergli una spalla. “Non possiamo farci niente, Keith.”
“Lance,” ripetè Ezor voltandosi verso le compagne. “Lo abbiamo mai visto questo Lance?” Domandò in un sussurrò.
Zethrid scrollò le spalle ed Acxa scosse la testa.
“Lance…” Fu il turno di Lotor di pronunciare quel nome. “Il fratello minore di Allura,” ricordò.
Honerva annuì. “L’ultima volta che lo hai visto era solo un bambino. Non ha mai fatto nulla di male a te o alla nostra gente.”
Al capo opposto del tavolo, Zarkon annuì. “Ascolta tua madre.”
Lotor gli lanciò un’occhiata furente. “È tutta una tua idea, non è vero?”
“No!” Esclamò Honerva impedendogli di fare un passo in più. “Tutto è partito da Alfor. Nè noi nè loro possiamo permetterci un’altra battaglia come l’ultima che abbiamo combattuto ed un matrimonio tra te ed il Principe di Altea assicurerà ad entrambe le case reali una pace duratura.” Suo figlio non aveva bisogno di sapere tutto, pensò, non in quel momento e con tante orecchie indiscrete intorno.
Lotor fissò gli occhi in quelli di suo padre. “Che crimine devo commettere per farmi esiliare?”
Honerva chiuse gli occhi e si preparò alla sfuriata in arrivo.
“Tu non vai da nessuna parte!” Esclamò Zarkon puntandogli l’indice contro. “Dovresti decapitare Kolivan per meritare una simile punizione!”
Kolivan drizzò le orecchie ed inarcò le sopracciglia. “Maestà, gli state dando un suggerimento,” lo avvisò.
“Non gli sto dando nessun suggerimento,” replicò Zarkon. “Io sono il Re e sta a me decidere!”
“Esiste l’esilio volontario,” gli ricordò il suo erede.
“Tu non ti muovi di qui, Lotor!” Tuonò il Re dei Galra. “Fino a ieri, parlavi di doveri e di responsabilità. Hai detto di non essere un codardo, dimostralo!”
“Quella che mi proponete non è una sfida ma una prigionia senza fine!” Urlò Lotor.
“Lotor…” Honerva lo costrinse a guardarlo. “Tuo padre ha ragione. Questo non è un gioco e c’è in ballo il destino del nostro popolo. Sei il Principe dei Galra, l’erede al trono di Daibazaal e ti viene chiesto di sacrificarti per la tua gente. Sì, puoi scegliere…”
Zarkon guardò la moglie allarmato. “Honerva…”
“Puoi scegliere se essere un Principe degno di tale nome o un ragazzino che si sottrae alle sue responsabilità quando la situazione si fa scomoda,” disse la Regina con calma fermezza. “Decidi tu che tipo di Re vuoi diventare, Lotor… Sempre ammesso che ci sarà ancora una corona con cui incoronarti, se rifiuterai questa possibilità di ristabilire la pace.”
Il Re dei Galra rivolse alla sua sposa un sorrisetto orgoglioso, poi tornò completamente serio e fissò suo figlio. “Quindi, Lotor?”
Il Principe serrò i pugni. La sua mente reagì in fretta e si mosse alla ricerca di una soluzione al problema che, sì, fosse comoda.
Quindi sei un codardo, sibilò una voce malevola nella sua testa. Sei indegno di essere il Principe dei Galra.
Lotor serrò i denti sul labbro inferiore e inspirò profondamente dal naso. Quando espirò, rilassò le spalle ed i pugni si schiusero.
Guardò entrambi i suoi genitori.
“D’accordo…” Disse con voce priva d’intonazione.
[Altea]
Il Principe Lance lasciò Altea una settimana dopo essere stato promesso al Principe Lotor di Daibazaal. Ad accompagnarlo sarebbero stati il fedele Coran, i suoi amici d’infanzia Hunk e Katie ed il fratello maggiore di lei, Matt. Quest’ultimo aveva espressione il desiderio di non essere separato dalla sorella e si era proposto come curatore personale del Principe.
“Auguro al Principe di versare sempre in ottima salute,” aveva detto al Re di Altea. “Immagino, però, che Lance si sentirebbe più a suo agio a chiedere aiuto ad un Altean, se avesse bisogno.”
Alfor non aveva potuto dargli torto. Inoltre, i genitori dei fratelli Holt lavoravano ancora come alchimisti di Altea sulla Terra e Lance sarebbe divenuto il nuovo giovane signore di quel pianeta. Scegliere che tutta i membri servissero lo stesso Principe era una cosa logica.
Il giorno della partenza, nessuno venne a salutare il giovane Principe. Solo suo padre scese nell’hangar sotto al Castello di Altea, mentre alcune guardie caricavano sulla nave spaziale da viaggio tutti i bagagli del Principe e dei suoi accompagnatori.
Il viso di Lance era pallido ed i suoi occhi erano stanchi. In quei giorni, aveva pianto molto e dormito poco. Era quasi impossibile prendere sonno quando gli bastava chiudere gli occhi per sognare di Sven e dei momenti felici che non avrebbero vissuto mai più.
Alfor provava un dolore immensurabile a vederlo così ma non poteva allietare la sua pena. La sua unica speranza era che, un giorno, sarebbe riuscito a comprendere le reali intenzioni dietro le sue decisioni.
In quel momento, non pretendeva altro che un saluto.
“Lance…” Alfor prese il viso di suo figlio tra le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi. Lance non lo respinse ma erano spenti e tristi i suoi occhi blu.
Il Re gli premette le labbra contro la fronte, poi lo strinse a sè. Seppur debolmente, Lance ricambiò l’abbraccio.
“Sarai al sicuro alla corte dei Galra,” disse Alfor. “Lì sapranno proteggerti come io non sono stato in grado di fare e sono certo che, un giorno, impareranno ad amarti.”
Lance inarcò le sopracciglia. “Cosa intendi dire, padre? Altea è il luogo più sicuro dell’universo.”
Alfor lo allontanò da sè per potersi specchiare in quegli occhi blu un’ultima volta. “In te hai tutto quello che serve per essere un Re, Lance,” disse ed era sincero. “Sai farti voler bene dalle persone e riesci a tirare fuori il meglio in loro. Non smettere di essere te stesso, ti prego e non dimenticare mai chi sei.”
Gli occhi di Lance si riempirono di lacrime. “Perchè adesso?” Domandò con voce tremante. “Perchè mi dici tutto questo solo ora, padre?”
Alfor gli diede un altro bacio ma sulla guancia. “Prego solo che, prima o poi, tu riesca a perdonarmi.”
Lance dischiuse le labbra e fece per dire altro.
“Mio Principe,” lo richiamò Coran a metà della rampa per salire a bordo della nave. “Siamo pronti a partire.”
“Vai,” disse Alfor dandogli un’affettuosa pacca sul braccio. “La tua vita non finisce qui, inizia solo ora, Lance.”
Altre lacrime scesero a bagnare il viso del giovane Altean. Si sentiva perso ed anche tradito ma era troppo tardi per sottrarsi al suo destino.
Si voltò e raggiunse Coran sulla rampa. Il vecchio Alten lo precedette all’interno della nave, Lance si fermò un passo prima di entrarvi: si sentiva osservato.
Si voltò. Dietro i vetri della sala di controllo, Allura stava assistendo alla scena da distanza.
Lance non poteva vedere con chiarezza la sua espressione ma decise di fare una cosa che non faceva fin da bambino.
”Saluta, Lance! Ti ricordi come si fa, vero? Apri e chiudi la manina!”
Così il Principe di Altea salutò sua sorella e la Regina non ricambiò il gesto.
Lance si voltò e fece quell’ultimo passo trattenendo il respiro.
Alle sue spalle, il portellone della nave si chiuse.
Non aveva mai conosciuto sua madre. Gli avevano detto che era morta poco dopo la sua nascita ma suo padre non parlava mai di lei in sua presenza, lo faceva solo con Allura. Molte volte, Lance si fermava davanti ai grandi ritratti di famiglia e si sedeva sul pavimento alla ricerca di una somiglianza, anche se piccola, con la donna che era stata la Regina di Altea.
Non aveva mai avuto fortuna. Avevano ragione i nobili di corte: Allura era il ritratto di sua madre.
E Lance continuava a non assomigliare a nessuno. Era un bambino amato, senza dubbio. Suo padre non perdeva occasione di giocare con lui, di mostrargli i suoi lavori. Nonostante fosse chiaro che Lance non sarebbe mai divenuto un grande chimico o uno spadaccino provetto, Alfor cercava d’insegnargli quello che sapeva, di coinvolgerlo anche quando non era necessario.
Allura, però, era diversa. Lei era l’erede e quando la guardava, gli occhi di Alfor s’illuminavano. Lance non percepiva quella stessa luce quando lo sguardo del Re si posava su di lui ed il sorriso amorevole che suo padre gli rivolgeva sempre non era sufficiente a cancellare quella differenza.
Lance amava Allura e sua sorella lo ripagava con lo stesso amore. Dove Lance, però, dimostrava devozione, Allura mostrava pazienza.
Nelle notti di tempesta, la Principessa accoglieva il fratellino nel suo petto e Lance sapeva di poter piangere tra le sue braccia, se ne aveva bisogno. Tutto ciò non bastava ad appianare la differenza tra di loro.
Allura era il sole e tutte le luci del Sistema di Altea. Lance era una stellina minuscola, visibile solo nelle notti più limpide e prive di luna.
Lance non odiava sua sorella. Non era colpa di Allura, se era migliore di lui e non era da biasimare se, invece di migliorarsi, Lance non faceva che collezionare un guaio dopo l’altro.
Di fronte all’ennesimo dei suoi fallimenti, Coran alzava gli occhi al cielo, suo padre gli concedeva una carezza e sua sorella lo aiutava a rialzarsi sorridendo. “Andrà meglio la prossima volta, Lance,” diceva.
E lui le credeva, anche se non accadeva mai.
Qualunque cosa facesse, rimaneva sempre la stellina che riusciva a brillare a stento. Così divenne più sorridente, più vivace, più rumoroso. Fece di tutto per farsi guardare, anche a costo di risultare noioso, irritante.
Essere mal giudicato non lo spaventava quanto essere invisibile.
Fu l’amicizia, però, a salvarlo dalla solitudine.
Keith fu il primo ad arrivare e l’ultimo con cui riuscì davvero a parlare. Arrivò al Castello di Altea stringendo saldamente la mano di Shiro –figlio adottivo di uno degli ambasciatori di Daibazaal e cresciuto un po’ tra i Galra ed un po’ tra gli Altean– e a nulla servirono i sorrisi incoraggianti di Lance, Keith continuò a nascondersi dietro al bambino più grande con caparbietà.
Shiro aveva l’età di Allura. Erano quasi cresciuti insieme ed erano molto amici.
Quando sua sorella giocava con Shiro, Lance sapeva di non doversi intromettere. Avrebbe voluto, però: Shiro gli piaceva e gli sorrideva sempre gentilmente quando lo salutava.
Con l’arrivo di Keith, quei pomeriggi di giochi tanto attesi da sua sorella finirono. Allura accettò di buon grado la presenza del nuovo bambino –era nato sulla Terra come Shiro, aveva detto Coran, ma era Galra per metà–, Keith non fu altrettanto democratico nell’accettare lei.
Mentre Lance instaurava un saldo legame di amicizia con Hunk e Katie, figli di due alchimisti della corte di suo padre, Allura pretese che suo fratello interpretasse il ruolo del diversivo per staccare –letteralmente– Keith da Shiro.
Funzionò… A metà.
Keith si convinse che il Principe di Altea non era poi una compagnia così noiosa e riuscì a provare simpatia anche per Katie e Hunk. Tutto questo a non più di dieci metri di distanza da Shiro.
Le giornate di sole che Allura e Shiro avevano condiviso fin da piccoli, divennero un caos di bisticci ed inseguimenti –la maggior parte delle volte, tra Lance e Keith. Da due, divennero un gruppo di sei… Sette, quando Matt, fratello maggiore di Katie e promessa dell’alchimia di Altea, si univa a loro e distoglieva l’attenzione di Shiro da Allura più di quanto Keith non facesse già.
Infine, arrivò Lotor.
Lotor, Principe dei Galra, unico figlio del Re Zarkon e della sua sposa Honerva, erede al trono di Daibazaal e futuro signore di tutte le colonie conquistate da suo padre. La prima volta che lo vide, Lance fece proprie emozioni come invidia e disprezzo. Non li aveva mai provati davvero, nemmeno noi confronti della sua amatissima sorella, nè per quell’antipatico di Keith.
Lotor era tutto quello che non ci si aspettava da un Principe Galra. Era alto ma non gigantesco, aveva lunghi capelli bianchi e due occhi color indaco che, sommati al potere persuasivo della sua voce, potevano incantare chiunque. Era viola, primo ed unico dettaglio che tradiva le sue origini Galra. Accanto a Zarkon, suo padre, creava un contrasto che era difficile non commentare.
Eppure, nel suo essere diverso, difettoso agli occhi del suo popolo, Lotor era la perfetta incarnazione del titolo di Principe. Era quello che Lance voleva essere e non sarebbe stato mai.
Prima di diventare Regina di Daibazaal al fianco di Zarkon, Honerva era stata la più grande alchimista di Altea.
Coran aveva raccontato a Lance e sua sorella che se non fosse stato per Alfor, quei due non si sarebbero mai sposati. Di fatto, Alfor era stato amico di entrambi per una vita ma erano state circostanze completamente diversi ad unirli: il talento e la passione per l’alchimia avevano fatto incontrare Alfor e Honerva e, per questioni politiche, la strada del vecchio Principe di Altea aveva inevitabilmente incrociato quella del giovane signore di Daibazaal.
“Si può quasi dire che se non fosse stato per Alfor, Lotor non sarebbe mai nato,” aveva scherzato Coran, una volta.
A Lance quel pensiero non piaceva. Era già difficile accettare che la sua corte avesse sotto gli occhi un Principe degno di tale nome, biasimare suo padre per la sua esistenza era più di quello che poteva sopportare.
Dopotutto, pur non vantando nessun diritto di eredità sul trono, Lotor apparteneva era un figlio di Altea almeno quanto lo erano Lance ed Allura.
Sua sorella aveva quattordici anni, Lance otto e mentre Shiro scivolava via lentamente dalla quotidianeità della Principessa, Lotor ne prendeva il posto.
Tuttavia, non con gli stessi effetti.
Allura e Lotor si tolleravano. In quanto eredi di due Regni alleati, erano costretti a farlo, a rivolgersi l’una all’altro con classe e diplomazia. Lance, alle volte, aveva occasione di assistere ai loro dialoghi di cortesia ed aveva l’impressione che, se avessero potuto, si sarebbero saltati alla gola a vicenda.
Per quanto riguardava lui, Lotor ignorava deliberatamente la sua presenza o, semplicemente, dimenticava che Lance esistesse e basta.
Il piccolo Principe era certo che se la sua mano non fosse stata stretta in quella di sua sorella durante tutti i loro incontri, Lotor lo avrebbe calpestato e si sarebbe scusato sostenendo di non averlo visto.
C’era qualcos’altro, però, che indispettiva Allura più della mera presenza del Principe dei Galra: questi e Shiro andavano molto d’accordo.
In quanto figlio di un ambasciatore di Daibazaal, Shiro aveva avuto occasione di passare tanto tempo con Lotor quanto con Allura.
A peggiorare la situazione era Keith. Il piccolo Galra non provava particolare simpatia per il suo Principe –non che fosse una grande novità– ma erano entrambi mezzo-sangue e tutti e due avevano particolare talento per la spada.
A otto anni, Lance si era spesso trovato affacciato alla balconata che dava sui giardini del Castello di Altea, mentre Shiro e Lotor insegnavano a Keith l’arte della scherma, del combattimento corpo a corpo e tutto quello in cui lui non sarebbe mai stato bravo. Per tutto il tempo, Allura era con lui e guardava il trio di Daibazaal con un’espressione che, ad otto anni di età, Lance non sapeva come interpretare.
Solo più avanti, crescendo, Lance si sarebbe reso conto che quelli erano di occhi con cui un cuore spezzato guardava il suo primo amore.
La svolta avvenne l’inverno successivo: Lotor venne richiamato da suo padre per partecipare ad alcune campagne di conquista e Shiro rimase alla corte di Altea.
Lui ed Allura avevano ormai quindici anni e capitava spesso che Lance e Keith si ritrovassero a giocare da soli quando sarebbero dovuti essere in compagnia degli altri due.
“Chissà perchè si nascondono sempre,” si chiese Lance sollevando gli occhi verso le grandi finestre della sua camera. Lui e Keith erano seduti a terra, circondati da decine e decine di pastelli colorati e fogli da disegnare.
Nulla era riuscito a privare Keith dell’espressione arrabbiata con cui fissava il suo disegno, quasi che quello fosse da biasimare per il suo malumore. Impugnava il suo pastello rosso come se fosse un’arma e Lance lo fissava dispiaciuto. “Keith, Shiro torna,” lo rassicuro. “Starà un po’ con Allura e poi torneranno insieme. Lo fanno sempre.”
“Lo so,” disse il bambino Galra con voce incolore.
“Allora calmati,” disse Lance sorridendo. “Loro giocano insieme e noi giochiamo insieme. Sono più grandi e Coran dice che è normale.”
Keith sollevò i grandi occhi viola. Come con Lotor, quel colore era la sola cosa che, ad occhio nudo, tradiva la sua appartenenza al popolo di Daibazaal.
“Shiro non vuole più giocare con me,” disse Keith. “Dice bugie solo per stare da solo con Allura.”
Lance alzò gli occhi al cielo. “Te l’ho spiegato il perchè!”
“Ma perchè dire bugie?” Domandò Keith con aria ferita. “Perchè non possiamo stare comunque insieme? Loro fanno i loro giochi da grandi e noi facciamo i nostri!”
Lance ci pensò su, poi sorrise con entusiasmo. “Non è una cattiva idea!” Esclamò abbandonando il suo pastello blu ed alzandosi in piedi. “Vado a dirlo ad Allura, aspetta qui!”
La stanza di sua sorella era proprio accanto alla sua e Lance trotterellò per tutti e tre i metri e mezzo che lo separavano dal display per aprila. Al primo tentativo, l’accesso gli fu negato.
Il piccolo Principe fissò la spia rossa con aria smarrita e tentò una seconda volta. Ottenne lo stesso risultato.
“Allura?” Chiamò. “Allura, sono Lance. Keith chiede se possiamo giocare tutti insieme!”
Nessuno venne ad aprirgli e nessuno gli rispose.
Lance si accigliò e provò ad alzare la voce. “Allura!”
Ancora nulla.
Incuriosito ed un po’ scocciato da quel silenzio, Lance premette l’orecchio contro la porta. Dovette concentrarsi parecchio per udire qualcosa. Riconobbe la voce di sua sorella e, pur avendo la certezza che fosse lei, gli suonò estranea.
Non stava parlando. Gli parve di udire il nome di Shiro ma Lance non riuscì a distinguere nessun’altra parola.
L’idea di essere ignorato così deliberatamente da sua sorella, fece ribollire Lance di una rabbia che non aveva mai provato. “Allura!” Chiamò prendendo a pugni la porta.
Ancora una volta, nessuno ascoltò la sua voce.
Tornò in camera sua sul piede di guerra e Keith lo fissò perplesso, mentre attraversava la stanza ed apriva la porta finestra che dava sulla balconata.
“Dove vai?” Domandò il bambino Galra.
“Aspettami qui!” Esclamò Lance arrampicandosi sul parapetto.
Keith sgranò gli occhi e gli corse incontro. “Che cosa fai?” Urlò.
“Shhh!” Lance si premette l’indice contro le labbra. “L’ho già fatto. Stai lì e stai zitto!”
Il piccolo Galra s’imbronciò ma non obiettò.
Lance camminò agilmente sul cornicione e arrivò al balcone della camera da letto di Allura. Non appena lo vide scendere dal parapetto di fronte, Keith lasciò andare un sospirò. “Lance…” Chiamò.
Il Principe si voltò e gli fece di nuovo cenno di stare zitto, poi si sporse in avanti per dare un’occhiata alla scena che si stava svolgendo dietro le alte vetrate. Quello che vide non seppe come interpretarlo: il letto era in disordine e Shiro era seduto sul bordo del materasso senza la maglietta addosso ma non vedeva sua sorella.
Allura comparve sulla scena di colpo, attraversò la stanza raccogliendo i lunghi capelli tra le mani per liberare il viso. Era completamente nuda. “Penso abbia rinunciato,” la sentì dire.
Shiro si voltò a guardarla. “Dovremo tornare da loro.”
Sua sorella sorrise e lo raggiunse sul letto. “Aspetta,” disse mettendosi a cavalcioni su di lui. “Ancora qualche minuto, ti prego…”
Shiro le afferrò i fianchi e si fece spingere sul letto. Allura rise.
Lance si voltò e non guardò oltre.
Tornato dall’altra parte, Keith gli afferrò la mano. “Che cosa hai visto?”
Il Principe scosse la testa. “Lascia perdere.”
Lance non parlò con nessuno di quello che aveva visto e quella notte, raggomitolato sotto le coperte del suo letto, scoppiò a piangere senza sapere perchè. Una parte di lui si sentiva tradita e l’altra era in completa confusione.
Non riuscì a guardare in faccia sua sorella per settimane e quando Shiro portava Keith a giocare con lui, Lance prendeva il piccolo Galra per mano e correvano alla ricerca di Hunk e Katie. Non poteva stare vicino alla stanza di sua sorella, non dopo aver scoperto cosa accadeva dietro quella porta chiusa. Non voleva vedere o sentire niente nemmeno per sbaglio e fece tutto per impedire che Keith avesse ragione di sentirsi tradito da Shiro come lui si sentiva tradito d’Allura.
Ne avrebbero parlato, sì, ma solo molti anni dopo.
Quasi un anno dopo la sua partenza, Lotor tornò in visita alla corte di Altea.
Allura aveva sedici anni e Lance ne aveva dieci.
I Galra erano usciti vincitori dalle loro campagne di conquista ed il Re Alfor decise di organizzare un banchetto in onore di Zarkon e di suo figlio, in nome della loro lunga amicizia.
Quella fu la notte in cui cambiò tutto.
Nei giorni che precedettero il banchetto, Shiro ed Allura non avevano avuto modo di stare molto insieme. Lui, però, aveva smesso di venire al Castello insieme a Keith già da qualche tempo. Lance lo aveva notato perchè, suo malgrado, il piccolo Galra gli mancava ed anche a Hunk e a Katie.
Non ne aveva parlato con sua sorella, però. Non aveva fatto domande perchè Allura gli era sembrata strana in quei giorni, come se qualcosa la preoccupasse al punto da perdere il sonno. Lance aveva notato che aveva spesso gli occhi gonfi, che era pallida e non brillava più della luca che la contraddistingueva.
Per breve tempo, Lance prese in considerazione l’idea che Shiro le avesse fatto del male. A quella prospettiva, un vocina maligna nei recessi nella sua mente rise vittoriosa e se ne vergognò. Non voleva che Allura soffrisse, ma lui era rimasto a piangere da solo per tanto di quel tempo che gli sembrò giusto.
Avevano entrambi il cuore spezzato e nella sua mente di bambino, questo significava che erano pari.
In ogni caso, la sera del banchetto erano entrambi silenziosi. Entrambi vestiti di azzurro per richiamare il colore della corte e dei loro occhi, ma nessuno dei due era in vena di festeggiamenti.
Zarkon e Alfor sedevano al centro del tavolo più corto, quello posto in fondo alla sala dei banchetti. Lotor era alla destra di suo padre e seguiva sua madre, Honerva.
Allura sedeva a fianco ad Alfor, poi venivano Lance e Coran.
Ai lati della grande sala erano state preparate due lunghe tavole alla quale sedevano le più importanti personalità della società Galra e di quella Altean.
Lance riconobbe i leader della Lama di Marmora, l’ordine di guerrieri speciali di Zarkon. Si occupavano delle missioni segrete, della sicurezza della famiglia reale e delle faccende politiche più delicate. Lance sapeva che Keith era figlio di una Lama, che sua madre era morta quando era ancora piccolo e lui era stato affidato ad Ulaz e Thace, gli stessi tutori di Shiro.
Del Terrestre, il padre di Keith, Lance non sapeva nulla. Gli avevano raccontato che Shiro si era distinto da bambino in un centro di addestramento Galra sulla Terra e che Ulaz lo aveva preso con sè perchè divenisse una Lama. Dai racconti di Keith, Lance sapeva che i veri genitori di Shiro non c’erano più da molto tempo, ma che delle Terra ricordava quasi tutto.
“È un pianeta azzurro,” gli aveva detto Keith. “Un po’ come Altea ma molto più piccolo e meno importante.”
Lance sapeva che Katie era stata sulla Terra insieme alla sua famiglia, ma non aveva mai lasciato la base in cui erano atterrati e non gli aveva mai fornito dettagli interessanti di quel viaggio. Ogni volta che il Principe provava a chiedere, la bambina si perdeva in discorsi sull’alchimia che lui riusciva a capire solo a metà e Keith per niente. Hunk era sempre l’unico veramente interessato del gruppo.
Lance li cercò con lo sguardo e li vide seduto sul tavolo opposto a quello dei Galra, entrambi seduti con i loro genitori ed i loro fratelli. Sembravano sereni.
L’ultimo che cercò fu Shiro. Lo trovò accanto a Kolivan con il mento appoggiato al pugno chiuso e gli occhi grigi persi nel vuoto. Se Allura era ferita, Shiro non versava in una condizione migliore.
Lance non riusciva a comprendere. Se stavano entrambi male perchè non potevano guarirsi a vicenda? Lui litigava con Keith continuamente ma non avevano mai smesso di essere amici.
Non poteva saperlo, ma avrebbe impiegato ancora qualche anno per interpretare le faccende del cuore, quelle da adulti e, col senno di poi, avrebbe compreso la natura del guaio in cui sua sorella ed il suo giovane amante si erano cacciati.
Sì, un giorno Lance avrebbe capito tutto e, sebbene al tempo fosse solo un bambino, si sarebbe sentito in colpa per tutta la vita per non aver aiutato sua sorella.
Lance vide Shiro alzarsi in piedi ed abbandonare la sua tavola. I suoi tutori e Keith lo guardarono ma non lo seguirono, nè tentarono di fermarlo.
Allura finì di bere il contenuto del suo calice, poi si alzò in piedi. “Con permesso, padre,” disse frettolosamente. Alfor la guardò perplesso, non ebbe il tempo di darle alcun permesso ma nemmeno la fermò.
Lance la seguì con lo sguardo. Superò il tavolo e si spostò a lato della sala, verso l’uscita da cui era sgattaiolato via Shiro.
Arrivò solo a metà del percorso, poi collassò a terra.
Per un attimo, tutta i presenti nella sala rimasero immobili, come congelati.
Lotor fu il primo a reagire, ad alzarsi in piedi. “Madre!” Chiamò inginocchiandosi a terra e sollevando la Principessa da terra. “Non respira!”
Honerva ed Alfor si precipitarono vicino ad Allura.
Lance osservò la scena con gli occhi sgranati, le piccole dita ancora strette intorno al suo calice. Fu Zarkon a farlo cadere a terra con un brusco gesto della mano. “Non bevete niente!” Tuonò alzandosi in piedi.
Coran afferrò il piccolo Principe per le spalle invitandolo ad alzarsi. “Andiamo Lance!” Lo esortò. “Non devi vedere!”
Lance, però, vide. Vide tutto.
Mentre Coran lo trascinava fuori dal salone dei banchetti, Lance si voltò e vide suo padre stringere Allura al petto chiamando disperatamente il suo nome.
Il corpo di sua sorella era scosso da violenti colpi di tosse ed il corpetto azzurro del suo bel vestito era sporco di sangue.
Coran aveva ordinato a Lance di restare nella stanze di suo padre e a Keith di fargli compagnia. Con il caos che si era creato in tutto il palazzo, non fu difficile per i due bambini sgattaiolare fuori.
Le urla di dolore di Allura si udivano fin dalle scale.
Lance si bloccò a metà di una rampa e Keith gli prese una mano per fargli coraggio. “Vuoi tornare indietro?” Propose.
Il piccolo Principe scosse la testa ed andarono avanti.
La luce che proveniva dalla porta aperta della camera da letto di Allura era la sola ad illuminare in corridoio.
Lance e Keith si nascosero dietro ad una delle colonne decorative per osservare la scena. Alfor aveva la schiena appoggiata all’architrave della porta e sul viso aveva un’espressione che Lance non sarebbe mai riuscito a dimenticare. Un condannato a morte non avrebbe guardato il proprio patibolo con altrettanta disperazione.
Coran gli stringeva una spalla rivolgendogli parole d’incoraggiamento a cui il Re non prestava alcuna attenzione.
In fondo al corridoio, nell’ombra, Lotor parlava con suo padre ma Lance non poteva udire quello che si stavano dicendo. Immaginò che stessero riflettendo sul probabile colpevole di un simile atto.
Honerva comparve in corridoio e gli occhi tutti furono su di lei.
“Che cosa le hanno fatto?” Domandò Alfor con voce tremante. “Che cosa hanno fatto a mia figlia?”
Honerva gli strinse le braccia e si rivolse a Coran. “Prendi l’abito della Principessa e fallo analizzare ed interroga le sue guardie, le due dame, chiunque… Ricostruisci i suoi spostamenti nelle ultime ore, devo capire che cosa le hanno somministrato.”
Coran annuì ed entrò nella camera da letto solo per uscirne con il vestito sporco di sangue stretto al petto.
Lance e Keithi premettero la schiena contro la parete e, complice il buio del corridoio, l’Altean non li vide.
“Zarkon, Lotor, per favore... “ Aggiunse Honerva rivolgendo uno sguardo al marito e a suo figlio.
I due Galra non fecero domande e si allontanarono. Ancora una volta, i due bambini riuscirono a nascondersi.
Keith li seguì con lo sguardo per assicurarsi che se ne fossero andati, Lance non distolse il suo da suo padre e dalla Regina di Daibazaal.
“Che cosa succede?” Domandò Alfor. Riusciva a mantenere a stento la calma.
La donna dischiuse le labbra, poi abbassò lo sguardo con aria grave.
“Honerva, ho bisogno che di sapere!” Esclamò il Re con voce rotta.
La Regina annuì. “Allura aveva un amante, Alfor?” Domandò con un filo di voce, come se avesse paura dell’effetto delle sue stesse parole.
Keith inarcò le sopracciglia. “Che cos’è un amante?” Domandò perplesso.
Lance ripensò a quanto aveva visto attraverso le finestre della camera di sua sorella. Rivide Allura senza alcun vestito addosso spingere Shiro a stendersi sul suo letto. Scosse la testa. “Non lo so,” mentì.
Alfor aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi scosse la testa. “Non starebbe così per un aborto spontaneo!” Ringhiò allontanandosi dalla Regina.
Honerva prese un respiro profondo. “Rispondi alla mia domanda, Alfor,” lo incalzò.
Il Re si prese la testa tra le mani. “Non mi ha mai detto il suo nome,” confessò. “Non le ho proibito nulla. Le ho solo detto di fare attenzione ma lei… Lei non ha mai voluto dirmi il suo nome…”
Honerva annuì. “Capisco…”
Alfor la guardò disperatamente. “Dimmi che qualcuno ha voluto di farle del male,” la pregò. “Dimmi che c’è qualcuno d’accusare. Non dirmi che mia figlia si è fatta del male pur di non parlare con me!”
Honerva scosse la testa. “Non era incinta,” chiarì. “Forse, credeva di esserlo… Forse…”
“Padre…”
Nell’udire la voce di sua sorella, Lance avvertì un brivido gelido corrergli lungo la schiena. Suo padre ed Honerva sparirono dentro la camera da letto ed il piccolo Principe si alzò in piedi. Prontamente, Keith afferrò l’orlo del suo mantello. “Dove vai?”
Lance lo guardò ma non rispose. Non sapeva spiegare come si sentiva ma doveva avvicinarsi, doveva vedere. Era certo che sarebbe stato come in un incubo, come quando sognava di cadere nel vuoto e, di colpo, si ritrovava a sicuro, nel proprio letto.
Forse, se avesse visto la cosa che più gli faceva paura, si sarebbe svegliato e tutto sarebbe finito. Stringendo quella speranza al petto, si affacciò oltre lo stipite della porta.
Aveva solo dieci anni, Lance e nulla poté prepararlo a quello che vide.
“Padre…” Allura piangeva. I suoi bei capelli erano in disordine, umidi di sudore. “Padre, perdonami…”
Una volta, la sottoveste che aveva addosso doveva essere stata bianca ma ora era un trionfo di macchie rosse.
Suo padre la stringeva a sè e non riusciva a dire niente, solo a piangere e ad accarezzarle i capelli.
“Bambina…” Honerva si sedette sul bordo del materasso –era sporco di sangue anche quello– e passò una panno umido sul viso terribilmente pallido di sua sorella. “Ho bisogno che tu mi dica che cosa hai fatto. Non vergognartene, non ce ne è ragione.”
“Ho perso il bambino?” Domandò Allura.
Alfor le baciò i capelli.
Honerva scosse la testa. “Non c’era alcun bambino, tesoro.” Le spiegò.
Gli occhi di Allura divennero grandi. “Ma io… Io pensavo…”
“Shhh…” Mormorò Alfor. “Non devi dare spiegazioni.”
“Allura,” Honerva si fece più vicina. “Hai preso del veleno perchè credevi di essere incinta? Devi dirmi quale, cara.”
Allura scosse la testa. “No…” Singhiozzò. “Non volevo fargli del male… Non volevo…”
Honerva ed Alfor si lanciarono un’occhiata.
“Allura, a chi altri lo hai detto?” Domandò Alfor. “Chi altri sapeva?”
Dalla bocca di Allura uscì solo un altro urlò di dolore ed altro sangue si riversò sulla sua sottoveste. “Padre, ti prego, fa così male!”
“Honerva, qualcosa per il dolore!” Ordinò Alfor.
La Regina di Daibazaal scosse appena la testa. Allura si raggomitolò su se stessa, come se qualcosa stesse cercando di uscire da lei a forza.
Seguì altro sangue, poi ancora urla.
Lance, però, non le udì. Non voleva continuare a guardare, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo. Tutti i rumori del mondo arrivavano alle sue orecchie ovattati, come se lui non fosse davvero lì ma su un altro piano, un’altra dimensione.
Si rese conto che stava piangendo quando una mano gli afferrò il braccio bruscamente.
“Che cosa fai qui?”
Lo sguardo furibondo del Principe dei Galra lo riportò alla realtà.
Lance aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua ma Lotor non gli diede il tempo di dire nulla. “Non dovreste essere qui!” Esclamò.
Il piccolo Principe si accorse che l’altro che aveva già afferrato Keith e se l’era caricato in spalla.
“Non dovete vedere!”
Lance non riuscì ad opporre alcuna resistenza. Lotor lo trascinò via mentre sua sorella continuava ad urlare per il dolore.
A metà della rampa di scale, Lance si accorse che qualcun altro stava salendo. Sollevò gli occhi blu e, per un istante, incrociò quelli grigi di Shiro.
Lotor s’arrestò per guardarlo e Lance lo vide scuotere la testa: fu un consiglio silenzioso da parte di un amico.
Shiro lo ignorò e continuò a salire le scale.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che Lance lo avrebbe visto alla corte di Altea.
Lotor portò lui e Keith nello studio di suo padre e rimase con loro.
Il piccolo Galra si addormentò sul divano e, nel sonno, si acoccolò contro di lui alla ricerca di calore. Rintanato contro i grandi cuscini, Lance non lo scansò via.
Lotor si tolse il mantello dalle spalle e lo usò per coprire tutti e due.
Per una frazione di secondo, gli occhi dei due Principi s’incontrarono. Lance fu il primo ad abbassarli e Lotor tornò vicino alla porta.
Con gli occhi blu fissi sulla sua schiena, Lance si addormentò.
Perse conoscenza solo per poche ore.
Alle prime luci dell’alba, un mormorio lo spinse ad aprire gli occhi.
“È stato terribile…”
Lotor continuava a dargli le spalle e Honerva gli stringeva le braccia. Gli occhi di lei erano gonfi, rossi.
“Ha sofferto tanto, povera bambina.”
Lance si sentì gelare e non osò muoversi dalla posizione in cui era. Non voleva che l’altro Principe e la Regina si accorgessero della sua presenza.
“Shiro?” S’intererrò il Principe dei Galra.
Honerva scosse la testa di nuovo. “Non andarlo a cercare, Lotor. Non ora.”
Il Principe annuì.
“Tu sapevi qualcosa?” Domandò sua madre. “Di Shiro ed Allura… Lui ti aveva detto qualcosa?”
Lance non udì il giovane Galra rispondere ma l’espressione di Honerva gli suggerì che il silenzio di suo figlio era una risposta sufficiente.
“Che cosa è stato?” Domandò Lotor a bassa voce. “Che cosa ha ucciso Allura?”
Lance artigliò la stoffa ricamata d’oro del grande cuscino su cui era steso.
Non era vero, si disse. Non poteva essere vero, stava solo facendo un brutto sogno e tutto sarebbe finito presto.
Allura sarebbe entrata nella sua camera a svegliarlo e tutte le brutte scene a cui aveva dovuto assistere sarebbero scomparse dalla sua mente, mentre giocavano insieme. Poi shiro e Keith li avrebbero raggiunti ed anche Hunk e Katie.
Ci sarebbe stato il sole ed avrebbero giocato tutti insieme nei giardini reali.
Sì, sarebbe andata così.
Lance doveva solo chiudere gli occhi ed aspettare che tutto svanisse con il sorgere del sole.
“Honerva!”
Keith si svegliò e saltò a sedere dallo spaventò e Lance non riuscì più a fingere di essere addormentato. Zarkon era comparso sulla porta e l’espressione orripilata sul suo viso squadrato terrorizzò Lance al punto da spezzargli il respiro.
Come poteva succedere qualcosa di peggiore di quello che era già accaduto?
“Devi vedere,” disse il Re dei Galra rivolgendosi alla moglie. “Devi vedere assolutamente!”
Honerva non fece domande e seguì Zarkon fuori dalla stanza.
Lotor rimase dov’era, si voltò verso il divano e si accorse che erano svegli. “Keith…” Disse con tono incolore, avvicinandosi. “Perchè tu ed il Principe non andate a-”
Lance non rimase per ascoltare la sua proposta. Corse fuori dallo studio di suo padre e lo fece abbastanza velocemente che Lotor non riuscì ad acciuffarlo.
Le stanze sue e di Allura erano silenziose ed il corridoio era illuminato dalla luce dorata del sole appena sorto. Era tutto così diverso dalla notte precedente, come se l’incubo fosse davvero svanito.
“Che cosa hai fatto?” Sentì la voce di Honerva provenire dalla camera di sua sorella. “Che cosa hai fatto, Alfor?”
Lance esaurì la distanza tra sè e quella stanza in un battito di ciglia. Quella volta, non si preoccupò di non essere visto e gli occhi di tutti i presenti furono immediatamente su di lui.
Zarkon era quello più vicino alla porta e Coran quello più lontano. Di fronte al grande letto a baldacchino, suo padre lo guardò come se non lo riconoscesse e, stringendo con rabbia il colletto della tunica del Re, Honerva lo fissò come se fosse un fantasma.
Quell’espressione, però, non era per lui.
“Lance?” Allura era seduta sul bordo del materasso. Le lenzuola era ancora sporche di sangue e così la sottoveste che aveva addosso. Sua sorella, però, non soffriva più.
I suoi capelli erano di nuovo perfettamente ondulati e lucenti ed il suo viso era fresco, riposato.
Era come se il sangue che aveva addosso non fosse suo.
“Perchè stai piangendo, Lance?” Domandò Allura alzandosi in piedi.
Sì, Lance piangeva ma non sapeva perchè. Sarebbe dovuto essere felice perchè il suo desiderio si era realizzato, eppure provava paura ed essa gli impediva di muoversi, di dire qualsiasi cosa.
“Va tutto bene, Lance, “ sua sorella s’inginocchiò di fronte a lui e lo strinse a sè. Era calda. Era viva. Eppure, Lotor aveva detto che l’avevano uccisa.
“Non c’è nulla di cui aver paura, Lance.” Allura gli baciò la guancia. Il suo sangue gli sporcò il viso ed il vestito azzurro che aveva addosso. “Sono qui, va tutto bene.”
Lance non ricambiò l’abbraccio.
C’era qualcosa di sbagliato… Di terribilmente sbagliato.
Il suo desiderio non si era avverato: il sole era sorto ma l’incubo non era sfumato via, aveva solo trovato un modo per continuare a vivere alla luce del giorno.
[6 anni dopo]
[Daibazaal]
Keith si svegliò tremando.
Si era addormentato senza renderesene sul retro della nave d’assedio durante il viaggio di ritorno a Daibazaal. Il tremore che lo scuoteva da capo a piedi, però, era sintomo di qualcosa di più serio del freddo. Doveva avere la febbre.
Infilò le dita tra i lunghi capelli corvini e liberò il viso. Era caldo e sudava.
Sbuffò. Se Kolivan fosse venuto a sapere del suo stato di salute, lo avrebbe escluso dalle missioni per settimane.
“Sei sveglio?”
Il giovane mezzo Galra aprì gli occhi. Lotor era seduto accanto a lui: aveva uno zigomo gonfio e un taglio profondo sopra il sopracciglio.
“Stai sanguinando,” gli fece notare Keith.
L’espressione del Principe non cambiò di una virgola. “Ti porto da mia madre,” disse alzandosi in piedi.
Keith si sollevò a sedere velocemente e questo gli costò un gran capogiro. “Maledizione…” Sibilò reggendosi la fronte.
“Per quanto tempo sei stato al fronte?” Domandò Lotor. “Due? Tre mesi?”
Keith non ne era sicuro. Gli sembrava di combattere quella guerra contro Altea da tutta la vita. “Vittoria o morte, no?”
Fu il turno di Lotor di sbuffare. “Non essere ridicolo,” disse. “Alzati.”
Keith si strinse nelle braccia per combattere un brivido di freddo. “Perchè mi state tutti addosso?” Si lamentò.
“Diventa Principe e poi potrai lamentarti di avere tutti addosso,” replicò Lotor afferrandolo per il cappuccio della divina da Lama di Marmora.
Keith fu costretto ad alzarsi per non cadere all’indietro ed evitare di essere trascinato come un sacco. Se le gambe non lo avessero retto, Lotor non si sarebbe scomodato a caricarselo in spalla ed avrebbe pulito tutti i corridoi dell’hangar al laboratorio della Regina con il suo fondo schiena.
“Perchè mi stai addosso tu?” Domandò Keith irritato cercando di liberarsi dalla presa del Principe. Tirato in quel modo, non riusciva a camminare guardando davanti. “Hai una squadra tua. Non ti basta?”
“Proprio perchè ho un rapporto di stima e fiducia con uno degli uomini della mia squadra mi sento moralmente obbligato a non farmi morire di stenti.”
“Puoi anche dire l’unico uomo della tua squadra!” Esclamò Keith con sarcasmo.
Lotor lasciò la presa sul suo cappuccio ed il giovane mezzo Galra cadde sul sedere a metà della rampa della nave.
Fu veloce a tirarsi in piedi e, col viso rosso per l’imbarazzo, si guardò intorno per controllare che nessuno avesse assistito alla scena. Quello che vide non gli piacque affatto. Il pavimento dell’hangar era ricoperto di sacchi neri e Keith era dolorosamente consapevole del loro contenuto.
Lotor si voltò a guardarlo e non potè non notare l’espressione sul suo viso. “Keith, avanti…” Lo incalzò, sebbene nella sua voce non ci fosse alcuna urgenza.
Keith si tirò il cappuccio sopra la testa e lo raggiunse. “Quanti?” Domandò.
“Non deve interessarti,” rispose Lotor camminando tra i corpi dei soldati caduti come se la cosa non lo riguardasse. “Sei un membro dell’Ordine della Lama di Marmora ed il numero di soldati deceduti è un’informazione riservata a me, al Re ed ai-”
“Quanti?” Lo interruppe Keith fermamente guardandolo dritto negli occhi.
Il Principe ricambiò lo sguardo. “Un’intera flotta,” rispose. “Più o meno.”
Il più giovane abbassò lo sguardo immediatamente e prese a camminare più velocemente. Lotor sospirò e allungò il passo a sua volta. “Sei troppo emotivo.”
“Non ho fatto niente,” replicò la giovane Lama.
“È una guerra, Keith,” gli ricordò Lotor. “I soldati muoiono in guerra, è inevitabile.”
“No, non hai capito!” Keith strinse i pugni. “Ero lì… Ero lì, come tutti loro!”
“Ma a differenza loro, sei vivo!” Lotor lo afferrò per un braccio. “Vuoi onorare la loro memoria? Restaci.”
Keith non disse una parola di più, fino a che non arrivarono all’ascensore. I suoi occhi viola non si allontanarono dalla distesa di sacchi neri fino a che le porti scorrevoli non si richiusero. “I loro scudi non cedono mai,” disse con un filo di voce.
“Lo so,” disse Lotor fissando il proprio riflesso nella parete dell’ascensore.
Keith emise un ringhio frustrato. “L’esercito di tuo padre non ha mai conosciuto una sconfitta,” disse.
“Questa guerra contro Altea sta cambiando le carte in tavola,” disse Lotor. “Mia madre conosce la fonte di energia di cui dispongono i nostri nemici ma non riesce a ricrearla su questo pianeta. Fino a che non troviamo il modo di costruire un’arma al livello della loro, possiamo solo resistere.”
“Sì ma a che prezzo?” Domandò Keith.
Lotor non rispose.
L’ascensore si fermò e la giovane Lama aggrottò la fronte. “I laboratori di tua madre non si trovano su questo livello,” notò.
Il Principe gli rivolse un sorrisetto beffardo. Se avesse potuto, Keith lo avrebbe preso a pugni.
Non appena le porte scorrevoli si aprirono, gli occhi grigi di Shiro trafissero la giovane Lama sul posto.
Il ghignetto di Lotor si fece ancor più divertito. “Ha la febbre,” disse spingendo il ragazzo contro il petto del suo Generale. Keith non riuscì ad opporre resistenza e si ritrovò con il naso premuto contro i pettorali di Shiro.
“Credo che abbia delle vecchie ferite che non sono mai state medicate come si deve,” aggiunse Lotor e Keith gli lanciò un’occhiata tagliente da sopra la spalla. “Dovresti essere in grado di gestire la situazione ma non esitare a portarlo da mia madre, se dovesse peggiorare.”
Shiro annuì due volte. “Ti ringrazio.”
“Dovere,” rispose Lotor. “Avvertirò io Thace ed Ulaz e mi assicurerò che Kolivan non lo richiami al fronte per parecchio tempo.”
Gli occhi di Keith divennero enormi. “Non puoi rinchiudermi a palazzo!” Esclamò, gli occhi ardenti d’ira rivolti verso il Principe.
La sua rabbia non servì a scalfire il sorrisetto beffardo di Lotor. “Oh, non preoccuparti,” disse con sarcasmo. “Non sarò io a trattenerti.”
Le porte dell’ascensore si richiusero.
Se Keith avesse potuto, le avrebbe riaperte di forza, avrebbe trascinato Lotor fuori tirandolo per quei suoi capelli ridicolmente lunghi e poi avrebbe…
“Keith.”
Il giovane mezzo Galra sollevò gli occhi viola e quelli grigi di Shiro rispose al suo sguardo con espressione severa. Suo malgrado, Keith dovette mettere da parte i suoi propositi di vendetta contro Lotor. “Non volevo deluderti,” disse abbassando il viso. “Stavo solo cercando di fare del mio meglio.”
Shiro sospirò ed un sorriso gentile addolcì i suoi lineamenti. “Non mi hai deluso,” disse circondandogli le spalle con un braccio. “Mi fai solo morire di preoccupazione,” aggiunse conducendolo nelle sue stanze.
I Generali di Lotor avevano un quartiere loro, all’interno del palazzo reale e quando Shiro vi si era trasferito, Keith aveva stilato una lista mentale di cento modi in cui farla pagare a Lotor e riuscire a farla franca. Lo aveva fatto con furbizia: ne aveva scelti cinquanta che avrebbero divertito Honerva ed altri cinquanta che Zarkon avrebbe approvato.
Aveva dovuto cambiare idea quando quel cambiamento si era rivelato utile. Shiro non aveva mai dato problemi ai suoi tutori, Keith non faceva che darne da quando era bambino e questo gli aveva fatto guadagnare un sacco di attenzione speciali –che non voleva–, compresi molti occhi pronti a seguirlo in ogni suo spostamento.
Aveva perso il conto delle volte che Kolivan aveva giurato di buttarlo fuori dalle Lame di Marmora. Keith era arrivato alla conclusione che non sarebbe mai successo: dopo che Shiro aveva lasciato l’ordine per servire Lotor come suo braccio destro, era lui il guerriero migliore di cui Kolivan disponeva e nemmeno tutta la rabbia dell’universo lo avrebbe convinto a fare a meno di lui.
La febbre, però… Quella sì.
Poteva disubbidire agli ordini, spingere i suoi superiori sul principio di attacco isterico e portare a termine una missione a modo suo ma non poteva ferirsi gravemente, non poteva avere la febbre.
Aveva sedici anni e Keith cominciava a chiedersi quanti ancora ce ne sarebbero voluti perchè Kolivan, Thace, Ulaz e tutti gli altri lo considerassero un adulto.
Da quel punto di vista, Shiro era l’unico a portargli rispetto ma la loro era una situazione diversa.
Non appena la porta della camera da letto si richiuse, Shiro si avvicinò al più giovane per aiutarlo a liberarsi dell’armatura. “Voglio vedere le ferite,” disse.
Keith non oppose alcuna resistenza mentre lo spogliava.
Shiro lasciò cadere l’armatura a terra ed abbassò la zip della tuta scura. Le pelle candida della schiena di Keith era ricoperta di lividi e tagli poco profondi ma che cominciavano a mostrare i primi segni d’infezione.
Shiro serrò i pugni sulla stoffa della tuta. “Keith…”
“Nel Sistema di Naxela, i soldati tornano dalle battaglie fatti a pezzi,” si giustificò Keith voltandosi. Si strinse le braccia intorno al corpo, come per coprirsi. “Io no. Io torno sempre sulle mie gambe e li vedo… Sono sempre a centinaia e molti non si riescono a salvare perchè i curatori non sono in numero sufficiente, perchè le medical-pod sono tutte occupate o non sono sufficienti a ripare i danni!” Un nodo gli strinse la gola ma non gli importò. “Io torno solo con dei graffi.”
Shiro strinse le labbra, invitò il più giovane a rilassare le braccia lungo il corpo e gli sfilò il resto della tuta.
Il corpo di Keith era massacrato. Non c’era un modo diverso di descrivere lo stato in cui era ridotta la sua pelle. Il giovane Galra guardava da un’altra parte, ben consapevole di quello che avrebbe trovato sul viso di Shiro. Le dita calde del Generale gli sfiorarono il viso e scivolare sul retro del suo collo, tra i capelli corvini in disordine.
“Keith…” Mormorò Shiro. “Guardami, per favore.”
La giovane Lama non riuscì a dirgli di no. Non riusciva mai a negargli nulla.
Erano gentili e colmi di tristezza, gli occhi di Shiro. “Vieni, Keith.” Gli afferrò una mano e si voltò verso il bagno.
Keith gliela strinse. “Non è necessario, Shiro. Posso...”
“Poco importa,” rispose il Generale fermamente. “Voglio farlo. Non puoi farti una doccia ridotto in quello stato, il getto d’acqua potrebbe peggiorare lo stato delle ferite.”
Keith annuì docilmente e si fece portare in bagno.
Keith s’immerse nella vasca lentamente. Quando le ferite ancora aperte entrarono in contatto con l’acqua calda e presero a bruciare, Keith strinse le labbra ma non si lamentò. Sapeva che era un dolore buono: Shiro aveva versato un olio nell’acqua che lo avrebbe aiutato a disinfettare le ferite trascurate troppo a lungo.
Si sedette sul fondo della vasca ed incrociò le braccia sulle ginocchia.
Shiro s’inginocchiò alle sue spalle e gli spostò i lunghi capelli corvini su di una spalla per liberare il collo. “Farà un po’ male,” lo avvertì il Generale.
Keith si prese il labbro inferiore tra i denti e quando avvertì l’ago della siringa bucargli la pelle, fece il possibile per restare fermo.
“Questo è per la febbre,” disse Shiro. “Combatterà l’infezione delle ferite e aiuterà gli ematomi a guarire. Lo ha sintetizzato Honerva.”
Keith annuì. “Lo so,” disse con un sospiro stanco. “Lotor ne ha portate molte dosi al fronte, prima dell’ultima battaglia.”
Sentì gli occhi severi di Shiro fissargli con insistenza la nuca. “E non ha mai pensato di far-?”
“Sono finite in poco tempo!” Si giustificò Keith. “Te l’ho detto! Nelle ultime settimane, Naxela è divenuta una macelleria! È l’orgoglio che ci fa resistere, Shiro, perchè di forza… La forza non ce l’abbiamo più,” concluse con un filo di voce.
Shiro posò la siringa sul pavimento, poi si sporse in avanti e posò un bacio nel punto in cui aveva conficcato l’ago. Keith s’irrigidì e si allontanò immediatamente. “Shiro, sono stato al fronte per settimane e…” Arrossì per la vergona. “Non credo di avere un buon odore.”
Shiro sorrise teneramente ed afferrò la bottiglietta dello shampoo dal bordo della vasca. “Non stare rigido con il collo,” lo avvertì versandosi il liquido profumano sul palmo della mano.
Non appena avvertì quelle dita tra i suoi capelli, Keith chiuse gli occhi e si sciolse completamente sotto le loro attenzioni. Scivolò più vicino al bordo della vasca e a Shiro. Il Generale sorrise e gli posò un altro bacio leggero sul lato del collo.
Keith sollevò appena le palpebre ma non obiettò, non quella volta. Cercò di ricordarsi che si era lasciato il fronte alle spalle –almeno, per il momento– e permise a Shiro di prendersi cura di lui. Gli era mancato così tanto…
Per due anni, Shiro era andato e venuto da Daibazaal per combattere quella maledetta guerra contro Altea e Keith non aveva potuto fare altro che aspettarlo con il cuore in gola per tutto il tempo. Ora, finito il suo addestramento, a Keith era concesso di combattere al suo fianco ma nessuno dei due aveva controllo sugli ordini dei loro superiore.
In quanto braccio destro di Lotor, i doveri di Shiro erano diversi da quelli della giovane Lama. Quelle settimane erano state interminabili ma Keith aveva di nuovo le mani del suo uomo su di sè e non voleva pensare ad altro.
“Lotor mi ha detto che, dopo che mi hanno richiamato su Daibazaal, non ti sei preso più cura di te stesso,” disse il Generale invitandolo a reclinare la testa all’indietro per lavare via il sapone dai capelli corvini.
Keith spalancò gli occhi ed aggrottò la fronte. “Non gli basta essere un Principe?” Ringhiò. “Deve essere anche una fottuta spia?”
“Keith…”
Il giovane Galra si mise a sedere con la schiena dritta e guardò il Generale dritto negli occhi. “Glielo hai chiesto tu?”
“Non disturberei mai Lotor con le mie preoccupazioni,” disse Shiro ed il più giovane gli credette. C’era un motivo per cui Lotor aveva scelto il suo uomo come braccio destro e non era per la sua diversità dal popolo Galra, come molte male lingue sostenevano.
Sì, a Lotor piaceva circondarsi di guerrieri abili ma diversi dagli standard del Regno ma Shiro era un Terrestre ed era stato capace di brillare in un mondo in cui solo pochi aveva scommesso su di lui. Era impossibile non stimarlo e Keith era orgoglioso di lui.
“Le tue preoccupazione disturbano Lotor, però,” replicò la giovane Lama. “E le tue compagne! Ogni volta che una di loro veniva convocata su Naxela, me la ritrovavo davanti! È già difficile vivere agli ordini di Kolivan!”
Shiro sorrise sommessamente e pensò che avrebbe dovuto ringraziare il suo Principe e le ragazze quanto prima. “Immagino di non essere bravo a fingere…”
Keith lo guardò da sopra la spalla. “Che vuoi dire?”
Shiro scosse la testa ma sorrideva ancora. Keith adorava quel sorriso. Quando quegli occhi grigi lo guardavano in quel modo, persino il fronte non gli sembrava più così terribile.
“Potresti passarmi un asciugamano, per favore?” Domandò Keith mettendosi in ginocchio.
Shiro annuì e si alzò in piedi. “Fai attenzione a non scivolare.”
Keith sorrise per quell’eccessiva premura e lasciò che Shiro gli avvolgesse l’asciugamano intorno alle spalle, insieme alle sue braccia. Gli baciò di nuovo di nuovo il collo. “Ti medico le ferite che non si sono rimarginate del tutto e poi ti fai una bella dormita,” disse Shiro. “Non tornerai al fronte tanto presto.”
Keith sorrise amaramente. “Per quando sarò di nuovo in forze, potrebbe non esserci più un fronte.”
Shiro affondò il viso tra i capelli umidi. “Siamo orgogliosi, no?” Gli ricordò cercando di suonare ottimista. “Due anni di guerra contro una fonte di energia impossibile d’abbattere e Naxela è ancora nostra. Per quanto l’Imperatrice sia sicura di sè, dopo l’ultima battaglia sarà costretta a fare un passo indietro.”
Keith annuì distrattamente rilassando la nuca contro la spalla del Generale. Shiro era bravo con le faccende politiche almeno quanto lo era sul campo di battaglia. In quanto ambasciatore su Altea, Ulaz gli aveva insegnato tutto quello che sapeva in materia e Shiro aveva appreso senza sforzo. Pur avendo passato su Altea gran parte della sua infanzia, Keith non si era mai interessato alla politica. Quello che Shiro e Lotor avevano cominciato nei giardini reali del Castello di Re Alfor, Thace e Kolivan lo avevano completato mettendogli tra le mani una vera spada e, successivamente, la Lama che lo identificava come membro dell’ordine.
“Perchè l’ha fatto?” Domandò Keith. “Perchè Allura ha voluto distruggere la coalizione?”
Alle sue spalle, Shiro si fece serio. “Non lo so,” disse ma era solo metà della verità. “Mi hanno insegnato che il potere corrompe l’anima delle persone.” Un sorriso malinconico gli illuminò il viso di una pallida luce. “Ti manca Altea?”
Keith conosceva la risposta senza bisogno di rifletterci su. La sua infanzia era stato un sogno dorato fatto di lunghi corridoi dalle parete bianche in cui correre e giardini reali pieni di fiori colorati in cui giocare a nascondersi. C’erano stati i mille e più bisticci con Lance e tutti i momenti condividi con Katie e Hunk.
Sì, era stato lo stesso periodo della sua vita in cui aveva imparato che non poteva far ruotare tutto il suo mondo intorno a Shiro –e a sedici anni, ancora non aveva imparato adeguatamente la lezione–, ma era stato anche l’unico in cui non si era mai ritrovato da solo.
“No,” rispose tenendo lo sguardo basso.
Shiro non gli credette ma non insistette sull’argomento.
[Altea]
Il sole era caldo ed il cielo terso si specchiava nelle acque quiete del lago dei giardini reali.
Il Principe riemerse a pochi metri del pontile e si passò una mano tra i corti capelli castani per liberare il viso. Sorrise, felice per il semplice fatto di star nuotando. Era la più grande espressione di libertà di cui poteva godere, non sarebbe riuscito a vivere senza.
Nuotò fino al pontile e si arrampicò sulla scaletta per uscire dall’acqua. La brezza estiva gli accarezzò la pelle e lo fece rabbrividire ma era una bella sensazione, elettrizzante.
Indossò la vestaglia azzurra e si alzò in piedi.
Non c’era nessuno lì a guardarlo, a giudicare la sua apparenza ed era felice così. Aveva chiesto a Coran di servirgli qualcosa di fresco nella veranda ed il Principe fu felice di vedere che il vecchio maggiordomo lo aveva accontentato, nonostante si fosse lamentato di quanto era cresciuto viziato.
Quando, però, vide che al centro del tavolino rotondo vi erano due bicchieri, il Principe sollevò un sopracciglio con fare perplesso.
”Lance…”
Due mani calde lo afferrarono per i fianchi e sobbalzò.
“Scusami,” disse il giovane uomo dai capelli corvini e gli occhi grigi. “Non volevo spaventarti.”
Il Principe Lance di Altea sorrise. “Sven! Non credo ai miei occhi!”
“Allora credi a questo.” Sven si chinò per rubargli un bacio a fior di labbra.
Lance gli circondò il collo con le braccia. “No, non riesco ancora a crederci,” mormorò, mentre il suo amante appoggiava la fronte alla sua. “Quando sei tornato?”
“Ieri, al tramonto,” rispose Sven accarezzando il marchio azzurro pallido a forma di petalo sullo zigomo destro del Principe.
Lance gonfiò le guance. “E perchè non hai passato la notte nel mio letto?”
“Ho dovuto incontrare i miei clienti,” si giustificò Sven.
“Altri affari segreti di cui non mi puoi parlare?” Domandò il Principe con un sorrisetto malizioso.
“Mi pagano per la mia discrezione,” gli ricordò Sven.
Lance si voltò verso il tavolino rotondo. “Sei anche riuscito a superare la guardia serrata di Coran,” disse divertito. “Come lo hai corrotto?”
“Mi piace pensare di averlo fatto con la tua felicità,” disse Sven afferrando la bottiglia di Nunvil, prima che ci arrivasse la mano del giovane Altean. “Servirti, però, è una delle condizioni su cui credo non sorvolerà mai.”
Lance sorrise accomodandosi sul divano privo di schienale accanto al tavolino. Era stato il Principe a pretenderlo così, con due grandi braccioli morbidi come cuscini. Coran si era interrogato molto su quella scelta, quando Lance era stato bandito dalla corte e si erano entrambi trasferiti nella piccola reggia vicino al lago.
Il Principe aveva preferito non chiarire i suoi dubbi ma aveva spiegato a Sven il perchè della sua preferenza senza bisogno di usare parole.
Afferrando il suo bicchiere di Nunvil, Lance pensò che gli sarebbe piaciuto spiegarglielo di nuovo. Piegò le gambe sul divano e l’orlo della sottoveste blu gli scoprì le cosce.
Sven se ne accorse e gli rivolse un sorriso complice.
“Mi hai guardato nuotare?” Domandò Lance.
Il suo amante prese un sorso dal suo bicchiere. “Ti sentivi osservato?”
“No,” il Principe allungò il bicchiere sul tavolino. “Mi chiedevo solo perchè non mi hai raggiunto.”
Sven si sedette sul divano e posò la mano sulla coscia del giovane Altean. “E rovinare tanta bellezza?”
Lance sorrise, piegò il gomito sul bracciolo e si sorresse la testa col pugno chiuso. “Mi sei mancato.” Lo disse dolcemente, coprendo la mano del Terrestre con la sua.
Sven fece intrecciare le loro dita. “Non ti mancherei più, se venissi con me…”
Il sorriso del Principe si spense un poco. “Cosa c’è?” Domandò forzando un sorriso lascivo. “Gli altri tuoi amanti sparsi per lo spazio non sono alla mia altezza?”
Sven si fece serio di colpo. “Lo sai che non c’è nessun altro.”
Lance non riuscì a fingere oltre. “Sono un Principe, Sven,” disse con fermezza ma cercando di non suonare troppo duro. “Non mi piace ricordartelo ma tu devi smettere di dimenticarlo.”
Sven posò il suo bicchiere sul tavolo e si portò alle labbra la mano dell’Altean. “Non posso promettere che non continuerò ad insistere.”
Sul viso di Lance calò un velo di tenerezza misto a malinconia. “Vieni qui…”
Sven non si fece pregare: l’ultima battaglia nel Sistema di Naxela li aveva costretti a stare separati troppo a lungo per poter aspettare un istante di più.
“Togliti questa tunica o rischio di bagnarti!” Esclamò Lance ridendo afferrando l’orlo dell’indumento.
Sven si fece spogliare, mentre Lance scivolata sul divano, sotto di lui. Abbassò la vestaglia blu che a stento copriva il corpo del Principe in un seducente gioco di vedo, non vedo. Baciò la pelle ambrata tracciando una linea invisibile tra la spalla ed il collo.
Lance reclinò la testa da un lato e chiuse gli occhi. Era passato troppo tempo, quella volta sarebbe stata dura fingere di non amarlo.
“Sei ancora bagnato…” Commentò Sven con voce roca contro la pelle della sua gola.
“T’infastidisce?” Domandò Lance divaricando le gambe per permettere all’amante di stendersi meglio sopra di lui.
Sven sorrise contro la sua bocca, prima di baciarlo. “No, ma sono curioso…”
Lance lo guardò incuriosito strofinando la punta del suo naso contro la sua. “Che cos’è che ti stuzzica, Sven?”
Il Terrestre fece scivolare una mano tra le sue gambe. Gli occhi blu di Lance divennero grandi, poi si chiusero nuovamente. “Sven…” Chiamò con voce rotta.
“Shhh…” Sussurrò l’altro contro il suo orecchio prendendo tra i denti la piccola punta con gentilezza. “Sei bagnato anche qui, ne sono onorato.”
Lance abbandonò la nuca contro il bracciolo del divano, il labbro inferiore stretto tra i denti. Le dita di Sven gli sfioravano i testicoli ed accarezzavano la calda apertura al di sotto senza penetrarla.
“Così mi uccidi,” mormorò Lance con voce tremante.
“Ti ho già detto che amo l’anatomia Altean?” Sven gli mordicchiò il mento.
Lance ridacchiò. “In realtà, quasi tutte le razze dell’universo si sono evolute per ovviare ad incovenienti come questo.”
“Ahimè, i Terrestri non sono tra questi.”
Il Principe cercò alla cieca la cintura dell’amante e se ne liberò velocemente. Sven lo aiutò ad abbassare i pantaloni. Lance si umettò le labbra con anticipazione, mentre le sue dita si chiudevano intorno al sesso dell’uomo che non sarebbe mai stato il suo compagno, non come Sven avrebbe voluto o come lui negava di volere.
“Sven, ti prego…” Lance non voleva che finisse in fretta ma era passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che si erano sfiorati. Aveva bisogno di quel calore, di quell’amore.
Sven lo baciò e si prese tutto il tempo per divorare quelle labbra con languore. Le sue dita osarono di più e varcarono la soglia umida del sesso del Principe con gentilezza.
Lance s’irrigidì, poi gemette e si sciolse sotto quelle mani esperte.
Sven diceva di non avere nessuno, all’infuori di lui ed il Principe non era certo di potergli credere, non con la vita da avventuriero che aveva scelto per sè. Quel che era certo era che Lance era un nome su una lunga lista, Sven invece era il primo ed unico amante del Principe di Altea.
Sven era la ragione per cui Allura lo aveva cacciato dalla corte etichettando la sua condotta sconveniente e scandalosa per un Principe, un figlio di Alfor. Lance avrebbe potuto replicare in modo velenoso a quell’accusa, gli sarebbe bastato pronunciare il nome di Shiro per vincere quella battaglia. Sua sorella, però, aveva deciso di umiliarlo pubblicamente e Lance non aveva potuto infrangere il giuramento che suo padre lo aveva obbligato a fare.
“Non dire niente di quello che hai visto quella notte, piccolo,” lo aveva pregato Alfor stringendolo a sè. “Dimentica, Lance. Dimentica tutto.”
Lance non aveva dimenticato nulla.
Allura, invece, sembrava aver perso il suo cuore nell’oscuro processo che l’aveva strappata alla morte.
Le mani di Sven lo liberarono dalla stoffa della vestaglia definitivamente. Lance si aggrappò alle sue spalle e scacciò via ogni pensiero, mentre il suo uomo lo penetrava lentamente, attento a non fargli male.
“Sven…” Gemette il Principe inarcando la schiena ed andando incontro al suo amante. “Sven…” Non poteva non chiamare il suo nome, non quando sapeva che il loro tempo era limitato. “Sven…”
Lui non smise di baciarlo nemmeno per un istante. Il collo, il viso, le labbra… Sven era bravo a fargli dimenticare il mondo che lo circondava, a portarlo in una realtà in cui esistevano solo loro due. “Guardami,” ordinò il Terrestre, la voce resa più profonda dal piacere crescente. “Guardami, Lance.”
Il Principe obbedì e Sven gli sorrise appoggiando la fronte alla sua. “Sei bellissimo,” soffiò contro le sue labbra.
Quella volta, fu Lance a divorargli le labbra. “Vieni dentro di me…” Suonò come una preghiera disperata e lo era. Lance gli circondò la vita con gambe e la sua testa scivolò giù dal bracciolo, mentre Sven si sollevava sulle ginocchia e gli afferrava i fianchi.
Lance tremava. Artigliò la stoffa della vestaglia su cui era steso ma non fu un appiglio sufficiente. Si aggrappò al bracciolo del divano sopra la sua testa. Il suo corpo era la corda tesa di uno strumento ad arco ed ogni vibrazione era una scarica di piacere che lo faceva tremare da capo a piedi.
I suoi gemiti ed i sospiri di Sven erano la melodia più bella dell’universo. Lance non avrebbe voluto ascoltare altro per tutta la vita ma anche quella composizione era destinata a finire.
Sven fece aderire il palmo al petto di Lance, fece scorrere le dita sull’addome e prese il suo pene tra le dita.
“Sì!” Lance aprì gli occhi. “Sì, Sven! Sì!”
L’unico rimpianto di Sven era di non poterlo baciare in quella posizione. “Lance… Lance, io ti…”
Il Principe mise a tacere quella confessione con un gemito più lungo degli altri. Il suo seme si riversò tra le dita del Terrestre.
Sven chiuse gli occhi, abbandonò la ragione si perse completamente nel calore bagnato del suo corpo. Nel sentirlo riversarsi in lui, le labbra di Lance si piegarono in un sorriso stanco. “Non uscire,” lo pregò con un filo di voce, le braccia abbandonate pigramente sopra la testa e gli occhi ancora chiusi. “Voglio sentirti ancora un po’.”
Sven si mosse in modo da potersi stendere su di lui.
Non appena sentì le labbra dell’amante sulle sue, Lance lo strinse a sè. Il Terrestre gli passò una mano tra i capelli ancora umidi e sollevò la palpebre.
Il blu dei suoi occhi si fuse all’argento di quelli di Sven. “Ho una confessione da farti,” disse quest’ultimo.
Lance sospirò con aria malinconica. “Sven…”
“Lo so, è contro le regole dirti che ti amo,” lo anticipò il Terrestre. “Non puoi impedirmi di essere innamorato dei tuoi occhi, però.”
Le gote di Lance si colorarono ed la curva delle sue labbra si addolcì. “È l’unica cosa che ho ereditato da mio padre, lo sai? I miei occhi e questi…” Passò la punta delle dita sul marchio azzurro sullo zigomo sinistro. “Mia sorella ha qualcosa di lui ma, in generale, è identica a sua madre.”
Sì, sua madre, la Regina di Altea, la donna che aveva dato alla luce Allura ma non lui. Alfor lo aveva imboccato di segreti dal giorno della sua nascita, per questo non gli era stato difficile pretendere che dimenticasse tutto della notte in cui sua sorella era morta.
Perchè sua sorella era morta.
Non era sopravvissuta miracolosamente al veleno, come avevano raccontato a tutta la corte. Suo padre aveva fatto qualcosa… Qualcosa d’imperdonabile ma Lance non sapeva cosa.
“Ehi…” Sven lo riportò alla realtà con una carezza. “Ci soffri ancora?”
Lance non aveva mai condiviso con il suo amante gli orrori di quella notte: sarebbe stato troppo pericoloso per Sven. Tuttavia, non era a sua sorella che il Terrestre si riferiva.
Lance scrollò le spalle. “Sapere di essere un figlio illegittimo non ha cambiato di molto la mia posizione,” disse. “Non appena sono venuto al mondo, sono stato legittimato e mio padre non mi ha mai fatto pesare le circostanze della mia nascita e nemmeno Allura.” Suo malgrado, questo Lance doveva riconoscerlo. “Non è essere figlio di una Terrestre qualunque che mi ha reso indegno agli occhi della Regina.”
Suo padre aveva abdicato in favore di Allura da due anni e lei si era subito distinta disintegrando completamente i rapporti con il Regno dei Galra e cercando di appropriarsi del Sistema di Nacxela. Alfor si era opposto con tutte le forze a quella decisione folle e, per tutta risposta, sua sorella gli aveva riservato la stessa cortesia che aveva avuto nei confronti del fratello: aveva cacciato il padre che aveva sempre adorato dalla sua corte, come se fosse un fastidio.
“Lance…” Sven gli baciò il collo lentamente ed il giovane Altean sorrise.
“Questa notte, ti voglio nel mio letto,” ordinò il Principe.
Il Terrestre sorrise contro la pelle delle sua gola. “Come desiderate, Altezza..”
Confinati in cucina per loro scelta, Hunk stava passando il momento peggiore di tutta la giornata e Katie, al contrario, si stava gustando il momento.
“Forse, dovremmo portare loro degli stuzzichini,” disse il buon, vecchio Coran aprendo la credenza in cerca d’ispirazione. “Lance ha mangiato così poco a pranzo! Anzi… Ultimamente, mangia troppo poco tutti i giorni! Sì, sono necessari degli stuzzichini!”
Occupata a sorseggiare il suo tè caldo per nascondere il suo sorrisetto beffardo, Katie non disse nulla. Il povero Hunk, al contrario, impallidì di colpo. “Coran, sono certo che Lance ci avrebbe chiesto di preparare a lui e Sven qualcosa, se…”
“Lance mangia troppo poco!” Insistette il vecchio Altean recuperando ingredienti alla rinfusa dalla credenza per preparare qualcosa che lui –e solo lui– avrebbe trovato delizioso. “Ordinare del cibo è l’ultimo dei suoi pensieri.”
“Eccome se lo è,” mormorò Katie con un sorrisetto sadico, “sta facendo una dieta speciale.”
“Signorina!” Coran gli puntò il dito contro. “Parla chiaro o non parlare per niente!”
Katie tornò a bere il suo tè trattenendo una risata. Hunk le diede una gomitata sotto il tavolo e la pregò con lo sguardo di dargli man forte. Ovviamente, non accadde.
“Coran, Lance non apprezza la tua cucina e lo sai!” Non era nelle intenzioni del povere Hunk essere sgarbato ma era assolutamente necessario che il vecchio Altean se ne stesse lontano dalla veranda il più possibile, fino a che non era il Principe a richiedere la loro presenza.
Coran non se la prese. Al contrario, non esitò a replicare. “Come se non lo sapessi!” Esclamò. “Sarai tu a preparare qualcosa?”
Hunk s’indicò. “Io?”
Per poco, Katie non si strozzò con il mio tè.
“Lance si lamenta della mia cucina, si lamenta se entro in una stanza in cui c’è anche Sven… Oh! Si lamenta di tutto, quel ragazzo! Però, mio giovane Hunk, non si lamenta di te!” Concluse Coran.
Il viso di Hunk assunse delle preoccupanti sfumature blu. “Io? Devo andare in veranda? Io?”
Coran annuì con fermezza. “Fai il suo sandwich preferito, avanti!” Ordinò indicando il bancone della cucina. “Solo tu sai come mettere insieme quella schifezza! Ah, i giovani d’oggi...”
Hunk impiegò venticinque minuti a preparare un panino e si decise a portarlo a termine solo quando Coran cominciò ad urlargli contro che stava calando il sole e che Lance non poteva rovinarsi l’appetito per l’ora di cena.
Ci mise il doppio del tempo necessario per attraversare la reggia e raggiungere la veranda.
Per sua fortuna, quando varco l’ingresso, la cintura dorata della vestaglia blu di Lance era stretta saldamente intorno alla sua vita ed anche Sven aveva tutti i vestiti addosso.
“Hunk!” Il Principe si alzò dal divano e gli rivolse un gran sorriso. “Tempismo perfetto! Stavo morendo di fame!”
Hunk forzò un sorriso, annuì e s’impegno a non svenire sul pavimento della veranda.
[Daibazaal]
Zarkon era fuori di sè. “Una cosa dovevi fare!” Ringhiò camminando avanti ed indietro per il laboratorio. “Una sola ma hai deciso comunque di fare di testa tua!”
“Fermo, Lotor,” ordinò Honerva afferrando il mento del figlio. Gli stava medicando i tagli sul viso da qualche minuto e non era riuscita a dire una parola: suo marito non la smetteva di borbottare e sbraitare da quando il loro unico erede aveva rimesso piede su Daibazaal.
Lotor lo ignorava deliberatamente con espressione annoiata.
Stanco di urlare, Zarkon lo squadrò con espressione severa. “Non hai nulla da dire in tua difesa?”
Mentre finiva di disinfettare il taglio più profondo al di sopra del sopracciglio chiaro, Honerva guardò il figlio dritto negli occhi, lanciandogli un messaggio silenzioso. Non lo sfidare, dicevano i suoi occhi. Non fatevi la guerra come al solito.
Lotor rispose allo sguardo e ne comprese il significato senza sforzo ma era troppo ostinato per piegare la testa, anche di fronte al suo Re. “Mi spiace,” disse con sarcasmo, “mio padre mi ha insegnato a non essere un codardo. Quello da biasimare è lui.”
Honerva chiuse gli occhi con rassegnazione e si allontanò dal figlio portando con sè il cotone ed il disinfettante. Contò fino a tre e la voce di Zarkon spezzò il silenzio, più iraconda di prima: “non ti permettere, ragazzino!”
“Ragazzino…” Sussurrò Honerva con una smorfia facendo ordine sul suo tavolo da lavoro.
Lotor si alzò dalla sedia su cui sua madre lo aveva spinto e fece per andarsene.
“Non osare uscire da quella porta!” Ringhiò Zarkon puntandogli l’indice contro. “Hai detto di non essere un codardo, allora affronta le conseguenze delle tue azioni!”
Lotor si voltò e resse lo sguardo del padre senza problemi. “Siamo onesti,” disse allargando le braccia. “Hai veramente pensato che avrei consegnato le dosi di quel farmaco al fronte e che sarei tornato a casa come era nei piani?”
“Sì, perchè questi erano gli ordini!” Esclamò il Re dei Galra con rabbia. “Se io ti do un ordine, io mi aspetto che tu lo rispetti!”
“Allora hai aspettative molto poco realistiche!” Replicò Lotor con forza.
Honerva gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla: era sempre così controllato, fino a che non si ritrovava faccia a faccia con suo padre.
“Il fronte stava per cedere!” Aggiunse il Principe. “Era mio dovere restare lì e fare qualcosa!”
“Non sei ancora Re, ragazzino!”
“Forse dovrei diventarlo!” Sbottò Lotor esasperato. Se ne pentì immediatamente.
Honerva sollevò gli occhi su entrambi e vide che l’espressione di suo figlio era cambiata drasticamente, come quella di suo marito. C’era del senso di colpa riflesso negli occhi color indaco di Lotor ma non avrebbe mai dato voce a quel sentimento per troppo orgoglio. In questo, come in molte altre cose, padre e figlio erano identici: non si disturbavano a chiedere il permesso e nemmeno chinavano la testa per scusarsi.
Honerva sospirò ed aggiustò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. “Il consiglio di guerra deve essere riunito,” disse voltandosi. “Vai, Lotor. Pensaci tu e non dimenticare di contattare i Comandanti che sono ancora a Nacxela.”
Lotor avrebbe voluto dire altro ma si limitò ad annuire ed accettare la via di fuga che sua madre gli stava offrendo.
Non appena il Principe uscì dal laboratorio, Zarkon si massaggiò la fronte stancamente. Sentiva gli occhi di sua moglie su di sè ma reggere lo sguardo di Lotor era già stato abbastanza faticoso e sapeva che Honerva sapeva essere decisamente più ostinata. “Che cosa c’è?” Domandò fissando un punto qualunque del pavimento.
Honerva non accettò quella finta nonchalance. “Ti ha ferito,” disse. “E tu hai ferito lui.”
Suo malgrado, Zarkon cercò i suoi occhi. “Come lo avrei ferito, di grazia?”
“Nessuno dei due ha detto quello che pensa davvero!” Esclamò Honerva incrociando le braccia sotto al seno. “Perchè non sei sincero con lui? Perchè non gli dici quello che ti passa per la testa?”
“Che cosa dovrei dirgli, Honerva? Non riesco ad aprire bocca senza che lui mi butti fango addosso?”
“Che sei orgoglioso di lui!” Rispose sua moglie con fermezza. “Digli che hai paura ogni volta che non torna a casa quando ce lo aspettiamo ma che sei orgoglioso di lui!”
Zarkon scosse la testa e si voltò per non doverla guardare e Honerva seppe di averla avuta vinta. Come sempre, del resto. Sospirò e si portò davanti a suo marito, poco le importava che lui continuasse a tenere lo sguardo puntato altrove.
“Lotor non voleva dire quello che ha detto,” disse Honerva. “Quando perde la calma, non ragione… Esattamente come te.” Sorrise.
“Questo non cambia il fatto che io lo pensi,” disse il Re con espressione malinconica. “Quando ha sviluppato il piano politico con cui ora gestiamo le nostre colonie, era solo un ragazzino.” Sbuffò. “Ha cambiato completamente il modo dei Galra di scrivere la storia e non ha ancora la corona. Non posso competere con lui.”
Honerva si umettò le labbra. “Ti prego, Zarkon, non farlo,” disse prendendo una delle sue grandi mani nelle sue. “Lotor è capace ma è giovane e non ha così tanta fretta di divenire Re. Ha detto quel che ha detto solo perchè era arrabbiato e voleva provocarti.”
L’espressione di Zarkon si addolcì. “Non temere, mia adorata,” la rassicurò. “Abdicare in un momento come questo sarebbe una dimostrazione di debolezza imperdonabile. Altea può infierire su di noi e continuare a piegarci ma noi non ci spezzeremo. Per uscire da questa situazione di stallo, la figlia di Alfor dovrà fare un passo indietro.”
Il sovrano di Daibazaal si rifiutava di chiamarla Regina.
[Altea]
Su Altea, il concilio di guerra contava solamente due persone.
“E questo è quanto,” concluse il Generale Hira appoggiando entrambe le mani sul tavolo. Sopra di esso, un grande ologramma del Sistema di Nacxela era l’unica fonte di luce nella stanza del consiglio. “I Galra cadono a centinaia ogni giorno, mia signora ma sono più difficili da sconfiggere di quel che avevamo previsto.” Non le faceva piacere ammetterlo. Non le piaceva tornare ad Altea con quella che non era nè una vittoria nè una sconfitta.
La Regina Allura sedeva in fondo al lungo tavolo ed osservava lo schema di colori dell’ologramma. C’era troppo viola per i suoi gusti.
“Se continuiamo di questo passo,” disse. “Del sistema di Nacxela non rimarranno altro che macerie e tutta questa guerra sarà stata per niente.”
Hira annuì con aria grave. “Vi chiedo perdono, Maestà.”
Allura scosse la testa. “No, non c’è nulla che debba essere perdonato,” disse. “I Galra rappresentano l’unica minaccia degna di nota nell’universo conosciuto. Zarkon è ancora a capo della coalizione di cui faceva parte anche mio padre. Non ha ancora chiesto l’intervento degli altre Re alleati e questo mi turba.” Appoggiò le spalle all’alto schienale della sua sedia. “Senza contare che la Regina di Daibazaal conosce tutta la teoria alla base della quintessenza.”
“Tuttavia, non la stanno usando,” notò Hira.
“No,” le labbra di Allura si piegarono in un sorriso beffardo. “Devono essere le complicazioni etiche e morali ad impedire alla Regina Honerva di fare quel passo.”
“Abbiamo delle complicazioni belle grosse anche noi,” disse una terza voce, quella di un uomo.
Allura tornò seria di colpo. “Non ti ho sentito entrare,” disse ma non si voltò. Non le serviva.
Hira chinò la testa con rispetto. “Maestà.”
Alfor si fece avanti ed entrò nel cerchio di luce che circondava il tavolo. Allura allontanò lo sguardo dall’ologramma e lo guardò: suo padre sorrideva e pareva divertito.
“Il buon vecchio Zarkon non cambierà mai,” disse nostalgico. “Non ti sta rendendo le cose facili, vero?”
Non appena gli occhi di Alfor incrociarono quelli della figlia, quest’ultima voltò il viso con un movimento veloce. “Non vi ho chiesto di venire a corte, padre,” gli fece notare. Secondo la legge, avrebbe potuto buttarlo fuori da quella sala e dal castello stesso, se solo lo avesse voluto.
Tuttavia, non dimostrare il massimo rispetto per chi l’aveva preceduta sul trono di Altea non era saggio. Ufficialmente, era stato Alfor a decidere di lasciare la corte per vivere il resto della sua vita in tranquillità. Lo aveva fatto per proteggerlo, perchè sarebbe stato pericoloso confessare di fronte ai nobili che la nuova, giovane Regina aveva bandito suo padre in un impeto d’ira.
Allura non aveva avuto gli stessi problemi con Lance. Suo fratello era stato bravo ad offendere la moralità della corte abbastanza da rendere il suo esilio necessario agli occhi di tutti gli Altean. Con Alfor la questione era più complessa. Aveva abdicato in suo favore, certo ma Allura sapeva che non sarebbe mai stata la sola a sedere sul trono di Altea fino a che suo padre era ancora in vita.
“Ho saputo dell’ultima battaglia su Nacxela ed ero preoccupato per mia figlia,” disse Alfor con un sorriso gentile. “Non sarò più il Re ma ho ancora il diritto di essere tuo padre.”
Allura riportò gli occhi sull’ologramma. “Non ero su Nacxela, non avevi ragione di preoccuparti per me.”
Alfor si avvicinò e sfiorò i lunghi capelli della figlia con il dorso della mano. “Sarò sempre preoccupato per te,” disse con malinconia. “È il prezzo da pagare per essere un genitore.”
Allura si sottrasse a quella carezza e lo guardò negli occhi. “Sei qui per dare dare voce al tuo disappunto ancora una volta, padre?”
Alfor scosse la testa. “Nessun disappunto,” disse sedendosi sul bordo del tavolo. In quel modo, dava le spalle a Hira e la escludeva definitivamente da quella conversazione.
Il Generale e la giovane Regina si scambiarono un’occhiata ma rimase in silenzio.
“Voglio solo aiutarti a fare il punto della situazione,” chiarì Alfor. “Sei intelligente ma ho la saggezza della vecchiaia dalla mia parte. Permettimi di dipingere il quadro generale per te, così che tu possa scegliere più facilmente il tuo prossimo passo.”
Allura storse la bocca in una smorfia. “Ho ben chiaro il quadro generale, padre,” replicò. “Siamo in una situazione di stallo. I Galra dovevano essere sconfitti nell’ultima battaglia. Non è stato così, Nacxela è ancora loro ma attaccare ancora significherebbe distruggere ciò per cui abbiamo investito vite, risorse materiali ed energia.”
Alfor annuì. “Non puoi più usare la forza,” disse. “A meno che non voglia giocarti l’appoggio del popolo e della nobiltà e non sei sul trono da abbastanza tempo per permetterti un passo tanto azzardato. Questa guerra di conquista è il primo capitolo del tuo regno. Il tipo di Regina che sarai per la tua gente sarà determinato dal modo in cui lo chiuderai.”
Suo malgrado, Allura non potè obiettare. “Arrendersi o rinunciare mi condannerebbe,” disse. “Non posso apparire debole agli occhi della coalizione di Zarkon.”
“E, come abbiamo già detto, insistere danneggiare la tua immagine agli occhi degli Altean,” sottolineò nuovamente Alfor.
Allura si massaggiò la fronte. “È una situazione di stallo.”
“No, se cambi prospettiva,” disse Alfor con leggerezza, come se la soluzione fosse proprio sotto il naso della giovane Regina e lei non riuscisse a vederla. “Puoi fare un passo indietro ma senza piegare la testa di fronte ai Galra.”
Allura inarcò le sopracciglia. “In che modo?”
Alfor sorrise, soddisfatto di aver ottenuto la completa attenzione di sua figlia. “Esistono altri modi per fare propri i territori di qualcun altro,” disse. “Modi che non richiedono inutili spargimenti di sangue.”
Sven si era addormentato nel suo letto e, steso accanto a lui, Lance lo guardava con gli occhi pieni di amore. Quando l’altro non rispondeva al suo sguardo, poteva permettersi di farlo. Non erano riusciti ad aspettare il calare della notte per fare di nuovo l’amore.
La seconda volta, era stata più dolce, lenta, con Sven seduto contro il grandi cuscini del letto ed il Principe di Altea su di lui. Si erano baciati per tutto il tempo e Sven l’aveva stretto tanto forte da fargli male. In principio, anche Lance si era addormentato, cullato dal calore dell’amante. Era stato un brivido a svegliarlo: nel sonno, Sven si era allontanato da lui.
La luce del tramonto illuminava la stanza di una tiepida luce ed era difficile combattere il desiderio di chiudere gli occhi e lasciarsi andare tra le braccia del sonno.
Lance non voleva addormentarsi. Non voleva perdersi neanche uno di quei momenti in cui poteva aprire il suo cuore a Sven in silenzio, con uno sguardo sincero ed una dolce carezza tra i suoi capelli corvini.
Se il Terrestre era consapevole della profondità del sentimento che il Principe provava per lui, non ne aveva mai fatto parola. Forse, nonostante il suo spirito d’avventura, si era reso conto anche lui dell’impossibilità di costruire un futuro insieme.
Lance sapeva di essere egoista.
Se lo avesse amato davvero come credeva, lo avrebbe lasciato libero di vivere la sua vita e di scrivere la sua storia con qualcuno che potesse seguirlo e renderlo felice per davvero. Tuttavia, Sven ricambiava il suo amore senza paura nè pretese e Lance ne aveva bisogno come l’aria che respirava.
Se nella sua prigione dorata gli fosse stato negato anche quello spiraglio di libertà, sarebbe morto.
Sven lo amava ma non poteva salvarlo. Lance era prigioniero fin dalla nascita e come tale avrebbe vissuto il resto della sua vita. Era una prospettiva terribile ma a cui si era rassegnato da tempo.
Era nato per errore, Lance e lo avevano cresciuto per cortesia, perchè suo padre era sempre stato troppo nobile per non affrontare le conseguenze delle sue azioni.
La sua esistenza, tuttavia, non era nè importante nè necessaria.
“Lance…”
Ancora assorto nei suoi pensieri, Lance si voltò senza pensare.
Sua sorella era sulla porta della camera da letto o lo guardava con disappunto. Imbarazzato, Lance si strinse le coperte al petto. “Allura…” Riuscì a mantenere un tono di voce basso per non svegliare il Terrestre che dormiva accanto a lui.
“Rivestiti, dobbiamo parlare,” disse Allura. “Ti aspetto di là.”
Lance aspettò che la porta si richiudesse, poi scivolò fuori dalle coperte. Non perse tempo a recuperare i suoi vestiti, si limitò ad indossare la vestaglia blu abbandonata in fondo al letto. Le visite di Allura non duravano mai per più di qualche minuto ed il Principe aveva premura di tornare a letto prima che il suo amante si risvegliasse.
Come la sua stanza, anche il salottino privato adiacente era illuminato dalla vivace luce del tramonto. Sua sorella osservava il lago fuori dalle grande finestre, le braccia incrociate sotto al seno ed il viso congelato in un’espressione austera.
Incapace di sopportare quella vista, Lance abbassò lo sguardo. Non sapeva dove era finita la fanciulla gentile con cui era cresciuto ma era certo che non l’avrebbe trovata negli occhi blu della giovane donna che aveva davanti.
“Di che cosa volevi parlarmi, Allura?” Domandò il Principe.
Lei non si voltò. “Tutto qui il rispetto che mostri alla tua Regina?”
Lance strinse le labbra e chinò la testa. “Perdonatemi, Maestà. Qual è la ragione che vi ha spinto ad onorarmi con la vostra presenza?” Se c’era del sarcasmo nella sua voce, non poteva farci niente.
Allura non disse nulla in proposito. “Nuoti ancora nudo nel lago?”
Lance lanciò un’occhiata allo specchio d’acqua visibile dalle finestre. “Non siamo a corte,” le ricordò. “Qui non c’è nessuno che si preoccupa a scandalizzarsi per la mia condotta poco opportuna.”
“I miei uomini hanno sentito alcuni dei nobili più giovani commentare beffardamente questa tua abitudine,” replicò la Regina.
Lance sgranò gli occhi ed impallidì. “Pensavo che vi fossero delle guardie a protezione di questa reggia.” La sola idea che qualcuno lo spiasse nei suoi momenti di libertà lo spingeva a provare una rabbia a cui non era abituato e che non gli piaceva affatto.
“Devono averle evitate,” disse Allura con tono incolore. “Dopotutto, non vi è l’intero esercito a vostra protezione.”
“E sono io a venir biasimato per il loro comportamento?” Domandò Lance con le lacrime agli occhi. “Se solo dimostrassi un po’ di rispetto per me…”
“Rispetto?” Alla fine, Allura si voltò e lo guardò con astio. “Ti ho trovato che facevi sesso con un Terrestre sul trono di Altea e nella notte della mia incoronazione. È troppo tardi per chiedermi di provare del rispetto per te.”
Non urlò, la Regina. No, gli ricordò il suo crimine con calma freddezza.
Lance non lo sopportò. “Perchè non sei onesta? Perchè non ammetti semplicemente che la cosa che ti disturba di più è il fatto che Sven assomigli a Shiro?”
Lo schiaffo che si abbatté sulla sua guancia non lo sorprese ma non fece meno male per questo.
Lance si portò una mano al viso. Piangeva ma non se ne vergognava: aveva il diritto di disperarsi per quel che sua sorella era diventata.
“Non pronunciare il suo nome,” sibilò Allura.
Lance non replicò, lo sguardo basso. “Pensi ancora a lui…” Non era una domanda.
“Insisti, Lance?” La Regina era adirata. “Non perderò tempo a parlare con te di un errore della mia fanciullezza.”
Lance si massaggiò la guancia distrattamente. “Lo amavi,” le ricordò. “Come può essere un errore?”
Per un attimo, temette che sua sorella lo colpisse di nuovo ma non accadde. “Tu ami il tuo Terrestre?” Domandò.
Lance la guardò con occhi pieni di paura. “Non prendertela con Sven, ti prego,” disse con voce rotta dal pianto. “È tutto quello che ho, Allura. Tutto quello che ho,” singhiozzò, “e so che non durerà per sempre. Non portarmelo via prima che sia lui a decidere di dimenticarmi, ti scongiuro.”
Insensibile alla sua disperazione, Allura sospirò con aria annoiata. “Temo che dovrai biasimare nostro padre per questo.”
“Cosa?” Lance non poteva credere alle sue orecchie. Non era mai stato il figlio preferito del Re di Altea ma suo padre non gli aveva mai fatto nulla di male… A parte coinvolgerlo nei suoi scomodi segreti.
“Devi sapere che la guerra ha subito una battuta d’arresto,” disse Allura. “Non abbiamo sconfitto i Galra e, pur avendo i mezzi per farlo, se ci riprovassimo, la corona di Altea potrebbe uscirne danneggiata.”
Lance ascoltò comprendendo solo metà di quello che gli veniva detto: non era stato educato per essere un guerriero nè un politico e la guerra era una di quelle faccende che mai lo avevano sfiorato.
“Dobbiamo aspettarci un attacco Galra?” Domandò timoroso.
Allura scosse la testa. “No, non ancora.”
Lance aggrottò la fronte. “Che significa non ancora?”
“Nessuno dei due può fare un passo in avanti,” spiegò Allura. “E nessuno dei due vuole fare un passo indietro. Riesci a capire cosa significa questo, Lance?”
Il Principe sbatté le palpebre un paio di volte. “Vuoi fare un accordo con Zarkon?”
Allura gli rivolse una smorfia derisoria. “Bravo, Lance, vedo che sei attento.”
Il giovane Altean strinse le labbra e si costrinse a non risponderle a tono: la guancia bruciava ancora. “Che cosa ha a che fare tutto questo con me?” Domandò, invece.
Gli occhi blu di Allura si accesero. “Nostro padre mi ha giustamente ricordato che esistono altri modi per fare proprio un Regno nemico. In particolare, vi è un modo che ci richiederà il minimo sforzo e poco impegno economico.”
Lance la osservò con fare guardingo. “Ovvero?”
La giovane Regina si avvicinò di un paio di passi, quelli necessari per poter posare una carezza tra i capelli castani del fratello minore. “Ho bisogno che sposi il Principe di Daibazaal.”
Lance non reagì immediatamente. Per un attimo, non comprese nemmeno il significato delle parole che sua sorella gli aveva rivolto. Quando la sua mente riuscì ad incastrare i pezzi, l’espressione del Principe divenne ancora più confusa. “Che cosa stai dicendo, Allura?”
“Che, finalmente, siamo riusciti a trovarti un’utilità,” rispose sua sorella. “Alla fine, hai l’occasione di servire Altea come si richiede ad un Principe degno di questo nome.”
Lance scosse la testa. “Non ha senso quello che dici.”
Allura ridacchiò. “Suvvia, Lance. Avvengono accordi di questo genere dall’alba dei tempi. Non sei nè il primo nè l’ultimo ad unirti ad un’altra famiglia reale attraverso un matrimonio combinato.”
“Allura, quello che dici non ha senso,” ripetè il Principe. “Sei tu la Regina! Altea è tua e non mia!”
“Per questo sarai tu a sposare Lotor,” disse Allura. “Fin tanto che sarò in vita, nessun Galra potrà vantare alcun diritto sul trono di Altea… E conto di restare viva molto a lungo.”
“E perchè la casa reale di Daibazaal dovrebbe accettare un accordo simile?” Domandò Lance. “Che cosa otterrebbero?”
“La nostra parola che non li distruggeremo dal primo all’ultimo, tanto per cominciare. Cedendo loro il nostro adorato Principe, dovranno crederci per forza.”
“Allura, questo piano non ha alcun senso!” Sbottò il Principe esasperato. “Sono sterile, te lo ricordi? Sei tu che mi hai costretto a fare quei test, dopo che mi hai visto con Sven! Sei tu che ti preoccupavi che un altro Principe bastardo potesse infangare la reputazione della casa reale di Altea! Sei tu che mi hai sbattuto in faccia la verità sulla mia nascita!”
Allura gli afferrò la gola e lo costrinse contro la parete alle sue spalle. Era più alta di lui, sua sorella ed era infinitamente più forte. Lei era un’Altean puro sangue e Lance no.
“Stammi a sentire, fratellino,” disse lei con le labbra piegate nell’oscura parodia di un sorriso dolce. “Non possiamo permetterci di continuare la guerra contro Zarkon e Lotor e ancor meno di permettere ad entrambi di riunire la coalizione contro di noi. Vuoi che il nostro mondo venga distrutto, Lance? Sai come sono i Galra, sei cresciuto con loro… Non hanno alcuna pietà sui loro nemici e ne hanno ancor meno contro chi nutrono un forte sentimento di vendetta. Li decimiamo da due anni, Lance. Due anni di guerra ininterrotta. Li abbiamo massacrati, umiliati, sconfitti e piegati ma non riusciamo a spezzarli.”
Le dita di Allura gli strinsero il collo e Lance le afferrò il polso in un gesto meccanico: gli mancava l’aria.
“Vuoi davvero che il nostro popolo conosca la portata della loro rabbia?” Domandò Allura. “Vuoi essere la causa della nostra caduta, Lance?”
Piangendo, il Principe scosse la testa disperatamente.
“Bene…” La Regina lo lasciò andare.
Lance scivolò seduto sul pavimento. Si portò una mano alla gola e, tra un colpo di tosse e l’altro, cercò di ricomporsi, di riprendere fiato. “Allura…” Chiamò.
Sua sorella aveva già recuperato il lungo mantello blu dallo schienale del divano. Gli concesse un’ultima occhiata dall’alto al basso.
“Quando Lotor scoprirà che non posso dargli dei figli, mi ripudierà senza pensarci due volte,” disse singhiozzando. “O farà anche di peggio.”
Allura non parve preoccupata da quella possibilità. “Allora è nel tuo interesse mantenere quel segreto il più a lungo possibile, Lance.” Detto questo, se ne andò e lasciò suo fratello piangere sul pavimento.
[Gamora]
Quello di Gamora era un piccolo sistema al confine tra i territori degli Altean e quelli dei Galra.
Negli anni, Alfor e Zarkon avevano usato il piccolo pianeta da cui prendeva il nome come punto d’incontro per discutere le questioni della coalizione che avevamo creato insieme.
Honerva non aveva mai pensato che ci avrebbe rimesso piede ma la guerra contro Allura aveva spazzato via molte cose che la Regina di Daibazaal aveva sempre giudicato indistruttibili. Prima tra tutte, l’amicizia tra suo marito ed il Re di Altea.
Suo malgrado, pur essendo una donna di scienza, aveva imparato ad accettare che il destino era imprevedibile ed in particolare quello delle famiglie reali.
Dopo due anni di assoluto silenzio e guerra contro Altea, Honerva si aspettava di tutto dai loro vecchi alleati, meno di trovare un messaggio cifrato tra i file del suo laboratorio. Aveva superato facilmente tutti i sistemi di controllo informatico creati da lei e Lotor e Honerva aveva intuito la sua provenienza ancor prima di leggerlo.
Una volta letto il messaggio, aveva eliminato tutte le tracce che si era lasciato dietro ed era uscita dal laboratorio senza farsi vedere da nessuno. Zarkon e Lotor erano ancora chiusi nella sala del consiglio a cercare di venire a capo a quella guerra insensata. Questo le dave almeno un paio d’ore di vantaggio, prima che si accorgessero della sua assenza.
Se tutto andava secondo i piani, sarebbe tornata prima che suo marito avesse perso la testa.
Il castello che Zarkon ed Alfor usavano per le loro riunioni giaceva in stato di abbandono. Sotto alcuni aspetti, il pianeta di Gamora sembrava una miniatura di Altea. Scesa dalla sua navicella, Honerva vide di fronte a sè solo le macerie di un’era già conclusa.
Strinse le labbra ed entrò nell’edificio a sguardo basso. Non c’era nessun soldato ad attenderla e questo la rasserenò un poco ma non abbastanza da spingerla ad abbassare la guardia.
L’uomo che le aveva spedito quel messaggio criptato l’attendeva in una sala più grande delle altre. Quella in cui, un tempo, soleva radunarsi il consiglio di un sistema di alleanze che aveva fatto della libertà dell’universo la sua priorità.
Non appena la vida, Alfor le sorrise come si soleva fare con una vecchia amica. “Honerva…” Fece un passo in avanti.
La Regina di Daibazaal sollevò il braccio destro mostrando la blaster stretta nel pugno.
Alfor sgranò gli occhi e si arrestò. “Oh, giusto,” sollevò entrambi le mani per dimostrare che non era armato e non aveva brutte intenzioni, “sei la Regina dei Galra.”
“Che cosa vuoi?” Domandò Honerva freddamente.
Alfor, però, continuò a sorriderle. “Sei sei qui, significa che ricordi ancora il nostro codice segreto.”
Honerva si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. “Le pensavi tutte pur di distrarmi dalle lezioni di alchimia.”
“Ehi, era la migliore ed io dovevo pur difendermi in qualche modo!” Si giustificò Alfor allegramente.
“Te lo chiederò solo un’altra volta, Alfor,” disse la Regina di Daibazaal. “Che cosa vuoi?”
“Parlare,” rispose l’uomo che era stato il Re di Altea. “E ti sarei grato se potessimo farlo senza armi nel mezzo.”
Honerva inspirò profondamente dal naso ed riabbassò il braccio lungo il fianco. “Non ti cederò la mia arma,” lo avvisò.
“No, certo che no,” disse Alfor. Se lo era aspettato. “Mi accontento di non avere quella cosa puntata in faccia.”
“Dunque?” Insistette Honerva.
“Posso avvicinarmi?” Domandò Alfor.
Lei annuì. “Attento a quello che fai.”
“Sono qui per proporti una soluzione, Honerva.”
Il viso della Regina dei Galra divenne una maschera di rabbia. “Una soluzione?” Sibilò. “Non siamo noi ad aver cominciato questa guerra, Alfor!”
L’ombra del senso di colpa rese più scuro il viso del Re di Altea. “Mi disp-”
“Non osare!” Gli ordinò Honerva. “Non hai cercato di fermare tua figlia! Non hai fatto niente per impedire che il lavoro tuo, di Zarkon e dei vostri alleati andasse completamente in pezzi.”
Alfor sospirò. “Non è così semplice, Honerva.”
“Sono una madre ed una Regina, non perdere tempo a farmi lezioni su cosa è facile e non lo è nel crescere un erede al trono!”
Alfor annuì. “Sto cercando di rimediare, Honerva.”
“Come hai fatto la notte in cui è morta Allura?” Domandò lei.
L’Altean strinse i pugni e, per un attimo, anche la sua espressione s’indurì. “Sei una madre, eppure continui ad accusarmi per quello che ho fatto.”
“Se pensi che commetterei l’errore di trasformare Lotor in un mostro e farlo passare come disperato atto d’amore, ti sbagli di grosso!”
Alfor la guardò dritto negli occhi. “Qualcuno mi dice che Zarkon non sarebbe d’accordo.”
Honerva strinse le labbra e rimase in silenzio.
“Ho ragione, vero?” Alfor si avvicinò ancora di un passo. “Vi conosco entrambi da tutta la vita e non ho difficoltà ad immaginare cosa farebbe Zarkon, se suo figlio morisse urlando di dolore tra le sue braccia.”
“Zarkon perde la testa ogni volta che Lotor mette piede su Nacxela.”
“Lo so,” Alfor annuì. “Per questo sono qui e ho bisogno che mi ascolti.”
“Perchè io?” Domandò Honerva. “Perchè non Zarkon?”
“Prima di tutto, non sapevo come arrivare a lui senza che tutto il Regno dei Galra lo sapesse,” rispose Alfor. “Secondo, perchè sei un Altean e sei una madre.”
Honerva inarcò le sopracciglia. “Che cosa centra questo?”
“Ho convinto Allura a fare un passo che porrà fine alla guerra e non posso rischiare che Zarkon rifiuti la sua proposta per orgoglio.”
“Vai avanti,” gli concesse la Regina.
Alfor sorrise. “Vorrei concedere la mano del mio Lance al tuo Lotor.”
Honerva inarcò le sopracciglia fino a che le fu fisicamente possibile. “Prego?”
“Sono serio!” Esclamò Alfor. “Il mio Lance è un dolce e vivace ragazzino ed il tuo Lotor un grande guerriero ed uno stratega brillante. Saranno una coppia meravigliosa!”
Honerva lo guardò come se fosse completamente impazzito. “Fammi capire,” disse massaggiandosi la fronte. “Tu vuoi mettere una piccola copia di te con la versione per metà Altean di Zarkon?”
Alfor aggrottò la fronte. “Lotor mi è sempre parso abbastanza manipolatorio, tipo te.”
La Regina incassò l’insulto involontario alzando gli occhi al cielo. “Altean per metà, Alfor. Altean per metà…”
“Io e Zarkon funzionavamo!” Esclamò Alfor come se fosse una giustificazione. “Anche io e te funzionavamo.”
“Come alleati!” Replicò Honerva con forza. “Amici! Compagni sul campo di battaglia! Come due Re che vivono ognuno sul proprio pianeta!”
“Honerva, rifletti,” la pregò Alfor. “Un matrimonio sistemerebbe ogni cosa e la coalizione tornerebbe ad esistere e più forte di prima.”
Honerva scosse la testa. “Lotor non mi perdonerà mai, se lo costringo a fare questo.”
Alfor sorrise con malinconia. “E così non mi perdonerà Lance,” ammise. “Tuttavia, sono nati Principi, Honerva ed è una maledizione da cui non possono liberarsi.”
La Regina di Daibazaal incrociò le braccia sotto al seno. “Cosa mi dici del tuo Lance?” Domandò con voce più gentile. “Ricordo che era molto legato al piccolo Keith.”
“Sì,” confermò Alfor. “Dovrebbero avere la stessa età.”
“Lui e Lotor si saranno parlati un paio di volte in tutti quegli anni?” Ipotizzò Honerva scuotendo la testa. “Vuoi veramente costringere il minore dei tuoi figli ad un matrimonio combinato?”
“Sembri più preoccupata per mio figlio che per il tuo.”
“Sarà Lance a ritrovarsi in un pianeta sconosciuto,” disse Honerva. “E sarà Lance a divenire il Principe Consorte di un popolo che non è il suo. Anni fa, ho scelto lo stesso destino da donna adulta e non è stato semplice, Alfor. Sarà una tortura per un ragazzino che non può far valere la propria volontà.”
Alfor abbassò lo sguardo per un istante. “Lo so,” disse con tono grave. “Ma Allura ha i mezzi per spazzare via il Sistema di Daibazaal. Questo la condannerebbe come Regina ma è l’unico pensiero a fermarla. Non possiamo permetterci di sfidarla ulteriormente.”
Honerva inarcò le sopracciglia. “Possiamo?” Ripetè perplessa. “Da quando sei coinvolto nella difesa del popolo dei Galra?”
“Non sono più un Re, Honerva,” le ricordò Alfor. “Mio malgrado, non è il popolo di nessuno che sto cercando di proteggere, non ne ho più il potere.”
Honerva lo guardò dritto negli occhi. “Che cosa stai cercando di fare davvero, Alfor?”
Alfor si fece immediatamente serio. “Vorrei chiederti un favore d’amico, Honerva...”
[Altea]
Quando la notizia arrivò ufficialmente alla reggia sul lago dei giardini reali di Altea, Coran portò i due più cari amici del Principe in cucina e spiegò loro quanto stava per accadere a Lance.
“Non ho capito,” disse Hunk, quando il vecchio Altean ebbe finito di parlare.
“Hai capito benissimo, invece,” replicò Katie, era sconvolta almeno quanto lui.
Coran sospirò. “La decisione è stata presa ieri al tramonto,” spiegò. “Pare che Alfor abbiamo incontrato la Regina Honerva di nascosto e che lei abbia accettato la sua offerta.”
Hunk scosse la testa. “Io continuo a non capire,” ammise. “Lance non ha mia avuto nessun ruolo nei giochi politici, senza contare il modo in cui la nobiltà parla di lui.”
“Non è neanche vergine,” aggiunse Katie. Hunk le diede una gomitata. “Ehi!” Esclamò lei irritata. “Non era un giudizio nei confronti di Lance! Dico che è un requisito richiesto nei matrimoni combinato… Oppure no?” Si rivolse a Coran.
Il vecchio Altean sospirò. “Simili costumi sono superati ma, di solito, il matrimonio è preceduto ad un periodo di fidanzamente in cui ci si assicura che il Principe o la Principessa Consorte non sia… Avete capito!”
Hunk tornò a scuotere la testa. “No, non capisco!” Esclamò esasperato.
“E Sven?” Domandò Katie. “Che ne sarà di Sven?”
Coran non ebbe il cuore di risponderle ed abbassò lo sguardo.
I due giovani amici di scambiarono un’occhiata allarmata.
“Ma così il cuore di Lance finirà in frantumi,” disse Hunk.
Katie abbassò lo sguardo. “Che crudeltà è mai questa?” Domandò con le lacrime agli occhi. “Non è giusto… Non è giusto…”
Coran si sporse sul tavolo della cucina, afferrò una delle piccole mani di Katie e strinse la spalla di Hunk. “In quanto amici, tutto quello che potete fare è stargli vicino.”
“Ma se ne andrà…” Mormorò il ragazzo tirando su col naso.
“Un Principe Consorte non lascia mai la propria casa da solo,” disse Coran. “Sarà mio dovere accompagnarlo a Daibazaal per servirlo e non c’è ragione per cui la Regina debba negare lo stesso onore anche a voi.”
I due giovani annuirono.
“Dov’è Lance?” Domandò Hunk preoccupato. “Non è il caso di lascialo da solo…”
Coran si fece indietro. “Sta parlando con Sven,” rispose. “Diamo loro tutto il tempo di cui hanno bisogno.”
I due amanti erano seduti in fondo al pontile del piccolo lago.
Sven se ne stava con i piedi sospesi sullo specchio d’acqua e fissava gli alberi sulla sponda opposta. Lance aveva le ginocchia strette al petto e guardava il profilo del suo uomo mentre le lacrime gli rigavano le guance.
“Il Principe dei Galra…” Mormorò Sven. “Hanno ceduto la tua mano al Principe dei Galra.” Stentava a crederlo.
Lance strinse gli occhi e nascose il viso braccia. Non riusciva a parlare, non riusciva a pensare. Non ricordava di aver mai provato tanta disperazione in vita sua, nemmeno quando si era svegliato nello studio di suo padre ed aveva udito la Regina di Daibazaal dire a suo figlio che Allura era morta.
Quell’incubo era stato breve. No, aveva assunto un’altra forma.
Da quella condanna, però, Lance non riusciva a trovare una via d’uscita. “Mi dispiace, Sven,” disse con voce rotta dal pianto. “Mi dispiace per tutto quanto.”
Il Terrestre lo guardò. Non piangeva ma il Principe vide nei suoi occhi grigi la stessa disperazione che gli stringeva il cuore.
“Fuggiamo insieme!” Propose Sven avvicinandosi a lui.
Lance scosse la testa. “Sven…”
“So come far perdere le mie tracce, Lance,” disse il Terrestre stringendogli le mani. “Possiamo andarcene ora e non tornare mai più!”
“Sven, ti prego!” Urlò Lance, poi si lasciò andare ai singhiozzi. “Non rendere tutto più difficile, ti scongiuro…”
Sven non si mosse. “Tu vuoi sposare il Principe dei Galra?”
“No!” Sbottò Lance esasperato. “Ma si tratta del mio popolo, capisci? Non riguarda solo me, mia sorella e mio padre! Sto parlando della mia gente, di persone che non hanno mai fatto nulla di male… Non posso condannarle a morte, Sven! Non lo sopporterei.”
Il Terrestre abbassò lo sguardo, lasciò andare le mani del Principe e si arrese. “Lance…”
“Dimenticami, Sven,” lo pregò Lance. “Dimenticami e sii felice. È tutto quello che ti chiedo.”
Gli occhi grigi si fissarono in quelli blu un’ultima volta.
Sven prese il viso del Principe tra le mani. “Temo di non poterti accontentare, Lance.”
Le loro labbra s’incontrarono in un bacio d’addio al sapore di lacrime.
Lance non ebbe il coraggio di guardarlo mentre si allontanava. Non appena le loro mani smisero di toccarsi e gli occhi grigi di Sven di staccarono dai suoi, il giovane Altean nascose il viso tra le mani e pianse tutte le lacrime che gli erano rimaste.
Non seppe per quanto tempo rimase lì, a piangere da solo.
Non udì i passi dell’uomo che camminò lungo il pontile e lo raggiunse ma sobbalzò, quando la sua mano lo toccò.
Lance sentì il respiro venire meno nel riconoscere il viso dell’uomo che era stato il Re di Altea. “Padre,” mormorò.
Alfor si sedette di fronte a lui con un sospiro stanco. “Tu non hai idea di quanto mi faccia male vederti così.”
Lance affondò le unghie nelle sue stesse gambe e voltò lo sguardo. “E non provavi nulla mentre proponevi ad Allura di spingermi tra le braccia del nemico?”
Alfor allungò una mano per fargli una carezza ed il Principe si fece indietro per evitarla.
Il Re non insistette oltre. “Mi fido di Zarkon e Honerva,” disse. “Nonostante le azioni di tua sorella, non si vendicheranno su di te. Questo posso giurartelo, Lance!”
Lance fissò la superficie del lago senza vederla davvero. “Puoi anche giurarmi che sarò felice al fianco di Lotor?” Domandò freddamente. Non era nella sua natura essere così. L’invidia verso sua sorella lo aveva spinto a commettere molte sciocchezze e, fin da bambino, aveva collezionato un gran numero di guai. Perdonare, però, era sempre stato facile per Lance.
Bastava un sorriso da parte di suo padre o di Allura ed il giovane Principe era capace di dimenticare qualsiasi torno subito. Non era una persona rancorosa, Lance. Aveva solo un disperato bisogno di amore.
E la sua famiglia gli stava negando anche quello. Sì, Allura ed Alfor lo stavano condannando ad una vita senza amore, recluso in mezzo ad un popolo che non sarebbe mai riuscito a sentire come proprio.
Alfor impiegò un istante, prima di rispondergli. “Perchè non gli dai una possibilità, Lance?” Propose. “Siete entrambi Altean per metà. Lotor conosce il mondo in cui sei nato e non sarà difficile per lui comprendere le tue abitudini. Inoltre, era un bellissimo fanciullo. Quando lui e Shiro camminavano fianco a fianco nei corridoi del castello, persino il sole sembrava oscurarsi. Ora, immagino sia divenuto un bellissimo uomo.”
Lance fece una smorfia. “Io amo già un bellissimo uomo, padre,” disse. “E sai qual è la cosa peggiore? Non ho mai potuto dirglielo. Ho continuato a fingere che la nostra storia fosse una cosa da poco perchè sapevo di non potergli promettere nulla,” si asciugò il viso con il dorso della mano. “Lui però lo ha capito. Ha saputo leggere nel mio cuore meglio di quanto io sia in grado di fare con me stesso. Non mi ha mai accusato di fargli mancare qualcosa, di essere un bastardo egoista. Si è accontentato di quello che potevo dargli e, in cambio, non si è mai risparmiato con me. Mi ha dato tutto quello che ho sempre desiderato… Tutto e molto di più.”
Il Principe fissò gli occhi in quelli di suo padre. “Il destino mi ha concesso quello di cui avevo bisogno per essere felice, padre ed ho dovuto rinunciarci perchè sono figlio di un Re,” sorrise tristemente. “Il figlio bastardo e per metà Terrestre nato per errore e legittimato per senso di colpa. Comprendi la portata della mia maledizione, padre? Non sarò mai un Re, non sarò mai padrone della mia vita e l’unico modo che ho per dare un senso alla mia esistenza è accettare di essere venduto all’erede al trono di un popolo nemico.” Una serie di singhiozzi sfuggì alle sue labbra tremanti. “Non venire qui con il tuo ottimismo a cercare di farmi sentire meglio. Tu e mia sorella mi avete spezzato il cuore per l’ultima volta e non credo tornerà più integro.”
Il viso di Alfor era quello di un uomo distrutto. A Lance ricordò l’espressione che gli aveva visto in volto la notte in cui la tragedia si era abbattuta sulla loro famiglia. Il Re di Altea aveva assistito alla morte di entrambi i suoi figli ed era rimasto ad assistere impotente in entrambe le occasioni.
“Ascolta, Lance,” disse dolcemente. “Voglio farti un dono per il tuo matrimonio. Qualcosa del Regno di Altea che possa essere tuo per sempre.”
Lance non era interessato e non fece domande.
“Voglio che il Sistema di Gamora o quello di cui fa parte la Terra siano tuoi.”
Gli occhi blu del Principe si fecero grandi. “Cosa?”
“La Terra è il pianeta su cui sei nato,” spiegò Alfor. “Penso che la cosa più giusta sia donarla a te. Gamora è un piccolo Sistema al confine tra il nostro Regno e quello dei Galra e per te sarà facile da raggiungere, una volta che andrai a vivere su Daibazaal. Il pianeta da cui prende il nome è molto simile ad Altea e se ti mancherà la tua casa, lì potrai trovare un po’ di conforto.”
Lance non sapeva cosa dire. In un’altra occasione, sarebbe stato grato di quel dono fino alle lacrime ma le sue guance erano già bagnate e non per la gioia e la commozione. “È la mia dote?” Domandò.
Alfor scosse la testa. “No, non faranno parte dei territori del Galra, a meno che tu non lo voglia. Saranno solo tuoi e di nessun altro.”
Lance comprese che suo padre gli stava concedendo un piccolo Regno simbolico, uno spiraglio da usare per evadere dai suoi doveri. Quel regalo era un po’ come il piccolo lago sotto i suoi occhi: una libertà illusoria di cui godere quando il peso sulle sue spalle sarebbe divenuto difficile da sopportare.
“Grazie, padre,” mormorò il Principe di Altea senza guardare il genitore negli occhi.
Quel giorno, pur avendo un cuore gentile, Lance non sapeva se sarebbe mai riuscito a perdonare Alfor.
[Daibazaal]
Zarkon strabuzzò gli occhi. “Che cosa hai fatto?”
Honerva sospirò e fece appello a tutta la sua pazienza per il lungo discorso che stava per seguire. Il fatto che fossero sposati da abbastanza tempo da avere un figlio adulto, fu l’unica cosa che impedì al Re dei Galra di urlare contro.
“Zarkon, ascoltami,” disse la Regina salendo le scale che la separavano dal trono in cui era seduto suo marito. “È la cosa giusta da fare.”
A Zarkon doveva essersi bloccata la mandibola, perchè continuava a fissarla con la bocca spalancata da un intero minuto. “Mia moglie riceve un messaggio in codice dal Re contro cui stiamo combattendo una guerra…”
“Ad essere precisi, questo conflitto è contro la Regina Allura e non Alfor.”
“...E torna a casa annunciando che nostro figlio è improvvisamente divenuto il promesso sposo del Principe di Altea!” Concluse sbraitando il Re.
Honerva non perse la sua compostezza. “Zarkon…”
“Ti sei vista in segreto con Alfor!”
“Potresti dirlo senza farla passare come una tresca clandestina?” Domandò la Regina con sarcasmo.
Il sovrano dei Galra era fuori di sè dalla rabbia e quella battuta non contribuì a migliorare il suo umore. “Non sei divertente!”
“Non sono qui per scherzare,” replicò Honerva sedendosi sul bracciolo del grande trono. “Rifletti, Zarkon. Sei un Re e sei un grande stratega ma l’orgoglio non ci terrà in piedi in eterno e Kolivan ha già detto che le truppe al fronte sono sfinite. Se Allura ci attacca nuovame-”
“Lo so,” la interruppe il Re.
“Ci aspettavamo che avrebbero fatto qualcosa,” aggiunse Honerva. “Alfor mi ha offerto questo accordo ed io ho accettato. Per il bene della nostra famiglia e della nostra gente, ho dovuto farlo, Zarkon.”
“E se fosse tutta una scusa per prendere tempo?” Ipotizzò Zarkon. “Quel moccioso non ha mai avuto alcun valore sul piano politico. Anche se lo tenessimo come ostaggio, nulla impedirebbe alla Regina di spazzarci via.”
“Non accadrà,” lo rassicurò Honerva. “Fino a che Alfor avrà vita, Allura non ci toccherà più.”
“Come fai ad esserne certa?”
“Mi ha dato la sua parola.”
“La parola di un traditore, Honerva!” Sbottò Zarkon. “Avremo la pace, certo, ma solo per il tempo necessario a quella mocciosa per recuperare le forze!”
Honerva si sporse verso il marito. “E se sfruttassimo questo tempo anche noi?” Propose. “Nella nostra attuale situazione, non siamo in grado di fare niente. Però, se avessi più tempo, Zarkon, potrei arrivare a capo del mistero della quintessenza ed usarla come Allura ha fatto contro di noi.”
Suo malgrado, Zarkon si ritrovò a prendere in considerazione quella possibilità. “Tu credi alla parola di Alfor?”
“Ho le mie buone ragioni per credergli, sì,” disse Honerva.
“E non hai intenzioni di dirmi queste buone ragioni?”
“Prova ad immaginare il contrario,” ipotizzò Honerva. “Se Lotor andasse a vivere alla corte di Altea per un matrimonio combinato, che cosa avrebbe la priorità? Dimmelo: il potere o la salvezza di nostro figlio?”
Zarkon sbuffò. “Perchè mi fai queste domande assurde, ora?”
“Perchè Alfor mi ha risposto in modo molto convincente,” rispose Honerva. “Fino a che avrà fiato in corpo, impedirà ad Allura con tutto quello che ha di venire meno al patto di pace. Il Principe Lance è la nostra unica possibilità di salvezza. Se, alla morte di Alfor, Allura decidesse che non le pesa sacrificare suo fratello per il potere, noi saremo pronti a contrattaccare e su questo sono io a darti la mia parola.”
Zarkon la fissò a lungo. La rabbia era sbiadita e Honerva vide nei suoi occhi tutto l’amore che provava per lei.
Il Re dei Galra prese con delicatezza la mano della sua Regina nella sua e si appoggiò stancamente allo schienale del suo trono. “Perchè tutto questo accada ci rimane d’affrontare un’ultima prova, quella più difficile.”
Honerva inarcò le sopracciglia. “Sarebbe?”
Zarkon la guardò con espressione sconsolata. “Chi lo dice a Lotor?”
Keith entrò nel salone dei duelli nel bel mezzo di una sessione di allenamento del Principe dei Galra con l’unico Generale uomo della sua squadra.
“Micino!” Ezor fu la prima ad accoglierlo abbracciandolo tanto forte che Keith sentì qualche osso scricchiolare.
“Ezor, lasciami andare!” Sbottò la giovane Lama cercando di togliersela di dosso.
“No! Sei così carino!” Gli urlò lei in un orecchio.
Fu Acxa a salvarlo. “Ezor, lascialo andare, lo stai soffocando.”
Seduta sul pavimento, Zethrid rideva sguaiatamente e Narti si era voltata verso il gran baccano provocato dall’entrata in scena del piccolo Galra.
Pur con il broncio, Ezor ubbidì all’ordine della sua superiore.
Acxa si avvicinò al fanciullo. “Cercavi Shiro?” Chiese con quello che sarebbe potuto essere il suo tono gentile.
Keith scosse la testa. “Ho un messaggio per Lotor.”
Il Generale inarcò un sopracciglio. “Da parte di chi?”
“Di Zarkon,” rispose Keith con nonchalance. “Vengo ora dalla sala del consiglio.”
Acxa annuì e si voltò verso i due duellanti.
Lo scontro era finito: Shiro era a terra e Lotor gli stava porgendo una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Non appena fu in piedi, gli occhi grigi del Terrestre incontrarono immediatamente quelli della giovane Lama. “Keith!” Chiamò con un sorriso luminoso.
”Keith!” Gli fece il verso Ezor sbattendo le ciglia in direzione delle compagne. “Che dolce!”
Zethrid sghignazzò e Narti rimase in silenzio.
“Ezor…” La rimproverò Acxa passando una borraccia piena d’acqua al Galra dai capelli corvini. “Penso sarà più felice di averla da te.”
Keith arrossì frustrato e si voltò appena in tempo per ricevere un bacio a stampo da parte di Shiro.
“Ciao,” disse quest’ultimo con il fiato ed un sorriso dolce ad illuminargli il viso.
Per un lungo minuto, la mente di Keith smise di funzionare. Fissò il suo uomo con gli occhi sgranati e gli passò la borraccia piena d’acqua.
“Grazie,” disse Shiro prendendola tra le dita.
Keith accennò un timido sorriso.
Lotor diede a Shiro una pacca sulla schiena e lo superò ridacchiando. “Attento, Campione, non vogliamo che la tua lunga fila di ammiratrici ed ammiratori rimanga delusa perchè baci un gatto randagio.”
Keith tornò subito in sè e lanciò al Principe un’occhiata tagliente. Fu allora che ricordò il motivo per cui aveva disturbato la sessione di allenamento dell’erede al trono e dei suoi Generali. “Ho un messaggio per te,” disse la giovane Lama con un ghignetto beffardo. “Da parte di tuo padre.”
Lotor accettò la borraccia che Acxa gli porgeva e si voltò verso il piccolo Galra. “Che genere di messaggio?” Domandò bevendo un sorso d’acqua.
“Mi ha detto di avvisarti che ti stai per sposare!” Disse Keith a gran voce.
Per tutta risposta, Lotor gli sputò in faccia l’acqua che aveva in bocca.
Ezor scoppiò a ridere sorreggendosi contro la spalla di Zethrid, che batteva il pugno sul pavimento divertita.
“Ke-Keith…” Balbettò Shiro. Acxa gli lanciò un asciugamano e lo afferrò al volo. “Mi dispiace, Keith,” disse, come se fosse stato lui a sputargli addosso e prese ad asciugargli il viso ed il capelli.
Da parte sua, Keith era come divenuto di pietra e Lotor lo fissava come se gli fossero spuntate due teste.
“Che cosa hai detto?” Domandò il Principe, l’espressione sul suo viso era a dir poco orripilata.
Keith aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi serrò i denti sul labbro inferiore e sollevò il pugno destro in un gesto rabbioso e minaccioso al contempo.
“Calmo, Keith,” disse Shiro afferrandogli il polso.
“Ma questo bastardo mi ha sputato addosso!” Sbottò la giovane Lama.
“Ti ho detto di ripetermi il messaggio di mio padre!” Intervenne Lotor con altrettanta rabbia.
“Ha detto che stai per sposarti! Sei sordo, oltre che un grandissimo stronzo? Ti stai per sposare!” Non appena Keith chiuse la bocca, un pesante silenzio cadde nella sala dei duelli.
Shiro passò gli occhi sgranati dal viso del suo compagno a quello del suo Principe un paio di volte. Acxa fissava il profilo di Lotor senza proferire parola. L’espressione sul viso dell’erede al trono di Daibazaal era indescrivibile.
L’unica a reagire fu Ezor. “Lotor si sposa!” Esclamò applaudendo. “Un matrimonio reale! Ho sempre desiderato poterne vedere uno con i miei occhi!”
Zethrid si grattò il retro di un orecchio con espressione perplessa. “Sì, ma con chi si sposa?” Domandò al piccolo Galra.
Keith scosse la testa. “Non me lo hanno detto.”
Lotor storse la bocca in un’espressione beffarda. “È uno scherzo?”
Il fanciullo dai capelli corvini lo guardò indignato. “Ti sembro tanto idiota da fare certe scherzi?”
No, fu la risposta che si diede Lotor. Keith aveva tanti difetti ma essere simpatico non era la caratteristica dominante della sua personalità.
“Ridicolo…” Ringhiò a bassa voce. Spinse la borraccia contro il petto di Keith ed uscì dalla sala dei duelli sul piede di guerra.
“Lotor, aspetta!” Esclamò Ezor correndogli dietro. “Vogliamo sapere con chi ti sposi!”
“E così abbiamo deciso,” concluse Zarkon guardando il leader dell’ordine della Lama di Marmora dritto negli occhi. “Lotor sposerà il Principe Lance ed avremo la nostra pace… Temporanea, perlomeno.”
Kolivan annuì. “Comprendo, Maestà.”
Zarkon si massaggiò la fronte. “Ho mandato Keith perchè lui e Lotor si conoscono da tutta la vita ed il ragazzino non avrà alcun problema ad informarlo dei fatti.”
“Non gli avete parlato del Principe Lance,” gli fece notare Kolivan
“Quando arriverà qui, glielo dirò di persona. Ho il mal di testa al solo pensiero.”
“Coraggio,” sospirò Honerva poggiando una mano sulla spalla del marito. “Sei un guerriero e hai visto centinaia di campi di battaglia.”
“E sarei disposto a combattere su altrettanti, pur di non fare questa cosa… Kolivan! Dove credi di andare?”
Il leader della Lama di Marmora si era spostato davanti alla porta. “Con tutto il rispetto, Maestà,” disse con la sua solita voce atona. “Qualcuno deve sopravvivere per badare ai vostri uomini.”
Kolivan non ebbe il tempo di battere in ritirata. Lotor entrò nella sala del consiglio aprendo la porta con una tale violenza che per poco non lo investì.
“Che cosa significa questa storia?” Sbraitò il Principe battendo entrambi i pugni sul lungo tavolo.
Zarkon si coprì gli occhi con una mano. Almeno non si è presentato armato, pensò trovando in sè la forza di reggere lo sguardo furente di suo figlio. Non appena sollevò il viso, le persone presenti nella stanza erano drasticamente aumentate di numero.
Alle spalle di Lotor erano comparsi i suoi Generali ed il giovane Keith.
“Si è portato l’esercito…” Disse Zarkon a bassa voce.
Non comprendendolo, Honerva lo fissò perplessa.
“Si può sapere che cosa sta succedendo?” Tuonò Lotor con ira.
Zarkon si sollevò in piedi. “Calmati immediatamente, Lotor.”
“Che cos’è questa storia del matrimonio?” Domandò il Principe.
“Lotor…” Honerva si alzò in piedi ed esaurì la distanza tra sè ed il figlio. “È l’unico modo per risolvere il conflitto con Altea senza spargere altro sangue.”
Lotor sgranò gli occhi. “Altea?”
Alle sue spalle, Shiro sentì il respiro venire meno per un istante. Keith, invece, fece un passo avanti. “Che cosa centra Altea? Li sconfiggeremo uno per uno gli uomini di Altea!”
“Keith, contegno,” ordinò Kolivan con voce pacata.
Lotor scosse la testa inorridito. “Se pensate che accetterò che quella donna fac-”
“Non si tratta di Allura,” lo interruppe Honerva prendendogli le mani. “Il tuo promesso sposo è il Principe Lance.”
“Lance!” Esclamò Keith strabuzzando gli occhi. “Volete far sposare Lance con questo str-”
“Keith.” Shiro lo mise a tacere con un’occhiataccia. La giovane Lama smise di parlare ma questo non gli impedì di assumere un’espressione contrariata. “Lance non può venire qui,” disse a voce più bassa. “Non può divenire il Principe Consorte di Daibazaal, Shiro.”
Il suo uomo si limitò a stringergli una spalla. “Non possiamo farci niente, Keith.”
“Lance,” ripetè Ezor voltandosi verso le compagne. “Lo abbiamo mai visto questo Lance?” Domandò in un sussurrò.
Zethrid scrollò le spalle ed Acxa scosse la testa.
“Lance…” Fu il turno di Lotor di pronunciare quel nome. “Il fratello minore di Allura,” ricordò.
Honerva annuì. “L’ultima volta che lo hai visto era solo un bambino. Non ha mai fatto nulla di male a te o alla nostra gente.”
Al capo opposto del tavolo, Zarkon annuì. “Ascolta tua madre.”
Lotor gli lanciò un’occhiata furente. “È tutta una tua idea, non è vero?”
“No!” Esclamò Honerva impedendogli di fare un passo in più. “Tutto è partito da Alfor. Nè noi nè loro possiamo permetterci un’altra battaglia come l’ultima che abbiamo combattuto ed un matrimonio tra te ed il Principe di Altea assicurerà ad entrambe le case reali una pace duratura.” Suo figlio non aveva bisogno di sapere tutto, pensò, non in quel momento e con tante orecchie indiscrete intorno.
Lotor fissò gli occhi in quelli di suo padre. “Che crimine devo commettere per farmi esiliare?”
Honerva chiuse gli occhi e si preparò alla sfuriata in arrivo.
“Tu non vai da nessuna parte!” Esclamò Zarkon puntandogli l’indice contro. “Dovresti decapitare Kolivan per meritare una simile punizione!”
Kolivan drizzò le orecchie ed inarcò le sopracciglia. “Maestà, gli state dando un suggerimento,” lo avvisò.
“Non gli sto dando nessun suggerimento,” replicò Zarkon. “Io sono il Re e sta a me decidere!”
“Esiste l’esilio volontario,” gli ricordò il suo erede.
“Tu non ti muovi di qui, Lotor!” Tuonò il Re dei Galra. “Fino a ieri, parlavi di doveri e di responsabilità. Hai detto di non essere un codardo, dimostralo!”
“Quella che mi proponete non è una sfida ma una prigionia senza fine!” Urlò Lotor.
“Lotor…” Honerva lo costrinse a guardarlo. “Tuo padre ha ragione. Questo non è un gioco e c’è in ballo il destino del nostro popolo. Sei il Principe dei Galra, l’erede al trono di Daibazaal e ti viene chiesto di sacrificarti per la tua gente. Sì, puoi scegliere…”
Zarkon guardò la moglie allarmato. “Honerva…”
“Puoi scegliere se essere un Principe degno di tale nome o un ragazzino che si sottrae alle sue responsabilità quando la situazione si fa scomoda,” disse la Regina con calma fermezza. “Decidi tu che tipo di Re vuoi diventare, Lotor… Sempre ammesso che ci sarà ancora una corona con cui incoronarti, se rifiuterai questa possibilità di ristabilire la pace.”
Il Re dei Galra rivolse alla sua sposa un sorrisetto orgoglioso, poi tornò completamente serio e fissò suo figlio. “Quindi, Lotor?”
Il Principe serrò i pugni. La sua mente reagì in fretta e si mosse alla ricerca di una soluzione al problema che, sì, fosse comoda.
Quindi sei un codardo, sibilò una voce malevola nella sua testa. Sei indegno di essere il Principe dei Galra.
Lotor serrò i denti sul labbro inferiore e inspirò profondamente dal naso. Quando espirò, rilassò le spalle ed i pugni si schiusero.
Guardò entrambi i suoi genitori.
“D’accordo…” Disse con voce priva d’intonazione.
[Altea]
Il Principe Lance lasciò Altea una settimana dopo essere stato promesso al Principe Lotor di Daibazaal. Ad accompagnarlo sarebbero stati il fedele Coran, i suoi amici d’infanzia Hunk e Katie ed il fratello maggiore di lei, Matt. Quest’ultimo aveva espressione il desiderio di non essere separato dalla sorella e si era proposto come curatore personale del Principe.
“Auguro al Principe di versare sempre in ottima salute,” aveva detto al Re di Altea. “Immagino, però, che Lance si sentirebbe più a suo agio a chiedere aiuto ad un Altean, se avesse bisogno.”
Alfor non aveva potuto dargli torto. Inoltre, i genitori dei fratelli Holt lavoravano ancora come alchimisti di Altea sulla Terra e Lance sarebbe divenuto il nuovo giovane signore di quel pianeta. Scegliere che tutta i membri servissero lo stesso Principe era una cosa logica.
Il giorno della partenza, nessuno venne a salutare il giovane Principe. Solo suo padre scese nell’hangar sotto al Castello di Altea, mentre alcune guardie caricavano sulla nave spaziale da viaggio tutti i bagagli del Principe e dei suoi accompagnatori.
Il viso di Lance era pallido ed i suoi occhi erano stanchi. In quei giorni, aveva pianto molto e dormito poco. Era quasi impossibile prendere sonno quando gli bastava chiudere gli occhi per sognare di Sven e dei momenti felici che non avrebbero vissuto mai più.
Alfor provava un dolore immensurabile a vederlo così ma non poteva allietare la sua pena. La sua unica speranza era che, un giorno, sarebbe riuscito a comprendere le reali intenzioni dietro le sue decisioni.
In quel momento, non pretendeva altro che un saluto.
“Lance…” Alfor prese il viso di suo figlio tra le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi. Lance non lo respinse ma erano spenti e tristi i suoi occhi blu.
Il Re gli premette le labbra contro la fronte, poi lo strinse a sè. Seppur debolmente, Lance ricambiò l’abbraccio.
“Sarai al sicuro alla corte dei Galra,” disse Alfor. “Lì sapranno proteggerti come io non sono stato in grado di fare e sono certo che, un giorno, impareranno ad amarti.”
Lance inarcò le sopracciglia. “Cosa intendi dire, padre? Altea è il luogo più sicuro dell’universo.”
Alfor lo allontanò da sè per potersi specchiare in quegli occhi blu un’ultima volta. “In te hai tutto quello che serve per essere un Re, Lance,” disse ed era sincero. “Sai farti voler bene dalle persone e riesci a tirare fuori il meglio in loro. Non smettere di essere te stesso, ti prego e non dimenticare mai chi sei.”
Gli occhi di Lance si riempirono di lacrime. “Perchè adesso?” Domandò con voce tremante. “Perchè mi dici tutto questo solo ora, padre?”
Alfor gli diede un altro bacio ma sulla guancia. “Prego solo che, prima o poi, tu riesca a perdonarmi.”
Lance dischiuse le labbra e fece per dire altro.
“Mio Principe,” lo richiamò Coran a metà della rampa per salire a bordo della nave. “Siamo pronti a partire.”
“Vai,” disse Alfor dandogli un’affettuosa pacca sul braccio. “La tua vita non finisce qui, inizia solo ora, Lance.”
Altre lacrime scesero a bagnare il viso del giovane Altean. Si sentiva perso ed anche tradito ma era troppo tardi per sottrarsi al suo destino.
Si voltò e raggiunse Coran sulla rampa. Il vecchio Alten lo precedette all’interno della nave, Lance si fermò un passo prima di entrarvi: si sentiva osservato.
Si voltò. Dietro i vetri della sala di controllo, Allura stava assistendo alla scena da distanza.
Lance non poteva vedere con chiarezza la sua espressione ma decise di fare una cosa che non faceva fin da bambino.
”Saluta, Lance! Ti ricordi come si fa, vero? Apri e chiudi la manina!”
Così il Principe di Altea salutò sua sorella e la Regina non ricambiò il gesto.
Lance si voltò e fece quell’ultimo passo trattenendo il respiro.
Alle sue spalle, il portellone della nave si chiuse.