Il Principe piangente
Infanzia.
Per Lance non c’era un prima o un dopo di Kate.
Era scritto nelle stelle.
I loro nonni erano legati come fratelli. Le loro madri erano cresciute come sorelle.
Era ovvio che anche loro erano destinati a crescere a meno di un passo l’uno dall’altra – Kate avanti, Lance sempre dietro.
Lei era arrivata per prima, lui era stato concepito nello stesso periodo.
Kathleen Shirogane, Principessa dei Galra, era nata da un padre Terrestre per metà.
Lance, Principe degli Altean, aveva un papà che Terrestre lo era del tutto.
Entrambi avevano ereditato il sangue reale dalle loro madri, la figlia di Zarkon e quella di Alfor.
Kate assomigliava un po’ alla sua mamma e molto al suo papà.
Lance non assomigliava a nessuno. Aveva ereditato i capelli chiarissima dalla mamma e dal nonno, così come il colore ceruleo degli occhi ma nessuno lo guardava e vedeva in lui i suoi genitori. Da parte di suo padre, in particolar modo, non aveva ereditato niente.
Kate, al contrario, era un capolavoro. Aveva ereditato i tratti raffinati della mamma e un poco della nonna paterna, ma i suoi colori – dalla pelle pallida ai capelli corvini – erano del papà. Di lei dicevano che aveva preso il bello da entrambi i suoi genitori.
Nessuno diceva la stessa cosa di Lance. Molti non sapevano nemmeno chi fosse il suo papà e lui stesso non lo aveva visto abbastanza da capire da solo quale legame li univa.
Il papà di Kate, Shiro, era sempre con lei e con la sua mamma. Kate era nata da una legame ufficiale, in seguito a un matrimonio di cui Lance non conosceva la storia ma che rendeva facile a tutti sapere chi erano la sua mamma e il suo papà.
Lance era arrivato all’improvviso, senza che sua madre e suo padre lo avessero desiderato e non c’era stato nessun matrimonio a chiarire le cose. La sua mamma non lo aveva voluto e il suo papà nemmeno. Avevano avuto lui, ma non erano mai stati dei genitori come quelli di Kate.
Allura, la sua mamma, era l’unica a rimboccargli le coperte, a dargli il bacio della buonanotte o a prenderlo in braccio quando non aveva voglia di alzarsi dal letto da solo la mattina. Era solo accanto a lei che si accoccolava quando aveva voglia di andare a dormire nel letto grande – anche se la maggior parte delle volte che aveva paura s’infilava in quello di Kate, accanto al suo.
Suo nonno Alfor era la cosa più vicina a un padre che aveva, era con lui che faceva i giochi da maschi, quelli che a sua mamma non piacevano molto ma in cui Kate era più brava di lui.
Kate era una femmina ma non si comportava come la sua mamma. Non le piacevano i vestitini carini o passare ore a spazzolarsi i capelli. Non giocava con le bambole, preferiva le spade.
“Da bambina, Lotor era uguale,” diceva Allura.
C’era un fatto ulteriore: Kate non solo era brava nei giochi da maschio più di lui, ma anche nei giochi da Galra, mentre Lance non era un granchè in quelli da Altean.
Nonno Alfor gli raccontava storie complicate su Oriande, sulla Quintessenza, sull’Alchimia. Lance lo seguiva solo a metà e, alla fine, quello che si guadagnava era un sorriso accondiscendente e una carezza tra i capelli che voleva dire: non importa Lance.
Zarkon non era così con Kate, a lei insegnava come combattere, come volare e gli sguardi che le rivolgeva brillavano di orgoglio.
Lance sapeva che suo nonno gli voleva molto bene ma non era orgoglioso di lui.
Kate era perfetta. Lance era difettoso.
Era una realtà con cui era cresciuto senza comprenderla appieno. Gli era rimasta addosso come una strana sensazione di freddo che non andava mai via, nemmeno quando la mamma lo abbracciava.
La cosa peggiore era che Lance voleva bene a Kate. Le voleva molto bene.
Eppure, quando Shiro rientrava alla corte dopo aver vinto una battaglia contro l’Imperatrice cattiva e la prendeva tra le braccia portandola in trionfo con lui, Lance si chiedeva: perchè lei sì e io no?
Più tardi avrebbe scoperto che quel sentimento si chiamava invidia. Da bambino poteva descriverlo come un pensiero cattivo: se lui non poteva avere quello che aveva Kate, allora anche lei doveva restare senza.
Senza un papà come Shiro che era sempre con lei. Senza tutti quei talenti che rendevano suo nonno orgoglioso di lei. Senza quella bellezza che la faceva assomigliare tanto alla sua mamma.
Nella sala del trono, Shiro sedeva accanto alla sua sposa e Kate tra le sue braccia. Lui le sorrideva e concedeva qualche libertà alla sua indole ribelle, Lotor le pettinava i capelli corvini con le dita ed era seria mentre parlava col marito e lo informava di quanto avvenuto in sua assenza ma era serena.
Allura, la mamma di Lance, non era la moglie di nessuno e il bambino aveva un papà che non sedeva mai accanto a lei nella sala del trono, di cui nessuno conosceva il nome.
“Mamma, com’è il mio papà?” Le chiese Lance un giorno. Gli aveva detto che lo aveva conosciuto, ma non aveva alcun ricordo di lui.
Allura gli sorrise tristemente e gli accarezzò i capelli. “Assomiglia molto a Shiro.”
Quella risposta scatenò tutta la rabbia che Lance poteva provare con il suo cuore di bambino. “Sei una bugiarda!” Le ulrò contro.
Se il suo papà assomigliava davvero a quello di Kate, non lo avrebbe mai lasciato da solo.
Lance vide suo padre una sola volta. Arrivò a corte accompagnato da Shiro, alla fine di una delle tante battaglie contro l’Imperatrice cattiva. Quella volta, Kate rimase in braccio a Lotor, mentre il suo papà si avvicinava a lui stringendo la spalla di un uomo che sì, gli assomigliava molto.
Aveva solo i capelli più brutti.
Shiro sorrise ad Allura, lei annuì per accomiatarlo e Lance lo guardò mentre si avvicinava alla sua famiglia.
“Lance…” Sua madre richiamò la sua attenzione. “Lui è Sven. È tuo padre.”
Lance sollevò gli occhi blu ma l’uomo poggiò un ginocchio a terra per poter essere allo stesso livello del suo sguardo. “Ciao Lance,” gli disse suo padre. “Sei cresciuto così tanto…”
Gli accarezzò la guancia con tenerezza.
Per tutta la vita, Lance avrebbe ricordato che le sue dita erano calde.
La seconda volta che Lance vide il suo papà, Sven, era morto.
La sua mamma glielo disse piangendo. Lui non seppe come reagire.
Mentre Lotor cercava di consolarla, Shiro lo prese in braccia e gli raccontò di come il suo papà era morto in battaglia, da vero eroe. Nemmeno allora Lance seppe come sentirsi, era come se il suo cuoricino si fosse rimasto congelato da un caos di emozioni che non poteva capire.
Con gli anni, quello divenne l’unico ricordo importante della sua infanzia in cui Keith non era presente.
Lo fu al funerale di suo padre, sulla Terra.
Lance non aveva mai visto un funerale, non sapeva se erano uguali in tutto l’universo.
Misero suo padre dentro una grande fossa e la riempirono di terra. Sua mamma pianse in silenzio per tutto il tempo. Lance le stringeva la mano ma non sentiva il suo calore sotto le sue dita, solo il suo tremolio. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quell’enorme buca che riempiva e si riempiva...
Gli occhi viola di Kate lo osservarono per tutto il tempo ma non se ne accorse.
Quando la fossa fu finalmente piena, la mamma gli baciò i capelli. “Andiamo Lance…” Mormorò con voce tremante, ma non lo tirò quando lui lasciò scivolare la propria mano lontano dalla sua.
Fece alcuni passi e quando si accorse che non lo seguiva, si voltò. “Lance?”
Lance, però, non poteva risponderle, fissava ancora la buca ormai ricoperta e sentiva freddo, tanto freddo. Era congelato ai piedi della tomba di suo padre e non riusciva a muoversi.
Una manina calda afferrò la sua. Lance non trasalì, sollevò solo lo sguardo e trovò Kate lì, che lo guardava con i suoi grandi occhi viola.
“Andiamo a casa, Lance.”
Fu allora che Lance riuscì a piangere
Fanciullezza.
Lance era un Principe senza popolo.
Kate era destinata a sedere sul trono di un Impero grande quanto l’universo conosciuto. Quell’eredità non le veniva da suo nonno ma dall’Imperatrice Honerva, la madre di sua madre, l’Altean che era stata sposa di Zarkon e amica di Alfor prima di venire corrotta da un potere più grande di lei.
Il popolo che Lance avrebbe dovuto chiamare proprio era lo stesso che aveva costretto alla fuga la sua famiglia e che s’inginocchiava di sua spontanea volontà di fronte all’Imperatrice.
Anche Kate era legata ad Altea, anche lei aveva sangue Altean nelle vene ma non soffriva il tradimento di quella gente perché non la sentiva sua.
In seguito all’ascesa di Honerva, molti Galra avevano messo in discussione il ruolo di leader di Zarkon e avevano deciso di combattere contro l’Impero Altean sotto una guida differente. Si era venuto a creare così l’ordine delle Lame di Marmora, all’interno del quale era nato Shiro. In seguito a un lungo e complesso intreccio di eventi, la sua strada aveva incrociato quella di Lotor, la figlia di Zarkon.
Kate era il frutto del loro legame ed era il miracolo che aveva riunito sotto un’unica bandiera tutto il popolo dei Galra.
Lance era il Principe di niente.
Appena fanciulla, Keith era come una regina guerriera che non aveva nulla da invidiare a sua madre o all’Imperatrice Honerva. Era amata, sostenuta dai generali di suo nonno come dai leader della Lama di Marmora.
Perché qualcuno si accorgesse della presenza di Lance in una stanza era necessario che vi entrasse al fianco di Allura o Alfor. Kate non aveva bisogno di Shiro o Lotor per brillare. Non doveva nemmeno sforzarsi.
Aveva già rubato il titolo di miglior pilota della ribellione a suo padre ed era solo questione di tempo prima che facesse suo quello di miglior spadaccina, che apparteneva sua madre.
Per poi tacere sulla sua bellezza.
Kate nemmeno se ne rendeva conto e Lance la odiava per questo. Attirava gli sguardi di tutti con la stessa facilità con cui lo facevano i suoi genitori. Anche Allura aveva quel potere.
Lance no. Lance moriva ogni volta che si accorgeva che chiunque si sentiva in diritto di guardare Kate anche quando era al suo fianco. Nessuno aveva più osato fare lo stesso con Lotor dopo Shiro l’aveva fatta sua.
Lance, invece, era invisibile, catalogato come l’amico d’infanzia che poteva essere considerato innocuo.
Il Principe, però, non voleva bene a Kate come un’amica nè come una sorella.
Lance la voleva tutta per sè e, che il mondo lo vedesse o meno, lei lo ricambiava.
Ciò però non era sufficiente a cancellare il dolore che spesso la sola presenza della Principessa gli provocava. Era impossibile per Lance reggere il confronto con Kate. Non poteva pretendere di essere trascinato nella sua luce ma restare nella sua ombra, pur tenendole la mano, era una tortura.
Lance la amava con tutto il suo cuore e la odiava con tutto se stesso.
“Che cosa sei?” Le chiedeva sprezzante. “La mia compagna o la mia regina?”
“Non sono di nessuno!” Rispondeva lei con rabbia. “Nè dell’Impero, nè dei Galra, nè tantomeno tua!”
E lo lasciava da solo. Sì, solo.
Perché non sentirsi parte del suo stesso popolo poteva anche essere sopportabile, ma non lo era sapere di non essere una parte importante per lei.
Giovinezza.
La sua prima battaglia da Principe di Altean fu un completo disastro. Qualcuno la denominò la peggior sconfitta della Ribellione dall’ascesa dell’Imperatrice Honerva.
Le perdite umane furono allarmanti e Lance si vergognò di fare ritorno alla corte sulle proprie gambe. Sua madre lo abbracciò, disperata. Suo nonno gli strinse la spalla ma non disse niente che potesse rassicurarlo.
Come poteva? Era la vergogna della sua famiglia, della Ribellione, di tutti loro.
“È troppo giovane,” aveva detto Lotor.
“Diamogli una possibilità,” aveva risposto Allura. “Kate ha la sua età e ne ha avute molte.”
Era stato un errore di sua madre far leva sui successi di Kate ed era stato un errore del Consiglio accontentarla per troppo imbarazzo.
“Il ragazzo è di sangue reale quanto la fanciulla,” aveva detto qualcuno.
Tutti i Generali Galra avevano votato a sfavore.
“È una missione semplice,” era intervenuto Alfor. “I rischi sono pochi.”
Lance aveva fallito su tutta la linea come un ribelle alle prime armi che spara colpi a occhi chiusi nella speranza di abbattere il nemico prima di essere colpito. Era stato addestrato per tutta la vita e aveva deluso chiunque avesse avuto un minimo di fiducia in lui.
La parte peggiore fu guardare in faccia Kate.
Lo trovò lontano da occhi indiscreti, nel vecchio osservatorio, dove si nascondevano da bambini. I suoi occhi viola erano grandi, spaventati. Non era la prima Volta che Lance vedeva quell’espressione sul suo viso ma non s’illuse nemmeno per un istante che quella paura fosse per lui. Forse non era nemmeno paura, ma rabbia, delusione.
Lance si lasciò cadere in ginocchio. “Perdonami…”
Come poteva?
“Perdonami, Kate. Perdonami.” Scoppiò a piangere.
L’aveva incolpata molte volte per le sue insicurezze ma la debolezza che lo affliggeva era qualcosa che si portava sotto la pelle, ed era crudele e stupido biasimare chiunque per il suo essere difettoso.
Kate s’inginocchiò di fronte a lui, posò le mani sulla sua schiena tremante. “Credevo che fossi morto…” Disse con voce flebile.
Quando Lance sollevò il viso, il terrore di lei si era tramutato in lacrime. “Credevo che fossi morto, Lance.” Kate singhiozzò.
Lance non seppe come reagire di fronte al suo pianto. Come era accaduto ai piedi della tomba di suo padre, riusciva solo a fissarla, pietrificato.
“Li ho uccisi tutti, Kate.”
“L’Impero li ha uccisi, non tu.”
“È stata colpa mia, sarei dovuto morire io!”
Uno schiaffo. Fece male ma convinse Lance a smettere di piangere.
“Non dirlo mai più,” sibilò Kate. “Sono morti, tu no. Puoi continuare a combattere, loro no. Sei stato sconfitto? Rialzati! Puoi rimediare solo se non ti arrendi.”
Fu l’ultima volta che Lance si concesse di cadere in ginocchio di fronte a chiunque.
Per Lance non c’era un prima o un dopo di Kate.
Era scritto nelle stelle.
I loro nonni erano legati come fratelli. Le loro madri erano cresciute come sorelle.
Era ovvio che anche loro erano destinati a crescere a meno di un passo l’uno dall’altra – Kate avanti, Lance sempre dietro.
Lei era arrivata per prima, lui era stato concepito nello stesso periodo.
Kathleen Shirogane, Principessa dei Galra, era nata da un padre Terrestre per metà.
Lance, Principe degli Altean, aveva un papà che Terrestre lo era del tutto.
Entrambi avevano ereditato il sangue reale dalle loro madri, la figlia di Zarkon e quella di Alfor.
Kate assomigliava un po’ alla sua mamma e molto al suo papà.
Lance non assomigliava a nessuno. Aveva ereditato i capelli chiarissima dalla mamma e dal nonno, così come il colore ceruleo degli occhi ma nessuno lo guardava e vedeva in lui i suoi genitori. Da parte di suo padre, in particolar modo, non aveva ereditato niente.
Kate, al contrario, era un capolavoro. Aveva ereditato i tratti raffinati della mamma e un poco della nonna paterna, ma i suoi colori – dalla pelle pallida ai capelli corvini – erano del papà. Di lei dicevano che aveva preso il bello da entrambi i suoi genitori.
Nessuno diceva la stessa cosa di Lance. Molti non sapevano nemmeno chi fosse il suo papà e lui stesso non lo aveva visto abbastanza da capire da solo quale legame li univa.
Il papà di Kate, Shiro, era sempre con lei e con la sua mamma. Kate era nata da una legame ufficiale, in seguito a un matrimonio di cui Lance non conosceva la storia ma che rendeva facile a tutti sapere chi erano la sua mamma e il suo papà.
Lance era arrivato all’improvviso, senza che sua madre e suo padre lo avessero desiderato e non c’era stato nessun matrimonio a chiarire le cose. La sua mamma non lo aveva voluto e il suo papà nemmeno. Avevano avuto lui, ma non erano mai stati dei genitori come quelli di Kate.
Allura, la sua mamma, era l’unica a rimboccargli le coperte, a dargli il bacio della buonanotte o a prenderlo in braccio quando non aveva voglia di alzarsi dal letto da solo la mattina. Era solo accanto a lei che si accoccolava quando aveva voglia di andare a dormire nel letto grande – anche se la maggior parte delle volte che aveva paura s’infilava in quello di Kate, accanto al suo.
Suo nonno Alfor era la cosa più vicina a un padre che aveva, era con lui che faceva i giochi da maschi, quelli che a sua mamma non piacevano molto ma in cui Kate era più brava di lui.
Kate era una femmina ma non si comportava come la sua mamma. Non le piacevano i vestitini carini o passare ore a spazzolarsi i capelli. Non giocava con le bambole, preferiva le spade.
“Da bambina, Lotor era uguale,” diceva Allura.
C’era un fatto ulteriore: Kate non solo era brava nei giochi da maschio più di lui, ma anche nei giochi da Galra, mentre Lance non era un granchè in quelli da Altean.
Nonno Alfor gli raccontava storie complicate su Oriande, sulla Quintessenza, sull’Alchimia. Lance lo seguiva solo a metà e, alla fine, quello che si guadagnava era un sorriso accondiscendente e una carezza tra i capelli che voleva dire: non importa Lance.
Zarkon non era così con Kate, a lei insegnava come combattere, come volare e gli sguardi che le rivolgeva brillavano di orgoglio.
Lance sapeva che suo nonno gli voleva molto bene ma non era orgoglioso di lui.
Kate era perfetta. Lance era difettoso.
Era una realtà con cui era cresciuto senza comprenderla appieno. Gli era rimasta addosso come una strana sensazione di freddo che non andava mai via, nemmeno quando la mamma lo abbracciava.
La cosa peggiore era che Lance voleva bene a Kate. Le voleva molto bene.
Eppure, quando Shiro rientrava alla corte dopo aver vinto una battaglia contro l’Imperatrice cattiva e la prendeva tra le braccia portandola in trionfo con lui, Lance si chiedeva: perchè lei sì e io no?
Più tardi avrebbe scoperto che quel sentimento si chiamava invidia. Da bambino poteva descriverlo come un pensiero cattivo: se lui non poteva avere quello che aveva Kate, allora anche lei doveva restare senza.
Senza un papà come Shiro che era sempre con lei. Senza tutti quei talenti che rendevano suo nonno orgoglioso di lei. Senza quella bellezza che la faceva assomigliare tanto alla sua mamma.
Nella sala del trono, Shiro sedeva accanto alla sua sposa e Kate tra le sue braccia. Lui le sorrideva e concedeva qualche libertà alla sua indole ribelle, Lotor le pettinava i capelli corvini con le dita ed era seria mentre parlava col marito e lo informava di quanto avvenuto in sua assenza ma era serena.
Allura, la mamma di Lance, non era la moglie di nessuno e il bambino aveva un papà che non sedeva mai accanto a lei nella sala del trono, di cui nessuno conosceva il nome.
“Mamma, com’è il mio papà?” Le chiese Lance un giorno. Gli aveva detto che lo aveva conosciuto, ma non aveva alcun ricordo di lui.
Allura gli sorrise tristemente e gli accarezzò i capelli. “Assomiglia molto a Shiro.”
Quella risposta scatenò tutta la rabbia che Lance poteva provare con il suo cuore di bambino. “Sei una bugiarda!” Le ulrò contro.
Se il suo papà assomigliava davvero a quello di Kate, non lo avrebbe mai lasciato da solo.
Lance vide suo padre una sola volta. Arrivò a corte accompagnato da Shiro, alla fine di una delle tante battaglie contro l’Imperatrice cattiva. Quella volta, Kate rimase in braccio a Lotor, mentre il suo papà si avvicinava a lui stringendo la spalla di un uomo che sì, gli assomigliava molto.
Aveva solo i capelli più brutti.
Shiro sorrise ad Allura, lei annuì per accomiatarlo e Lance lo guardò mentre si avvicinava alla sua famiglia.
“Lance…” Sua madre richiamò la sua attenzione. “Lui è Sven. È tuo padre.”
Lance sollevò gli occhi blu ma l’uomo poggiò un ginocchio a terra per poter essere allo stesso livello del suo sguardo. “Ciao Lance,” gli disse suo padre. “Sei cresciuto così tanto…”
Gli accarezzò la guancia con tenerezza.
Per tutta la vita, Lance avrebbe ricordato che le sue dita erano calde.
La seconda volta che Lance vide il suo papà, Sven, era morto.
La sua mamma glielo disse piangendo. Lui non seppe come reagire.
Mentre Lotor cercava di consolarla, Shiro lo prese in braccia e gli raccontò di come il suo papà era morto in battaglia, da vero eroe. Nemmeno allora Lance seppe come sentirsi, era come se il suo cuoricino si fosse rimasto congelato da un caos di emozioni che non poteva capire.
Con gli anni, quello divenne l’unico ricordo importante della sua infanzia in cui Keith non era presente.
Lo fu al funerale di suo padre, sulla Terra.
Lance non aveva mai visto un funerale, non sapeva se erano uguali in tutto l’universo.
Misero suo padre dentro una grande fossa e la riempirono di terra. Sua mamma pianse in silenzio per tutto il tempo. Lance le stringeva la mano ma non sentiva il suo calore sotto le sue dita, solo il suo tremolio. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quell’enorme buca che riempiva e si riempiva...
Gli occhi viola di Kate lo osservarono per tutto il tempo ma non se ne accorse.
Quando la fossa fu finalmente piena, la mamma gli baciò i capelli. “Andiamo Lance…” Mormorò con voce tremante, ma non lo tirò quando lui lasciò scivolare la propria mano lontano dalla sua.
Fece alcuni passi e quando si accorse che non lo seguiva, si voltò. “Lance?”
Lance, però, non poteva risponderle, fissava ancora la buca ormai ricoperta e sentiva freddo, tanto freddo. Era congelato ai piedi della tomba di suo padre e non riusciva a muoversi.
Una manina calda afferrò la sua. Lance non trasalì, sollevò solo lo sguardo e trovò Kate lì, che lo guardava con i suoi grandi occhi viola.
“Andiamo a casa, Lance.”
Fu allora che Lance riuscì a piangere
Fanciullezza.
Lance era un Principe senza popolo.
Kate era destinata a sedere sul trono di un Impero grande quanto l’universo conosciuto. Quell’eredità non le veniva da suo nonno ma dall’Imperatrice Honerva, la madre di sua madre, l’Altean che era stata sposa di Zarkon e amica di Alfor prima di venire corrotta da un potere più grande di lei.
Il popolo che Lance avrebbe dovuto chiamare proprio era lo stesso che aveva costretto alla fuga la sua famiglia e che s’inginocchiava di sua spontanea volontà di fronte all’Imperatrice.
Anche Kate era legata ad Altea, anche lei aveva sangue Altean nelle vene ma non soffriva il tradimento di quella gente perché non la sentiva sua.
In seguito all’ascesa di Honerva, molti Galra avevano messo in discussione il ruolo di leader di Zarkon e avevano deciso di combattere contro l’Impero Altean sotto una guida differente. Si era venuto a creare così l’ordine delle Lame di Marmora, all’interno del quale era nato Shiro. In seguito a un lungo e complesso intreccio di eventi, la sua strada aveva incrociato quella di Lotor, la figlia di Zarkon.
Kate era il frutto del loro legame ed era il miracolo che aveva riunito sotto un’unica bandiera tutto il popolo dei Galra.
Lance era il Principe di niente.
Appena fanciulla, Keith era come una regina guerriera che non aveva nulla da invidiare a sua madre o all’Imperatrice Honerva. Era amata, sostenuta dai generali di suo nonno come dai leader della Lama di Marmora.
Perché qualcuno si accorgesse della presenza di Lance in una stanza era necessario che vi entrasse al fianco di Allura o Alfor. Kate non aveva bisogno di Shiro o Lotor per brillare. Non doveva nemmeno sforzarsi.
Aveva già rubato il titolo di miglior pilota della ribellione a suo padre ed era solo questione di tempo prima che facesse suo quello di miglior spadaccina, che apparteneva sua madre.
Per poi tacere sulla sua bellezza.
Kate nemmeno se ne rendeva conto e Lance la odiava per questo. Attirava gli sguardi di tutti con la stessa facilità con cui lo facevano i suoi genitori. Anche Allura aveva quel potere.
Lance no. Lance moriva ogni volta che si accorgeva che chiunque si sentiva in diritto di guardare Kate anche quando era al suo fianco. Nessuno aveva più osato fare lo stesso con Lotor dopo Shiro l’aveva fatta sua.
Lance, invece, era invisibile, catalogato come l’amico d’infanzia che poteva essere considerato innocuo.
Il Principe, però, non voleva bene a Kate come un’amica nè come una sorella.
Lance la voleva tutta per sè e, che il mondo lo vedesse o meno, lei lo ricambiava.
Ciò però non era sufficiente a cancellare il dolore che spesso la sola presenza della Principessa gli provocava. Era impossibile per Lance reggere il confronto con Kate. Non poteva pretendere di essere trascinato nella sua luce ma restare nella sua ombra, pur tenendole la mano, era una tortura.
Lance la amava con tutto il suo cuore e la odiava con tutto se stesso.
“Che cosa sei?” Le chiedeva sprezzante. “La mia compagna o la mia regina?”
“Non sono di nessuno!” Rispondeva lei con rabbia. “Nè dell’Impero, nè dei Galra, nè tantomeno tua!”
E lo lasciava da solo. Sì, solo.
Perché non sentirsi parte del suo stesso popolo poteva anche essere sopportabile, ma non lo era sapere di non essere una parte importante per lei.
Giovinezza.
La sua prima battaglia da Principe di Altean fu un completo disastro. Qualcuno la denominò la peggior sconfitta della Ribellione dall’ascesa dell’Imperatrice Honerva.
Le perdite umane furono allarmanti e Lance si vergognò di fare ritorno alla corte sulle proprie gambe. Sua madre lo abbracciò, disperata. Suo nonno gli strinse la spalla ma non disse niente che potesse rassicurarlo.
Come poteva? Era la vergogna della sua famiglia, della Ribellione, di tutti loro.
“È troppo giovane,” aveva detto Lotor.
“Diamogli una possibilità,” aveva risposto Allura. “Kate ha la sua età e ne ha avute molte.”
Era stato un errore di sua madre far leva sui successi di Kate ed era stato un errore del Consiglio accontentarla per troppo imbarazzo.
“Il ragazzo è di sangue reale quanto la fanciulla,” aveva detto qualcuno.
Tutti i Generali Galra avevano votato a sfavore.
“È una missione semplice,” era intervenuto Alfor. “I rischi sono pochi.”
Lance aveva fallito su tutta la linea come un ribelle alle prime armi che spara colpi a occhi chiusi nella speranza di abbattere il nemico prima di essere colpito. Era stato addestrato per tutta la vita e aveva deluso chiunque avesse avuto un minimo di fiducia in lui.
La parte peggiore fu guardare in faccia Kate.
Lo trovò lontano da occhi indiscreti, nel vecchio osservatorio, dove si nascondevano da bambini. I suoi occhi viola erano grandi, spaventati. Non era la prima Volta che Lance vedeva quell’espressione sul suo viso ma non s’illuse nemmeno per un istante che quella paura fosse per lui. Forse non era nemmeno paura, ma rabbia, delusione.
Lance si lasciò cadere in ginocchio. “Perdonami…”
Come poteva?
“Perdonami, Kate. Perdonami.” Scoppiò a piangere.
L’aveva incolpata molte volte per le sue insicurezze ma la debolezza che lo affliggeva era qualcosa che si portava sotto la pelle, ed era crudele e stupido biasimare chiunque per il suo essere difettoso.
Kate s’inginocchiò di fronte a lui, posò le mani sulla sua schiena tremante. “Credevo che fossi morto…” Disse con voce flebile.
Quando Lance sollevò il viso, il terrore di lei si era tramutato in lacrime. “Credevo che fossi morto, Lance.” Kate singhiozzò.
Lance non seppe come reagire di fronte al suo pianto. Come era accaduto ai piedi della tomba di suo padre, riusciva solo a fissarla, pietrificato.
“Li ho uccisi tutti, Kate.”
“L’Impero li ha uccisi, non tu.”
“È stata colpa mia, sarei dovuto morire io!”
Uno schiaffo. Fece male ma convinse Lance a smettere di piangere.
“Non dirlo mai più,” sibilò Kate. “Sono morti, tu no. Puoi continuare a combattere, loro no. Sei stato sconfitto? Rialzati! Puoi rimediare solo se non ti arrendi.”
Fu l’ultima volta che Lance si concesse di cadere in ginocchio di fronte a chiunque.